26/04/12

I primi vagiti degli islandesi Mùm


Correva l’anno 1998, quella che a ragione poteva essere considerata la decade più frammentata della storia del pop volgeva al termine. Tutto sembrava funzionare: le chitarre indie con l’elettronica, la ricerca retrospettiva di sonorità vintage a braccetto con il sound digitale. Il pop non è mai suonato cos’ ottimista e frizzante da molto tempo a questa parte. Gunnar Orn Tynes ed Orvar Poreyjarson Smarason hanno composto musica assieme per oltre un anno, ma nessuno sembrava dar credito alla loro sapiente miscela al volgere del nuovo millennio. Carattere nomadico il loro, da uno striminzito studio di registrazione all’altro, girando mezza Europa del nord e registrando qualsiasi cosa avesse la parvenza di una composizione. Tra Reykjavik, Montpellier e Berlino si svolge l’accurato lavoro di post-produzione.

Aumentando ulteriormente il livello di segmentazione dei brani, quasi per scelta. In questa fase di assembramento i due si imbattono nelle gemelle Kristin e Gyda. Il quartetto prende cos’ forma ed ‘Early Birds’ documenta la gestazione di questo felice ed ispirato momento. Le 15 tracce che compongono l’antologia in uscita per Morr Music, vanno a caccia di rarità e versioni alternative, scavando a mani basse tra demo-tapes o edizioni limitatissime in vinile. Non mancano chiaramente gli inediti e questo necessario compendio alla loro discografia – il periodo preso in considerazione va dal 1998 al 2000 – sguazza tra note di jazz exotico e drum’n’bass, lasciando spazio sufficiente alla loro personale via al dream pop  ed una visione credibile della musica minimalista. Musica dal fascino discreto, che appassionerà vecchi e nuovi fans.

Dean Blunt ed Inga Copeland aka Hype Williams


Dopo ben tre album per diverse etichette la coppia composta da Dean Blunt e Inga Copeland – altrimenti nota come Hype Williams – approda alla corte di Hyperdub, realizzando il suo debutto lungo dopo un promettente 12 pollici. 'Black Is Beautiful' , esplicito il titolo, perché nera è proprio la loro musica, tanto nelle fosche tinte quanto nell’impianto strutturale. Un album che in 15 mosse propone volti e soluzioni intercambiabili, nel contesto di una musica ritmica distante però anni luce dal dubstep sponsorizzato dalla casa londinese. ‘Black Is Beautiful’ è sfuggente nelle sue proiezioni, non un singolo brano sembra uniformarsi all’idea della cassa in 4, i suoni sono ovattati, le atmosphere plumbee, sembra di camminare in assenza di gravità.

Rispetto ad Hype Williams c’è però la volontà di uscire dal guscio, piazzando anche qualche colpo che vada a scalfire l’idea stessa del basso-batteria, lavorando a break più definiti. Disco che impressiona nella sua varietà fornendo spunti a non finire. In questa cronistoria sembrano trovare spazio i discorsi di Malcom X -  Dean si è recentemente convertito alla Nation of Islam – le urticanti drum machine dei Suicide, l’hip-hop di stampo più radicale ed una fascinazione mai sopita per certe culture industriali (qualche estratto non avrebbe sfigurato in ’20 Jazz funk Greats’ dei Throbbing Gristle). Imprendibili, Dean ed Inga viaggiano su un’ autostrada virtuale molto simile  a quella del film Tron, la loro realtà virtuale vi affascinerà sicuramente.

Dent May e la nuova vena radiofonica


Prima di firmare un contratto con Paw Tracks nel 2009, il bizzarro Dent May  - originario del Mississippi – ha fatto musica spesso informata da un mellifluo pop, puntando religiosamente ad una trasversalità di fondo. Un situazionista nato in pratica. Con il debutto ‘The Good Feeling Music of Dent May & His Magnificent Ukulele’ ci ha restituito vibrazioni forse smarrite, un’innocenza tale da ritrovarsi nei melodrammi del cinema anni ’50, ma anche nei tanto sospirati viaggi – all’epoca -  ad Honolulu. Questa psichedelia dai tratti però intimisti non rinunciava a sortite in territori addirittura disco, facendo anche il verso ad Ashford and Simpson, in un paio di ballate dal forte denominatore black.

