31/10/13

Brendan Benson has got soul!




Nato in Michigan, Brendan Benson rappresenta idealmente il lato più solido della sottocultura power-pop, un’energia - la sua – messa sempre a disposizione di brani imbattibili, sotto il profilo armonico e compositivo, magari hit istantanee in un universo parallelo. Piccole sinfonie melodiche che non perdono mai di vista il lato più chitarristico della questione, giungendo  ad un’ideale fusione tra il rock da FM ed i pruriti di una generazione cresciuta all’ombra della famosa raccolta-manifesto Nuggets.

In altre parole Benson è sempre apparso più vicino agli Who che non ai Raspberries, ma anche in questo caso le declinazioni sono delle più soggettive. Il suo momento di maggior clamore – aldilà di una carriera solista svoltasi sempre con grande continuità – è dato dalla nascita del supergruppo The Racounteurs, concepito con l’amico di vecchia data Jack White (Stripes). I due album del gruppo – Broken Boy Soldiers del 2006 e Consolers Of The Lonely del 2008 – raggiunsero la top ten tanto negli Stati Uniti quanto nel Regno Unito, a dimostrazione di una comunione felice capace di smuovere un cospicuo numero di fans.

Quando Jack decide di perseguire la sua carriera solista e mettere in moto l’altra formazione semi-stellare The Dead Weather, per Benson è tempo di tornare in studio e concepite una nuova alleanza con la lanciatissima Lojinx. ‘You Were Right’ è il suo secondo album per la casa discografica inglese, ancora un successo in termini di tenuta artistica. La sua via al power-pop non rinuncia oggi ad una vena blue eyed soul, con l’utilizzo di fiati in arrangiamenti davvero seducenti. Il disco è stato registrato presso i personali Readymade Studios, circostanza che ha permesso all’autore di realizzare compiutamente la propria visione creativa, senza cedere a sollecitazioni esterne o pressioni di marketing. Tutto questo è pienamente trasmesso dai solchi del disco, quasi un album fotografico concepito nella dimora di Nashville, Tennessee, dove Benson è stato l’unico responsabile degli eventi. Una maniera piuttosto decisa di affermarsi nell’universo musicale odierno, soverchiato da una programmazione e produzione a ritmo industriale.






Snoop Dogg meets Dam Funk




L’album di debutto di Snoopzilla (Snoop Dogg) e Dâm- Funk ha un titolo quanto meno programmatico: 7 Days Of Funk. Stones Throw punta forte su questa partnership, una delle cose più esplosive accadute in ambito black da diversi anni a questa parte. Dopo la sua presunta conversione rastafariana – con tanto di metamorfosi in Snoop Lion – il rapper torna al suo primo amore ricordandoci di come in assoluto lui sia un leader, tanto per carisma che per premi raccolti. 15 nominations ai Grammy ed oltre  30 milioni di dischi venduti, numeri che hanno messo a tacere anche i più scettici.

Dam-Funk è invece l’archetipo del produttore hip-hop contemporaneo, un uomo capace di cogliere spunti dal recente passato senza dimenticare l’archeologia sonora che sorregge le stanze del ritmo. Un collezionista a tutti gli effetti ed un esperto di ricostruzioni maniacali. Sfegatato fan dell’italo-disco e del boogie-funk, vero e proprio termometro sull’attuale arte del deejaying. Pensate che il suo album di debutto - Toeachizown – fu salutato dall’influente Pitchfork come  “un lavoro di pura trascendenza”.

