28/10/11

Le attese ristampe dei Throbbing Gristle!


Per la prima volta in 30 anni i Throbbing Gristle fanno ritorno alla loro etichetta madre, la Industrial Records. Un evento celebrato da una serie di ristampe che rende finalmente giustizia all’opera pionieristica della formazione inglese, una delle realtà più anticonformiste di tutto lo showbiz occidentale. L’occasione è ghiotta, i primi cinque album della band costituita da Chris Carter, Cosey Fanni Tutti, Genesis P-Orridge e dal compianto Peter ‘Sleazy’ Christopherson, rivedono la luce in versioni extra-lusso. Disponibili in ambo i formati, i lavori sono stati rimasterizzati secondo la tecnologia 24bit dallo stesso Carter che ha utilizzato come fonti gli originari nastri analogici.

Nuova vita dunque per ‘Heathen Earth:The Live Sound of Throbbing Gristle’, ‘20 Jazz Funk Greats’ , ‘D.O.A. The Third And Final Report Of Throbbing Gristle’, ‘The Second Annual Report Of Throbbing Gristle’ e ‘Throbbing Gristle's Greatest Hits’.

Tutti i vinili sono disponibili nel formato 180 grammi, con la riproduzione meticolosa degli art work originali, avendo potuto attingere al materiale dell’archivio Industrial Records. Ogni album contiene un esclusivo booklet di 8 pagine, comprendente contributi scritti d’epoca ed un considerevole numero di foto inedite. Ogni uscita è limitata a 2000 esemplari.

Per quello che riguarda i cd il programma è ancor più interessante. Confezione apribile con contenuti diversi per i libretti che accompagnano ogni ristampa. Ogni cd contiene un secondo disco di extra che è proprio il tocco in più che suggella l’intera operazione. Raccogliendo le numerose testimonianze dal vivo ed i singoli – qui presenti in versioni alternative - i contenuti si fanno davvero fitti ed omnicomprensivi, dando un valore stellare all’intera campagna. Anche il Greatest Hits contiene due inediti mix degli anni ’80. Motivo in più per rinnovare la discografia dello storico quartetto formatosi nella metà degli anni ’70 a Londra.

King Midas Sound - Without You (Hyperdub Records)


Dopo aver praticamente ridefinito i confini tra dubsteb e trip-hop con un disco di debutto dalle tinte fosche - che in alcuni casi ha portato a paragoni importanti con Tricky – il trio allestito dal veterano Kevin Martin torna con un album di remix, che ne sposta ulteriormente il bacino d’utenza. Forte della sua lunga militanza negli ambiti dell’elettronica di ricerca e della club culture meno ossessionata dai ‘numeri’ e dalle masse, Martin trasforma Waiting For You in Without You, un nuovo parto discografico a tutti gli effetti. Impiegando artisti così diversi, il progetto assume nuovi connotati tanto che gli stessi strumentali originali vengo reinterpretati con piglio da inediti vocalist.

Nel dettaglio ci si esalta per il lavoro di fino del nuovo eroe di casa Planet Mu Kuedo, che apre con il vibrante valzer elettronico di ‘Goodbye Girl’, prima che D Bridge con il suo grazioso falsetto ingentilisca le note di ‘Blue’destinata a cambiar titolo nella title-track del nuovo disco

Il remix di ‘Lost’ curato dall’asso losangeleno Flying Lotus, diviene uno stravagante numero da dancehall, mentre è più meditativa la versione dello stesso brano ad opera dell’eroina witch house Nite Jewel, che lo trasforma in un numero a mezza via tra funk sintetico e colonna sonora di un videogioco della Arcade. I Gang Gang Dance si superano in una versione al fulmicotone di ‘Earth A Kill Ya’, mentre Rob Lowe, meglio noto come Lichens e collaboratore di Om, lancia ‘Goodbye Girl’ in un vortice minimalista di sintetizzatori modulari. Non meno affascinante l’ingresso di Joel Ford (del duo Ford And Lopatin) che canta in maniera nitida una ‘Say Something’ che si trasforma in primizia new wave. E se vi dicessimo che il buon vecchio Green Gartside – in arte Scritti Politti – ridà incredibilmente voce a 'Come And Behold' ? Credereste nell’ulteriore miracolo?