Suonato interamente dallo stesso May e registrato in due sessioni – la personale stanza del Cats Purring Dude Ranch ed un deposito di cotone nei pressi di Oxford, MS – ‘Do Things’ è nelle intenzioni la fotografia di una band che suona ai matrimoni sotto acido. L’innocenza degli esordi si risolve in un approccio più realista, tanto che al suono esotico dell’ukelele si sostituisce spesso lo scandire di una drum machine, che miracolosamente ci riporta in territori FM Rock. Come se la parabola di Dent May fosse oggi allineata a quella di Ariel Pink e Neon Indian.  

Torna l'ex-Mercury Rev David Baker


In principio erano i Flaming Lips ed i Mercury Rev a far rivivere in maniera stravagante il mito della psichedelia americana. Dopo l’abbandono del loro frontman David Baker i Mercury Rev divennero una formazione più classica, abbracciando le frontiere del rock più orchestrale. I Flaming Lips sono divenuti al contempo una delle band pop più trasversali del nostro tempo. Qualcuno ha continuato a tramare nell‘ombra però, considerato che eroi indipendenti come Animal Collective tanto devono proprio alla follia esistenziale dei gruppi di cui sopra. Ed in particolare dell’uomo che più di ogni altro ha incamerato gli incubi della sottocultura a stelle e strisce. Per un breve periodo David Baker si è anche fatto chiamare Shady – un disco su Beggars Banquet con questo pseudonimo nel 1994 -  per poi sparire nelle nebbie di Chicago.   

A 18 anni da quel fatidico giorno questo Syd Barrett moderno torna con la sigla Variety Lights (un omaggio all’omonima pellicola felliniana). 'Central Flow' è l’album che Fire pubblicherà a giugno, in pratica una collaborazione con il mago del sintetizzatore Will MacLean. La vena sperimentale è quella che emerge con prepotenza all’interno di queste stralunate composizioni. Registrato presso lo studio personale Over the Trees, il disco è stato concepito utilizzando una serie di espansori midi anni ’80, unitamente alla collezione di tastiere vintage dei due protagonisti. Drum machine e pedali in abbondanza hanno poi contribuito ad allargare la gamma del suono, ancor più ricca per l’uso strumentale della voce di Baker, incisa su piste multiple col fine di ricreare un effetto straniante. Troverete numerosi spunti all’interno di questo disco, echi di Pink Floyd, Silver Apples, Cabaret Voltaire e finanche Tonto’s Expanding Head Band. Non solo un’esperienza da studio, Variety Lights sarà presto in tour con una formazione di 4 elementi, per dispensare liturgici toni psichedelici ad ogni serio appassionato di chimica.

Il supergruppo del momento!


Gli Anywhere nascono come una collaborazione sull’asse Los Angeles/San Francisco, creata ad hoc dai musicisti Christian Eric Beaulieu (Triclops! scuderia Alternative Tentacles) e Cedric Bixler Zavala (At The Drive In, Mars Volta). Deciso a ritrovare una dimensione più intimista, Christian si immerge in una scrittura più acustica dando il là al progetto Liquid Indian. Nel 2010 a Los Angeles si esibisce in una galleria d’arte in cui espone l’amico Sonny Kay (personaggio cruciale nella crescita di tutta la scena post-core californiana, leader di Angel Hair e VSS ed in seguito fondatore dell’etichetta GSL).  Il destino vuole che Cedric sia presente all’evento nell’inedita veste di dj. E’ amore a prima vista, dopo alcun mesi si trovano a Los Angeles a registrare nella sala prove dei Melvins, affittando l’ingegnere del suono Toshi Kasai (Big Business). In quello stesso periodo Christian è ospite del "The Watt from Pedro Show", spettacolo incentrato sulla figura dell’ex-bassista dei Minutemen, che renderà il favore suonando tutte le tracce di basso nel debutto degli Anywhere. Di ritorno a San Francisco, Christian si mette sulle trace della cantante Rachel Fannan, recentemente fuoriuscita dagli Sleepy Sun. Anche qui l’intesa è perfetta e la vocalist regalerà due eccellenti parti cantate. Aldilà di alcuni episodi strumentali il disco è poi illuminato dall’ugola di Cedric, uno dei performer più originali di tutto il carrozzone alternative-rock.