L’altra notizia – se volete sensazionale – è che questo è il primo disco di Snoop concepito con un singolo produttore dai tempi del multi platinato Doggystyle del 1993. La leggenda del funk Steve Arrington – membro fondatore degli Slave – è uno degli ospiti d’onore del disco, assieme al rapper Kurupt e alla sua crew  Tha Dogg Pound.  In Inghilterra, il singolo di debutto ‘Faden Away’è stato suonato a oltranza da Benji B (BBC Radio 1 / 1Xtra) e dal solito Gilles Peterson (BBC 6Music). Per la californiana Stones Throw si tratta di uno dei suoi più grandi investimenti discografici, ancor più delle rivelazioni Aloe Blacc e Mayer Hawthorne, passati poi alla corte di una major. ‘7 Days Of Funk’ è un puro distillato p-funk, un omaggio nemmeno troppo celato al gran maestro di cerimonie George Clinton, coscienza suprema che veglia sopra al disco come uno spirito solenne.








30/10/13

I Am The Center: New Age In America





Il suono originò l’universo, non fu una singola parola. Il suono ha creato gli atomi, il suono e la luce sono alla base del manifesto principe dell’universo … La sorgente primordiale di un musicista è il suono eterno che si materializza nella musica stessa. (Constance Demby)

Dimenticate tutto quello che sapevate – o credevate di sapere – rispetto alla new age, un genere che è divenuto una sorta di archeologia musicale nelle esplorazioni della passata decade.  ‘I Am The Center: Private Issue New Age In America, 1950-1990’ è la prima antologia ad affrontare dettagliatamente l’epoca d’oro del genere, rivelandone aspetti spesso sconosciuti. Non a caso è la Light In The Attic a presentare questo illuminante doppio volume, sfatando i luoghi comuni che spesso hanno portato a destabilizzarne gli intenti. Il termine new age deve essere necessariamente riabilitato, e distanziato dalle forme commerciali o ‘salottiere’ che erroneamente han preso il sopravvento.  
Bisogna tornare alle origini del movimento e considerarne la corrispondenza con la rivoluzione psichedelica. Siamo di fronte ad una forma musicale autonoma, dove lo spirito e le tecniche analogiche hanno da sempre avuto una parte determinante nel processo creativo. La finalità: quella di creare un ponte tra corpo spirito attraverso la dimensione sonora. Prima che la tendenza si trasformasse in un mero business – con la tanto deprechevole ‘elevator music’ – c’è stata una storia importante fatta di contatti con il mondo della musica jazz ed etnica. Non a caso gente come Charles Lloyd e Paul Horn ha spesso lambito questi territori con risultati spesso clamorosi.

Ci sono poi i contatti insospettabili con la cultura mainstream, prima dello sdoganamento in luoghi meno nobili. Pensate che nella colonna sonora di Blade Runner appare un’incisone di Gail Laughton – a titolo ‘Pompeii, 76 A.D’ – recuperata per questa ammaliante doppia compilation. Da Iasos – per cui Numero Group ha recentemente curato un’antologia – a  Laraaji – scoperto dal guru Brian Eno mentre si esibiva al Washington Square Park, passando per JD Emmanuel (icona per tutta una nuova generazione di seguaci del drone e dell’ambient-noise) sono numerosi i protagonisti di I Am The Center. I disegni del leggendario artista visuale Gilbert Williams e le note di copertina del produttore Douglas Mcgowan, concorrono a riportare prepotentemente in auge uno stile che deve per forza di cosa essere associato al grande folklore artistico americano.




29/10/13

La leader delle Shaggs...44 anni dopo!




Il debutto delle  Shaggs’ Philosophy Of The World’ risale a 44 anni fa, ma il suo eco tardivo continua ad investire una pletora di artisti innamorati del lo-fi, del garage e del pop più disarticolato. Frank Zappa disse che le Shaggs erano meglio dei Beatles – sempre accompagnato da quel sorriso sarcastico - mentre Kurt Cobain a loro guardava con grandissimo rispetto. Uno stile di vita, un’attitudine,  più che una lezione in musica. Furono capaci di inscenare forse una delle più grandi truffe del rock’n’roll, sapendo a mala pena imbracciare i propri strumenti. Uno smacco non solo per gli impresari dell’industria discografica, ma anche per chi credeva nel virtuosismo come fonte primaria della propria arte. Da Daniel Johnston ai Devo, passando per la Shimmy Disc di Kramer e gli Half Japanese, sono innumerevoli gli artisti che hanno lodato Dot Wiggin per le sue doti non propriamente ordinarie.