Il punto è questo, Without You può essere a ragione considerato il nuovo album di Kevin Martin, che forte di collaborazioni così importanti rivede la sua opera recente, reclamando lo scettro di producer elettronico dell’anno. Ancora una volta.

Dead Skeletons - Dead Magick (A Records)

Jón Sæmundur, Henrik Björnsson e Ryan Carlson Van Kriedt rappresentano la tipologia di rocker scontrosi e misteriosi, gente che magari ama nascondersi dietro una coltre di ghiaccio secco anche alle porte del club di provincia. Di loro si è presto invaghito un altro personaggio noto per il suo carattere ‘forte’, Anton Newcombe, non solo tenutario di A Records, ma anche deus ex-machina dell’istituzione californiana Brian Jonestown Massacre.

La via minimalista al rock’n’roll di questa formazione nord europea ha del fenomenale. Lo schema impone la ripetizione, ma dimenticate pure tutte le facezie del nuovo shoegaze, perché i ragazzi hanno un piglio davvero nervoso e non sono necessariamente in vena di convenevoli. In poche parole, i fiori del vostro piccolo orto sono seriamente a rischio. Essendo il loro approccio musicale molto prossimo ad una vera e propria filosofia di vita, il consiglio unanime è quello di fruire integralmente della loro opera. Questi islandesi non prendono prigionieri e la loro matrice sonica tradisce influenze importanti. Dai Grateful Dead ai Black Sabbath, passando magari per certe inquietanti formazioni proto-punk australiane o per le più oscure bande della wave newyorkese.
Non c’è nulla di accomodante nel loro sound, tanto che questo Dead Magick pare un commento a latere sulla fine dei nostri tempi. Una danza propiziatoria sulle macerie della cultura occidentale, con il rock’n’roll che diviene intrattenimento macabro, incorreggibile.







26/10/11

Jonti - Twirligig (Stones Throw)

Poli-strumentista, arrangiatore e cantante dalla personalissima ugola, Jonti ha iniziato a comporre musica poco dopo aver lasciato il natio sud Africa alla volta dell’ Australia. Un’adolescenza praticamente trascorsa nell’apprendere nozioni dai dischi, come se fossero dei veri e propri audiobook. Una devozione unica che gli ha permesso di incamerare i cosiddetti trucchi del mestiere, che in tempi brevissimi ne faranno un produttore à la page. I primi test non possono che essere casalinghi, con l’uso di un 4 tracce capace di rendere le sue astruse pratiche materia viva.
Presto l’eco di questo talento in erba raggiungerà il fronte occidentale, Jonti registrerà in rapida successione con il vivace ed eclettico chimico pop Mark Ronson, sarà a New York per spalleggiare la vocalist Santigold, e per sedere allo stesso tavolo di Sean Lennon oltre che servire quel favoloso organico a nome Dap-Kings. Le amicizie in alto possono essere tentatrici, ragion per cui il musicista ha ben deciso di intraprendere la strada opposta per il suo debutto targato Stones Throw. Ha fatto tutto da sé, dall’inizio alla fine, senza in questo delimitare le sue progressioni e le sue capacità realizzative. Il boss del’etichetta - Peanut Butter Wolf – pur riconoscendo il valore pop di alcuni suoi brani, sottolinea come gli arrangiamenti di Jonti pur in veste solista siano magniloquenti. Roba da togliere il respiro. Ed è esattamente quello che accade in quest’opera prima densa di particolari. Folktronica, memorie vintage, alfabeto sixties rivisto e corretto, funk bianco. Viene da pensare ad un’incarnazione contemporanea di giganti quali David Axelrod e Galt McDermot. E già questo paragone dovrebbe lusingare non poco un’artista dal luminoso avvenire.

Incredibilmente originale, inusuale, una delle cose che più entusiasmanti che abbia ascoltato di recente (MARK RONSON)

Jonti ha definitivamente il suo stile, una cosa che rende eccezionale qualsiasi esperienza professionale con lui stesso. È’ un grande musicista. (ALBERT HAMMOND JR, THE STROKES)




25/10/11

Il ritorno dell'ex-enfant prodige Ben Lee


In principio erano i Noise Addict, giovanissimi punk rockers dalla terra dei canguri. Una scommessa per la Grand Royal dei Beastie Boys che in loro vide quella genuina carica adolescenziale, che fece proprio la fortuna degli autori di Licensed To Ill. Il sodalizio con Grand Royal prosegue anche per i due primi album solisti, incisi ancor prima di raggiungere la maggiore età. In particolare Somethjing To Remember Me By sarà un piccolo caso nell’universo indie americano, introducendo i romantici versi del nostro, convertitosi rapidamente ad una sincera forma cantautorale.