Con la bella copertina dell’artista Alan Forbes – altra figura che incarna appieno l’eclettismo psych della Bay Area – il progetto ha anche il suo naturale sviluppo visivo. Musicalmente parlando l’ esordio omonimo per ATP ingloba le due anime di Christian. Il rapimento estatico per chitarristi quali Sandy Bull, Sir Richard Bishop (Sun City Girls) e Jack Rose da una parte, le pulsioni più elettriche di innovatori post punk come Drive Like Jehu dall’altra. Mantra moderni si rincorrono a vibranti esplosioni, in uno scenario di grande partecipazione emotiva. Una delle più belle unioni che questo 2012 poteva riservarci.

24/04/12

Sono arrivati I Mostri!


I Mostri cantano di storie ciclicamente appartenute  a tutti i romani. Ci sono le piazze, i muretti, le impennate  coi motorini sul selciato, tutto un immaginario giovanile cui davvero non si può prescindere. Esplosivi in tutto e per tutto I Mostri regalano scariche di adrenalina pura, schizzando letteralmente tra proto-punk e ska. I testi in italiano spiattellano la loro cultura, in maniera dissacrante. "La Gente Muore di Fame" – che è anche il titolo del loro debutto, in uscita a giugno per Goodfellas – esprime così un concetto essenziale, che mai come oggi sembra abbracciare tutte le categorie sociali. E’ musica da strada, velenosa per certi versi, ma capace di trovare efficaci slanci ironici, riflettendo su quella quotidianità che scorre come una pellicola neo-realista.

I sostenitori de I Mostri sono cresciuti a tempo di record, la città ha mostrato di apprezzare questo loro approccio essenziale, finanche sbarazzino. E’ una musica febbrile, una frustata: ogni ritornello rimane impresso, confermando il potenziale radiofonico di un disco destinato a fare sfracelli fuori anche dalla città eterna. Basta assistere ad una delle loro esibizioni dal vivo, dove il pubblico sembra fondersi coi musicisti in un abbraccio ‘sudato’, quasi a sfiorare la tipica coreografia da stadio. I Mostri sono reali e vivono tra di noi, proprio come nel film di Dino Risi del 1963, che omaggiano a chiare lettere. "Sono arrivati gli anni dieci e tutti sembrano infelici" cantano in "Camilla", come se la frustrazione comune abbracciasse davvero ogni categoria. Dalle strade oggetto di scaramucce di ‘Cento Lame’ alla storia dei luoghi del centro città in decadimento - ‘Piazza Trilussa’ - un viaggio in scooter tra le vie della capitale, sfrecciando tra chitarre neo-garage e ritornelli appiccicosi.

I primi due singoli estratti dall album – potenzialmente ce ne sono altri sette! – sono ‘Camilla’  e ‘100 Lame’ accompagnati dai rispettivi video.
Presentazione ufficiale del disco il  4 maggio alla Locanda Atlantide di Roma.

Tracklisting:

1)Questa è la mia città
2)I mostri
3)Cento lame
4)Scusa se
5)Noi non facciamo niente
6)1982
7)Camilla
8)Piazza Trilussa
9) Che Italia è?















iLiKETRAiNS di nuovo in sella


iLiKETRAiNS sono una di quelle band ossessionate tanto dalla storia quanto dai toni drammatici della loro musica. Arrivano da Leeds e all’interno della scena locale possono considerarsi un’autentica eccezione, come il Guardian ha ribadito sin dai loro esordi. Il debutto per Fierce Panda del 2006 – ‘Progress, Reform’ – è in realtà un mini-album che fa seguito ai singoli in tiratura limitata con cui avevano approcciato l’underground britannico. Il loro suono è più nitido, alle asperità post-punk degli esordi vengono progressivamente sostituiti arrangiamenti più ariosi, quasi a dire di una fascinazione latente per il post-rock o più in generale per certa neo-psichedelia. La storia è sempre al centro dei loro pensieri, la loro penna insegue citazioni di Captain Scott, Hjalmar Johansson – un candidato rifiutato a condurre il team antartico norvegese – e Bobby Fischer, il celebre campione di scacchi americano naturalizzato islandese.