Non vi basta? Recuperate anche la raccolta ‘Better Than The Beatles: A Tribute To The Shaggs’, pubblicata nel novembre del 2001 e comprendente i sentiti omaggi di Ida, Deerhoof, R. Stevie Moore, Danielson Familie, Thinking Fellers Union Local 282, etc. Per il ritorno in scena della cantante e songwriter Dot Wiggin si è scomodato – guarda caso… - Jello Biafra, che con la sua Alternative Tentacles ha voluto tentare il colpo a sorpresa, ingaggiando la scompigliata band della nostra eroina. ‘Ready! Get! Go!’ mantiene le stesse qualità del gruppo madre, aprendo ad iniziative altrettanto bislacche. Il materiale risulta assai vario, sfiorando la crudezza del proto-garage, adagiandosi più frequentemente su melodie docili ma comunque spezzate. Liriche semplici e niente fronzoli per un disco che è un distillato delle proprie esperienze.

‘Speed Limit’ è un numero dal piglio quasi danzabile, con un coro accattivante che mostra l’aspetto più innocente e divertito della band. ‘Boo Hoo’ apre a su modo alla malinconia, mentre ‘Speed Limit 2’  è una sarabanda rock’n’roll senza pari. Spazio poi a ‘Banana Bike’, in pratica un inedito delle Shaggs che risorge unitamente al classico ’The Fella With A Happy Heart’ qui riproposto con un arrangiamento originale. L’ album si chiude con una cover di ‘End Of The World’ un successo del 1962 col marchio da cowboy di Skeeter Davis. ‘Ready! Get ! Go!’ è la sorpresa discografica di questo 2013, un ritorno inaspettato che merita tutta la vostra attenzione e rispetto.





The sound of Mutation!




Non si va certo per il sottile da queste parti…I nomi in campo non lasciano certo spazio ad altre interpretazioni. Quello dei Mutation è un guanto di sfida, lanciato con la complicità di Ipecac, che ne licenzia la prima fatica sulla lunga distanza – ‘Error 500’ – questo autunno. Il gruppo mette insieme alcune delle più perverse menti del rock inglese, personalità magnetiche che da anni hanno cospirato ai margini del music biz. I nomi dei partecipanti saranno noti a molti di voi, l’idea di vederli assieme per la circostanza una tentazione insondabile. Shane Embury è il bassista dei Napalm Death, una delle menti più aperte in tutto il circuito grind e metal estremo,  Ginger Wildheart dal canto suo è stato per anni la figura di riferimento degli street-rockers Wildhearts, un gruppo che in patria ha messo spesso in discussione lo status symbol degli stessi Guns’n’Roses. Jon Poole è forse la figura più eclettica del trio, avendo prestato servizio nei leggendari Cardiacs, gruppo che ha fatto letteralmente a brandelli tutti i luoghi comuni del rock progressivo.

Come se tali ruolini di marcia non fossero sufficienti ai tre si aggiungono anche ospiti sensazionali come Mark E Smith (The Fall) ed il reggente al trono del noise nipponico Merzbow. I dieci brani del disco sono di quanto più eclettico sia lecito immaginare in ambito rock estremo. Da anni non si sentiva un tale eclettismo, forse proprio dal debutto dei Mr. Bungle. Ma di paragoni avventati non abbiamo certo bisogno, considerata la caratura dell’album, un mastodonte pronto a sopperire ogni vostra esigenza relativamente alla fisicità e all’intelligenza trasferita in musica. Portando alle estreme conseguenze le esperienze personali e mantenendo i toni di una schizofrenia orchestrata, ‘Error 500’ coglie in pieno il risultato, regalandoci una vitalità fuori dai confini del genere ed aprendo ad una sinistra vena sperimentale. Accomodatevi.