Il suo ritorno in scena con On Deeper Into Dream esamina proprio il complesso universo dei sogni, che spesso fornisce complesse indicazioni sulla stessa esistenza quotidiana. In oltre 20 anni di ‘militanza’ nell’industria musicale, Ben ha sempre riservato grande attenzione all’argomento, lasciando che la soglia onirica prendesse spesso il sopravvento nelle sue liriche. Con un album che sfiora l’idea di concept, Ben completa un suo percorso personale, accompagnato in questi dodici brani - dal morbido piglio indie-pop - da collaboratori di tutto rispetto. A bordo un vecchio amico come Nic Johns, Lara Meyerratken e la figlia d’arte Petra Haden. Noah Georgeson (The Strokes, Devendra Banhart, Joanna Newsom) si è seduto dietro al banco di regia per rendere ancora più vivida questa testimonianza.

In contemporanea alla pubblicazione del nuovo album per Lojinx, è da segnalare l’uscita del documentario Catch My Disease – qualcosa come 8 anni per l’ assemblaggio definitivo – del regista Amiel Courtin-Wilson, la cui prima è stata al Melbourne International Film Festival di agosto. Il film cattura la vita di Lee, la sua carriera artistica fino all’arrivo della primogenita Goldie.

Stiv Cantarelli, la via italiana al roots americano


Accompagnato da membri di Richmond Fontaine – con tanto di cameo vocale del leader/scrittore Willy Vlautin - Stiv Cantarelli ci regala la sua personale visione alternative-country, aprendo le porte su un polveroso sentiero desertico.

Nel 1999 - come leader dei Satellite Inn – sigla il suo primo contratto con Mood Food Records. Il disco di debutto - Cold Morning Songs – ottiene immediatamente riscontri positivi un pò in tutti gli States, proprio per il suo personale approccio all’americana, foraggiato da un attitudine country-punk che certamente ne incrementa l’originale natura.

Oltreoceano si parla proprio di autenticità del suono, e aldilà delle origini mediterranee del nostro – Cantarelli è fiorentino – vengono stilati paragoni di tutto rispetto con gli interpreti più accreditati della tradizione, dai Son Volt ai Jayhawks, passando per gli Uncle Tupelo.

La sua è stata la prima band italiana ad esibirsi al CMJ di New York, ma dopo appena due tour negli Stai Uniti, l’etichetta dichiara bancarotta. E’ in quel momento che Stiv si dedica al progetto Gold Rust, un band di orientamento roots influenzata dal miglior pub rock dei primi '70. Il debutto omonimo è un successo non solo in Italia, ma anche nel resto del vecchio continente, con relativi e fortunati tour. Nel 2006 anche quest’esperienza si chiude, è il preludio all’avventura solista del nostro. Il suo debutto per El Cortez è stato concepito in due momenti nevralgici: durante il tour europeo con i vecchi amici Richmond Fontaine e al termine dei concerti che lo hanno visto aprire per l’ex-Husker Du Bob Mould.

L’attitudine di Stiv omaggia l’ultimo decennio di musiche tradizionali americane, rifacendosi anche ad un cantautore come Steve Earle, suo eroe adolescenziale al pari dei tardi Husker Du ed Uncle Tupelo, altri incontrastati miti. La band di Stiv - The Silent Strangers – girerà in Olanda, Germania ed Inghilterra in autunno, aprendo le date proprio di Richmond Fontaine.