Anche dal vivo il gruppo – ad oggi composto dai 4 membri Simon Fogal, David Martin, Alistair Bowis e Guy Bannister – vestiva le uniformi delle antiche ferrovie inglesi, proprio per dare un senso alla loro appartenenza stilistica. La prima svolta discografica arriva con l’album di debutto per Beggars Banquet a titolo ‘Elegies To Lessons Learnt’, disco che sarà un piccolo caso in patria e in altri paesi europei, non ultimo l’Italia, dove il gruppo cementa la sua fama con puntuali apparizioni dal vivo. A 3 anni da quel fortunato episodio il gruppo torna in studio per ‘He Who Saw The Deep’ disco ancor più ambizioso, licenziato da I Like Records.
Il ritorno in scena è di questi giorni, ‘The Shallow’ – ancora per ILR – danza in bilico tra luce ed oscurità. Ascolterete deliziose cavalcate post-gotiche intramezzate da lucenti squarci lisergici, all’inseguimento degli orizzonti onirici di gruppi quali Explosions In The Sky o Sigur Ros. Registrato da Richard Formby – il produtorre che ha elevato a statura di piccolo classico ‘Two Dancers’ dei Wild Beasts – l’album beneficia di una grande ispirazione, segno che i tempi sono maturi per raggiungere finalmente il grande pubblico.

23/04/12

L'eredità dei Lifetime di Tony Williams




Tony Williams era l’enfant prodige dello storico quintetto di Miles Davis, quello con Herbie Hancock, Ron Carter e Wayne Shorter tanto per intenderci. Nemmeno maggiorenne entra a  far parte di una delle formazioni simbolo del jazz moderno, lasciando un’impronta decisa sugli sviluppi della musica a venire. Una volta sposata l’elettricità Tony darà vita ad una delle più funamboliche band jazz-rock di tutti i tempi: i Lifetime! Oggi il mito rivive grazie all’iniziativa di un suo vecchio sodale, un altro mostro sacro con cui almeno una volta nella nostra esistenza ci siamo confrontati: il bassista e cantante Jack Bruce. E’ lui a capo del supergruppo Spectrum Road, che nelle intenzioni rispolvera il mito dei Lifetime di Tony Williams, con una serie di cover esplosive. L’ex chitarrista dei Living Colour Vernon Reid ricopre il ruolo che fu di John McLaughlin, una scelta logica, considerato che lo stesso Vernon ha fatto parte di una delle migliori formazioni avant jazz newyorkese degli anni ’80: i Decoding Society del tentacolare batterista Ronald Shannon Jackson.

John Medeski si cala nei panni di un altro mostro sacro – Larry Young – mentre alla talentuosa Cindy Blackman (batterista di fiducia di Lenny Kravitz ma anche del tardo Santana) spetta l’incombenza di inseguire i pattern ritmici dello stesso Williams.
Il nome stesso della band arriva da una delle tracce più esplosive dei Lifetime ed il disco in uscita per Palmetto a giugno non fa che assicurare una continuità delle leggenda jazz-rock. Forti di questa eredità gli Spectrum Road calcheranno i palchi delle maggiori rassegne jazz internazionali, con tappe fondamentali al nostro Umbria Jazz, al North Sea Jazz Festival di Rotterdam ed al norvegese Molde Jazz.

Shannon Stephens incontra Bonnie Prince Billy


Pull It Together – previsto a maggio per Asthmatic Kitty - è il terzo album di Shannon Stephens, la cruciale prova del nove, come si conviene a chi frequenta i territori intransigenti della musica pop-rock.  Ogni accenno di vulnerabilità è stato spazzato via in favore di una fiera confidenza nei propri mezzi, frutto di un’esperienza guadagnata sul campo. La voce della Stephens si è liberata della tipica – spesso indulgente - autocoscienza giovanile per lasciare spazio ad una convinzione inedita. Una maggiore discrezione lirica va a braccetto con una scrittura più attenta, matura. Le emozioni sono distillate in brani caldi, di grande trasporto.

