27/06/13

Bon Iver + Collection Of Colonies Of Bees!




Sono passati 4 anni da quando il primo album dei Volcano Choir ‘Unmap’ ha causato una piccolo rivoluzione underground, regalando frutti inediti in una collisione di stili che rispettasse le esigenze e le caratteristiche di entrambe le personalità in campo. Le idee furono buttate giù a distanza e successivamente coagulate in un sopraffino lavoro di studio; una creatura che ha iniziato a prendere forma progressivamente, un lavoro di cut & paste impercettibile per le orecchie meno allenate, ma un vero e proprio miracolo dove la tecnologia si è sovente piegata al volere dell’uomo.

‘Unmap’ è stato un esperimento lussurioso per usare una metafora, è stato scritto utilizzando le diavolerie dei moderni software, con un fitto scambio di file poi concretizzatosi nell’incontro definitive tra le parti in causa, in filo diretto da un’estremità all’altra del Wisconsin. Un progetto, per l’appunto, prima che i Volcano Choir divenissero a tutti gli  effetti una band ufficiale. Una’rea di condivisione per amici, in cui esplorare diversi territori musicali, senza piani prestabiliti o preconcetti di sorta. Libero sfogo alle proprie esigenze, un flusso ideale che avrebbe portato ad un abbondanza di minuti in musica scritta,  portando alla naturale definizione di una nuova identità.

Questa è la premessa necessaria d introdurre ‘Repave’ che esce questo settembre per Jagjaguwar. I responsabili dell’etichetta unitamente ai protagonisti si raccomandano di non usare il termine ‘supergruppo’ e di lasciar decadere definitivamente la nomenclatura ‘collaborativa’. Difficle però trovare un luogo ed un tempo per dare un successore a quel fenomenale esordio, un paradosso se pensiamo che i Volcano Choir hanno avuto anche modo di andare in tour in Giappone.

Eopure nel corso di 3 anni le idee si sono affastellate ed i nostri sono di nuovo a bordo di una macchina spazio-temporale. Justin Vernon (altrimenti noto come Bon Iver), Jon Mueller (un artista davvero fenomenale, che oltre ai Collection Of Colonies Of Bees è tenutario di alcuni stuopendi album dai tratti minimali per Type) , Chris Rosenau (anche lui nei COCOB, un passato che parla chiaro rispetto alle fascinazioni post rock – Pele – ed un presente vagamente improntato all’improvvisazione rock),   Jim Schoenecker (COCOB, ed innumerevole collaborazione in area impro),  Daniel Spack (COCOB) e Thomas Wincek (COCOB).

‘Repave’ è così il suono di musicisti finalmente confidenti con la propria materia, capaci di guardarsi in volto ed abbracciare una comunione stilistica. Nuove partenze, nuovi arrivi. Tutto sembra più compiuto in questo disco, corale e attaccato alle forme più celestiali di canzone popolare. Declinate secondo l’american way. C’è molto ambiente, pur se qualche brano punta su tambureggianti refrain. E’ una musica che germoglia finemente, abbeverandosi a sacre fonti. Siamo lontani dal cash & carry comunemente associato ai fenomeni indie. Sono movimenti folk concepiti come parabole orchestrali. Non c’è più un singolo uomo alla guida ed anche la vocalità abbracciata dal gruppo dice di un manifesto globale, in cui i protagonisti prendono a turno il sopravvento sulla scena. Recitando un verso, collezionando riff, inserendo break armonici e sfiorando con grazia le percussioni.

Brani che sembrano già abbeverarsi alla fonte dei classici, come'Alaskans', 'Acetate' ed il pezzo forte dell’album, la conclusiva  'Almanac'. Chimatelo folk-progressivo o musica dagli intenti celestiali, certo è che Il suono dei Volcano Choir è oggi una delle più credibili evoluzioni del cantautorato Americano,  preso tra i fuochi del dopo-rock e della musica contemporanea. Inimitabili per definizione.




Gli Explosions In The Sky al cinema




All’inizio del 2003, un giovane regista ha contattato gli Explosions In The Sky con la richiesta esplicita di poter utilizzare le loro musiche nel suo secondo lungometraggio, All the Real Girls. Il filmmaker in questione è texano d’origine e porta il nome di David Gordon Green. Mai come in questo caso la musica del gruppo americano è parsa andare a braccetto con quella di un altro compositore locale: David Wingo. E’ stata questa in assoluto la prima sincronizzazione cinematografica per gli Explosions In The Sky.