24/10/11

Hanni El Khatib - Will the guns come out

Figlio di immigrati palestinesi e filippini, Hanni El Khatib è cresciuto a San Francisco, innescato da un vero e proprio dinamitardo cocktail fatto di cultura skate, punk rock e classica americana degli anni ’50 e ‘60. Influenzato da pionieri del primo rock’n’roll ed R&B, il giovane poli-strumentista e produttore riscrive a suo modo i passi salienti della tradizionale Bibbia musicale, mettendo sul piatto elementi descrittivi di blues, soul, garage rock e doo-wop. Sembra aver maneggiato con la giusta lungimiranza i materiali di icone quali Johnny Brunette, The Cramps e Sam Cooke, badando in maniera maniacale ai dettagli. Chitarre che come feroci alligatori emergono dalla palude, una voce che sa di consumato crooner, ed un’atmosfera old fashioned che rispecchia la sua immagine rigorosamente ’impomatata’.
La sua personale rivisitazione di “I Got A Thing, You Got A Thing, Everybody’s Got A Thing” dei Funkadelic (che troviamo come traccia bonus nel suo album di debutto) è stata selezionata dalla Nike per la campagna globale del 2001 “Just Do It”, una responsabilità non da poco…
Ma il ragazzo ha coraggio anche nel confrontarsi con gli standard, quella You Rascal You – già interpretata a suo tempo da Louis Armstrong e John Fogerty dei Creedence Clearwater Revival – diventa un feroce down tempo garage blues. Mentre l’omaggio trasversale a Elvis in Heartbreak Hotel è quanto meno dovuto.
Artista di punta del giovane marchio Innovative Leisure, Hanni è - indirettamente - una star televisiva, tanto che alcuni suoi brani si son fatti breccia in gettonatissime serie: Hung (HBO), Shameless (Showtime), Gossip Girl (CW), Vampire Diaries (CW), United States of Tara (Showtime), Chicago Code (Fox), Salvation Boulevard Trailer, Rookie Blue (ABC) &e Teen Wolf (MTV)

“This is going to be one of the best records of 2011, guaranteed.” - LA RECORD





The Ballad of Mott the Hoople


Una delle più importanti formazioni inglesi a cavallo tra i tardi ’60s ed i primi ’70! Il gruppo che prese un brano di David Bowie - All the Young Dudes - per trasformarlo in un anthem generazionale. Poi quella pazzesca iconografia, con un cantante dall’inconfondibile acconciatura ed un paio d’occhiali scuri inforcati giorno e notte.
The Ballad of Mott the Hoople è così un documentario che racconta in maniera dettagliata la storia di una delle più influenti rock ‘n’ roll band d’Albione. Un vero e proprio film che prende vita grazie alla fortunata combinazione di rare immagini d’archivio ed interviste raccolte su campo con tutti i protagonisti di quella fortunata stagione: dal leader Ian Hunter, passando per gli altri componenti del gruppo Mick Ralphs, Verden Allen, Dale “Buffin” Griffin, Luther Grosvenor aka Ariel Bender e Morgan Fisher.
Non mancano peraltro celebri ‘associati’ e fan sfegatati come Mick Jones dei Clash, Roger Taylor dei Queen ed il presidente del fan club Mott “Seadivers” Kris Needs, un uomo che abbiamo apprezzato per i recenti due volumi di Dirty Water, strepitosa antologia sulle origini e le diramazioni del punk. Un’ora e quaranta minuti in cui assaporare l’ascesa e l’implosione della band, all’apice del successo. Dal primigenio incontro con il visionario Guy Stevens – il loro manager tuttofare - fino alle luci della ribalta londinesi ed il viaggio in America che avrebbe corrisposto con lo stardom internazionale. C’è anche lo show reunion del 2009 all’ Hammersmith Apollo – sold out, manco a dirlo – con il cameo di un altro vecchio collega come Jimmy Page. E a proposito di chitarristi straordinari, non vengono certo tralasciati nel documentario i magnifici della sei corde che han prestato temporaneamente servizio all’interno della band: Mick Ralphs, Ariel Bender ed il rinomato Mick Ronson. Il DVD contiene un booklet di 12 pagine con liner notes curate da Morrissey, un set limitato di 5 cartoline ed oltre un’ora di contenuti extra.

Now Again Records presenta: East Of Underground: Hell Below


Una piccola celebrazione in sè. Il soul, il funk ed il rock a cavallo tra i sessanta ed i settanta, rivisto dai numerosi corpi militari in servizio durante gli anni della guerra nel Vietnam. Un album che ebbe anche scopi propagandistici, al fine di recrutare forze fresche nell’esercito stesso…

Quasi un paradosso storico, con alcune delle forze speciali di stanza nel territorio asiatico a confrontarsi coi pezzi forti del tempo, attingendo soprattutto al repertorio black e a brani che inneggiavano alla fratellanza spirituale e all’emancipazione. East of Underground, The Black Seeds e The Sound Trek erano i nomi dei gruppi sparpagliati nelle basi della Germania occidentale. Non è lecito sapere molto sui componenti delle formazioni, aldilà delle poche testimonianze fotografiche che si possono scorgere presso la New York Public Library.
Pazzesco il lavoro di ricostruzione ancora una volta patrocinato da Now Again, che in combutta con lo US Army e numerosi collezionisti in giro per il mondo ha assemblato questo documento dalla valenza straordinaria, non solo per ogni appassionato di musica soul e funk che si rispetti.