Dalle dolci note di “What Love Looks Like” a “Your Fabulous Friends” il cinismo è spesso bilanciato da generose dosi di humour ed empatia. “Faces Like Ours” in cui alla voce si affaccia Bonnie Prince Billy (Will Oldham)  - l’altro ospite del disco è DM Stith - è un pò la summa di questo sentimento agro-dolce che sembra speziare i brani. E’ il disco anche più accessibile della Stephens, che inseguendo un filo rosso che da Joni Mitchell porta a Vanessa Williams,  ricuce gli strappi della tradizione a stelle e strisce. Provate a chiamarlo pop dallo spirito pragmatico, quello che è assodato è che vi confronterete con un’artista finalmente conscia dei propri mezzi.

L'inconfondibile voce dei Blue Nile




Leader della leggendaria formazione soul pop di Glasgow The Blue Nile, lo scozzese Paul Buchanan è qui all’esordio solista, dopo una carriera eccelsa coronata da almeno un album capolavoro come ‘Hats’ , dato alle stampe nel 1989 da A&M. A maggio vede la luce per l’indipendente Newsroom Records ‘Mid Air’, un disco che mette davanti a tutto l’eleganza di una scrittura adulta. 14 brani scritti e prodotti dallo stesso Buchanan, registrati tra la costa orientale della Scozia – praticamente a casa – e presso i Gorbals Sound di Glasgow.  Un disco straordinariamente intimo, dagli arrangiamenti semplici e spontanei, con un pianoforte a dettare le coordinate ritmiche su cui si posa la voce vellutata di Paul.

Il formato canzone è rispettato in ogni suo crisma, finanche la durata dei brani che quasi mai sfonda il tetto dei 3 minuti. "Se avessi provato a fare un disco che suonasse come la band originale, sarei stato piuttosto teso, questo è in fatti un album più raccolto. Piccolo nella statura, con pezzi brevi, ma non fraintendetemi, la sua lavorazione mi ha comunque tenuto desto la notte" Riflette così a voce alta Paul, dando l’idea di una fuga emotiva, di un punto per raccogliersi. Canzoni come miniature, che ci fanno assaporare un senso lirico innato, un distillato dell’arte di Buchanan, un’intensità espressiva che non ha pari. E’ una dimensione rara a trovarsi nel traffico e nella guerriglia estetica quotidiana. Canzoni che lasciano il segno, un’arte difficile da insegnare.

19/04/12

I Melvins cambiano ancora


Anticipato da tempo, il nuovo album dei Melvins ha oggi un titolo. Freak Puke, ancora una volta sotto l’egida di Ipecac, sarà disponibile in tutti i negozi di dischi a inizio giugno. Cambia per l’occasione la sigla, tanto che il nuovo organigramma prevede al fianco degli storici Buzz e Dale un personaggio quanto mai eclettico come il bassista Trevor Dunn, già con Fantomas e Mr. Bungle.

Proprio nell’idea di proporsi con line-up di volta in volta rivoluzionate il gruppo ha trovato l’elisir di giovinezza. A livello strutturale i Melvins tornano con decisione ad atmosfere più tetre e subdole, facilitati in questo dalla presenza di uno strumentista eccezionale. Trevor Dunn lascia nella custodia il basso elettrico ed opta per il contrabbasso pur se debitamente amplificato. Un elemento percussivo in più se volete, anche se la dimensione della band rimane selvaggia, straziante, forse solo un pizzico più meditabonda. E’ una continua sfida verso l’ignoto, verso il futuro che sopravanza. I Melvins non hanno dubbi rispetto all’antidoto da assumere, musiche che rimangono ad alto voltaggio, magari concedendo di più all’elemento psichedelico e ad una forma di barbaro neo-classicismo (l’archetto usato da Dunn per sfregare il suo strumento ad esempio).

Pronti ad imbarcarsi nell’ennesimo tour di una sconfinata carriera – 21 date soltanto negli States con altri delegati del rumore bianco come gli Unsane – i Melvins ci dimostrano che cambiare è lecito, pur mantenendo quella poderosa personalità. Solo loro potevano infatti pensare di sconvolgere un classico di Paul McCartney e dei suoi Wings - ‘Let Me Roll It’ - con quel demoniaco flusso boogie.

Giant Giant Sand!