Balzo in avanti di una decade: la musica della band è divenuta parte integrante di una serie innumerevole di pellicole e programmi televisivi (citiamo Friday Night Lights, The Diving Bell e the Butterfly), Green è divenuto nel frattempo un regista di peso internazionale, non fosse altro per il suo provato eclettismo (Pineapple Express, Snow Angels). Anche Wingo è divenuto un compositore acclamato (Mud, Take Shelter) oltre che leader della piccola rivelazione indie-rock Ola Podrida. Due lustri per solidificare un’amicizia che oggi si materializza nella colonna sonora di un nuovo film: Prince Avalanche.

Pur di non alterare la natura estremamente spontanea della collaborazione, gli artisti coinvolti hanno preferito il proprio soggiorno casalingo a qualche altisonante studio di registrazione. Ci sono tanti piccoli movimenti che ben si sposano la natura del film fatto di innumerevoli e brillanti sketch. Prince Avalanche è costituito da 15 piccole miniature che solo in rari casi superano i due minuti di durata, tutto questo per dare profondità ai commenti sonori, nello svolgimento di una pellicola vivace. Come si suol dire è stata solo una questione di tempo prima che i protagonisti tornassero ad incrociare i propri sguardi critici, facendo della sintesi musica/immagini ancora un’ottima usanza.



I Califone di Tim Rutili in un western inedito





Il ritorno di Tim Rutili e dei suoi Califone porta il titolo di ‘Stitches’, una moltitudine di immagini evocative, idee e suoni, oltre i confini noti del roots-rock. La traccia che dona il titolo all’album è stata già lanciata in esclusiva dal media Pitchfork e presenta la bella interpretazione di Jessie Stein (The Luyas) alla voce. Non si è certo nascosto Rutili in questi anni e la lunga pausa che ci ha separati dal disco del 2009 ‘All Of My Friends Are Funeral Singers’, non deve certo trarre in inganno. Oltre ad aver curato colonne sonore per alcune produzioni cinematografiche indipendenti, nel 2012 si è occupato delle musiche del documentario ‘Beauty Is Embarrassing’ e della serie su Starz TV ‘Boss’.

In quel periodo tutte le attività dei Califone furono congelate per circa un anno. Poi, per incanto, il nostro si risveglia – come da un temporaneo letargo – e riprende a scrivere canzoni a getto, alcune delle quali avrebbero poi trovato spazio in ’Stitches’. Durante questo processo Tim inizia a guardarsi più intimamente, alla ricerca di una voce più onesta. Nel fare questo anche il suo songwriting è cresciuto in maniera esponenziale, un rituale che lo ha visto produrre un corpo davvero sostanzioso di brani. Un lavoro concepito lontano dalla sua Chicago – dice Rutili – che ha iniziato a registrare con Griffin Rodriguez a Los Angeles, Michael Krassner a Phoenix e Craig Ross ad Austin, portando con sé una serie nutrita di collaboratori.


Timbri spesso intimi - drum machine comprate ad una svendita locale, corde di chitarra consumate, voci fumose – sostengono l’inclinazione cinematica del lavoro. L’ascoltatore si troverà così per incanto in scenari da vecchio testamento, tra sangue e viscere, ed ambientazioni desertiche in stile spaghetti Western. Polvere ed ombre che danzano in prospettiva di un tramonto. Fiati, pedal steel ed archi colorano i contorni di composizioni quali ‘Frosted Tips’, ‘We Are A Payphone’, ‘Moonbath.brainsalt.a.holy.fool’ e  ‘Moses’. Come se Ennio Morricone incontrasse lo Jodorowsky di ‘El Topo’. Rutili ci tiene a far sapere che ogni canzone rappresenta un singolo universo. Tanto che il coinvolgere diversi musicisti in diversi luoghi ha aiutato ad innalzare la tensione delle singole composizioni. Una volontà quasi schizofrenica, che l’autore principe non ha fatto davvero nulla per nascondere.