Quando pensavate che i Giant Sand non potessero più crescere a livello esponenziale, Howe Gelb ha provveduto a rinsaldare le fila del gruppo, espandendo e magnificando la sua visione con la nuova versione dei Giant Sand, chiamandola – appropriatamente – Giant Giant Sand. Gigante al quadrato dunque ed un omaggio alla terra che ha adottato questo grande musicista: Tucson, Arizona. Nominalmente un’opera country rock, il disco in uscita a giugno per Fire è uno dei lavori più coraggiosi concepiti da Howe.

Tra i membri di questa atipica orchestra riconoscerete una buona presenza di musicisti danesi, da almeno dieci anni coinvolti nel progetto, oltre ad una sezione archi nuova di zecca (rigorosamente nordica) e al talento cristallino di Maggie Bjorklund alla pedal steel. Sul fronte americano c’è l’ingresso di alcuni musicisti di Tucson oltre al ritorno di una vecchia collaboratrice come Lonna Kelley, con il suo inconfondibile accento, da un altro luogo principe dell’Arizona: Phoenix.

Per anni un lavo così ambizioso era stato inseguito da Howe, che forte di uno stuolo di musicisti così composito non ha certo messo da parte le sue velleità. Il deserto è protagonista della narrazione, con un personaggio dal passato tribolato e dal presente ancor più incerto, anche per l’ incontro con le autorità al confine con il Messico. La cosa viene trasposta in musica in maniera esaltante, merito anche di Brian Lopez, Gabriel Sullivan e Jon Villa che con il oro stile tex-mex (informato anche dalla cumbia) preconizzano l’arrivo dei mariachi. Disco concettuale e dalla varietà intrinseca notevole, Tucson fotografa un campione assoluto dell’americana, nel momento della sua rinascita artistica.

L'America del soul e dell'r&b declinata dal giovane talento Nick Waterhouse

Nick Waterhouse è il nuovo sangue, un 25enne che sembra mandare a memoria la storia del soul e dell’ r&b, nemmeno fosse un veterano. Con la sua personalità si inserisce nel solco di artisti che già hanno rinvigorito la tradizione black, dalla battagliera Sharon Jones ad Aloe Blacc, per fare un paio d’esempi. Bianco ed elegantemente old-fashioned - basti una panoramica sui suoi abiti e su quella stilosa montatura d’occhiali - il produttore californiano di Huntington Beach debutta sulla lunga distanza per Innovative Leisure. L’ispirazione per Nick arriva da lontano, una sorta di jukebox extra-temporale che suona le hit del rhythm’n’blues degli anni ’50 senza soluzione di continuità. Vintage è dunque la parola d’ordine ed in questo suo viaggio Nick ci prende per mano, introducendoci alle delizie che un tempo spopolavano nelle sale da ballo di New Orleans, Detroit o Memphis.

Accompagnato dai fidi The Tarots – al secolo Jeff Luger, Kyle Stephens, Jesse Toews, George Schafer, Paige Sargent e Michelle Shofet – il nostro si destreggia bene anche sul palco impugnando una Les Paul modello ‘diavoletto’ ed ancheggiando nemmeno fosse un Buddy Holly tornato dal futuro. ‘Time’s All Gone’ è stato registrato presso il leggendario Gold Star Studios Lathe, la medesima sala d’incisione da cui sono passati l’alchimista del suono Phil Spector ed i campioni del surfin’ Usa The Beach Boys.

Scorrendo nella pagina facebook ufficiale dell’artista c’è una frase in particolare che ci piace estrapolare:"You can teach a person notes, you know, you can teach a person to play the piano, go to voice school, but the one thing you can't teach, is you can't teach feeling." Parole non a caso recitate da Ray Charles, uno spirito affine.

18/04/12

La tradizione romanesca della BandaJorona


Il nuovo disco della BandaJorona, “Mettece Sopra” (Goodfellas) è uno scrigno; aprendolo vi si trovano quattordici brani stupendi, in cui la cultura popolare domina ed incanta. E’ un disco tradizionale e moderno allo stesso tempo, in cui brani del passato sono posti al fianco di composizioni originali. E’ un disco prettamente acustico, ma con una forza espressiva notevole, con musicisti di grande valore ed esperienza, un pugno di ospiti straordinari, e su tutto la voce potente della “Jorona” Bianca Giovannini, autentica erede delle migliori cantanti che la cultura romanesca abbia espresso. Tra i brani tradizionali l’inedito “Angelina”, storia di un infanticidio raccontata alla maniera del “fattaccio” (dalla ricerca di Graziella Di Prospero). Tra le collaborazioni presenti nel disco: Giorgio Tirabassi, Filippo Gatti, gli Yo Yo Mundi, Tony Cattano, Lutte Berg, gli Evì Evàn, Remo Remotti, Alessandro Mazziotti, Giampaolo Felici degli Ardecore, Piergiorgio Faraglia, Marian Serban.

L’intento della loro ricerca - un percorso artistico e umano tanto lungo quanto appassionante e pieno di sorprese - è quello di scattare una fotografia della Roma che si vive ogni giorno: personaggi che vagano nei nuovi quartieri bohémien e popolari della capitale, situazioni di precarietà lavorativa ed esistenziale e momenti di poesia imprevedibile, invenzioni linguistiche inaspettate e incontri con i portatori di memorie antiche - dagli anziani partigiani ai migranti delle generazioni passate e attuali - e di culture “altre”. Questo è il mondo che hanno cercato di raccontare nella serie di brani che costituiscono il loro nuovo repertorio.

Bianca Giovannini “la Jorona”- voce

Daniele Ercoli - contrabbasso, cori

Ludovica Valori - fisarmonica, trombone, cori

Désirée Infascelli - mandolino, fisarmonica

16/04/12

This Is Pil!


Primo lavoro in 20 anni per la ritrovata formazione inglese, al solito guidata dal beffardo John Lydon aka Johnny Rotten, membro fondatore dei Sex Pistols. ‘This Is Pil’ è la dichiarazione d’intenti con cui il quartetto si ripresenta al grande pubblico, affidandosi per la prima volta a canali indipendenti. Il 28 di maggio sarà proprio il marchio Pil Official a licenziare l’atteso disco, che vede Lydon collaborare con nuovi partner. Lu Edmonds – precedentemente coi Damned e chitarrista per i Pil di ‘Happy?’ e ‘9’- Bruce Smith – batterista per Pop Group e Slits – e Scott Firth – bassista già al seguito di Steve Winwood , John Martyn ed Elvis Costello.
I 13 brani del disco son stati incisi presso lo studio dell’ ex-Traffic Steve Winwood, a Cotswolds, e rinnovano la formula vincente che ha reso i Pil una delle formazioni più influenti della rivoluzione post-punk. Una musica ossessiva, che mai rinuncia alla rotondità della musica dub, cercando sempre una via eclettica alla forma canzone. Ogni singolo avvenimento di portata sociale sembra investire le liriche di Lydon, il cui declamare è prossimo ad un’autentica catarsi spirituale. Dal singolo apripista ‘One Drop’ a possibili nuovi anthem come ‘Deeper Water’ e ‘Lollipop Opera’, una vera e propria escalation sonora che non prende prigionieri!

Unica data italiana il 2 giugno al Rock In Idrho di Milano

12/04/12

Inedita colonna sonora per Black Mountain


Year Zero dei Black Mountain oltre ad essere una colonna sonora mozzafiato è anche il miglior tributo possibile al formato vinile, tanto da esser pubblicato unicamente in Lp per la gioia dei numerosi supporter del formato. 45 minuti di musica che mettono in fila ben cinque brani inediti ed altrettanti brani di repertorio a quanto pare selezionati dagli stessi fans del gruppo. L’anima lisergica del gruppo canadese viene fuori prepotentemente, tra chitarre acide, percussioni sparse e voci sinuose. Un’ altalena emotiva che sposa le immagini in maniera decisa, rendendo possibile la comunione tra uno degli sport più solari ed un sound solo apparentemente oscuro.

Originale anche il format della pellicola, filmata letteralmente in giro per il mondo in 16 millimetri ed ammantata da una patina post-apocalittica. Il regista Joe G. racconta le gesta di un gruppo di sopravvissuti ad una sorta di disastro globale, pronti a rifugiarsi in un paradiso perduto che li riporta idealmente alle origini del mondo. Un film che altera le stesse dinamiche di genere, tanto che attraverso la tavola da surf Joe G. sposa un concept di chiara natura ambientalista. E chi meglio dei Black Mountain poteva dare consistenza ad immagini così ricche di dettagli e scenari mozzafiato?