Sponsorizzate dagli stessi quartier generali dell’ arma, i famosi contest Battle Of The Bands generarono un numero spropositato di formazioni satellite. Ai posteri rimane poco di queste fantomatiche ed improvvisate formazioni, solo un membro originale ha partecipato materialmente al completamento di quest’antologia. Sugli altri protagonisti vige il più ostinato silenzio. Qualcuno sarà attivo sotto falso nome, qualcun altro avrà abbandonato l’attività oltre 30 anni or sono e – nella più funesta delle ipotesi .- qualcuno sarà caduto proprio sul campo di battaglia.

Ogni box riproduce fedelmente l’originale iconografia dello United States Army. Nel booklet colorato che accompagna questa edizione deluxe non mancano appunto ricostruzioni storiche ed elementi di colore, capaci di contestualizzare storicamente l’intera operazione. L’ulteriore chicca è data da una fedele riproduzione del poster originale di East Of Underground, nell’unico tour del 1971. In questa scaletta pazzesca riascolterete fedelissime rivisitazioni di Higher (Sly & The Family Stone), Smiling Faces (Norman Whitfield/Undisputed Truth), People Get Ready (Curtis Mayfield), Walk On By (Burt Bacharach), Ain’t No Sunshine (Bill Withers), Black Magic Woman (Santana), etc.

L'esordio di Ital Noiz su Universal Egg


Una via rivoluzionaria e sensibilmente moderna al roots reggae, con la componente elettronica e la sferzata creativa di tutta la club culture a dare manforte al progetto Ital Noiz, creazione del bassista e cantante Giulio Ferrante – in arte Giuliobass - e del tastierista ed ingegnere del suono Angelo "MrFasa" Morrone. E’ l’incontro tra i due musicisti a dare vita a questo Sound System ridotto, che costruisce attorno ai ritmi in levare una nuova stagione.

Giulio – anche alla voce –è uno dei membri fondatori della storica compagine romana Radici Nel Cemento, lo stesso Angelo è entrato ufficialmente nella band dal 2006, dopo l ‘avventura in Taxi 109. Il duo costituisce il nucleo centrale del progetto, attorno al quale ruotano di volta in volta collaboratori esterni, siano essi cantanti o musicisti di rango. In quest’ottica è da notare la varietà del sound che sposa sicuramente le istanze del reggae/dub fino toccare le metamorfosi del dancehall style più contemporaneo.

La formula vicente di Ital Noiz è presto svelata: da rivisitazioni di brani roots in chiave dub a digressioni techno-dub, in una ricerca dell’effetto ipnotico mai fine a sé stesso, condito da campioni e loop creati ad arte da MrFasa sulla dub station. Pur avendo base a Roma la volontà dei musicisti è quella di esportare il proprio ‘calibrato’ messaggio in ogni dove. Da qui la collaborazione con Neil Perch degli Zion Train, che frutterà un singolo (Ital Noiz) pubblicato da Universal Egg nell’ estate del 2010. E’ solo il preludio al grande debutto sulla lunga distanza, registrato a Roma e mixato in Germania dallo stesso Neil Perch.

Un disco incredibile Everyday Jungle – pubblicato ancora una volta da Universal Egg - dove trovano spazio brani di sicuro intrattenimento e dove certo non mancano riflessioni argomentate, grazie agli sferzanti contenuti lirici di una formazione che cerca di veicolare una manifesta critica sociale. Notevoli in questo senso gli interventi vocali di Giulia Lenti, in arte Julia Kee, che presta la sua voce a due delle tracce più incalzanti del disco: Too Much – un singolo che per la sua componente elettronica potrebbe trionfare nei club di mezza Europa - e Lady Dub, un profondo dub/roots in cui si sviscera l’ amore per questo stile. Tra spinte futuriste e ricordi di una tradizione nera storicizzata gli Ital Noiz saldano le fondamenta di un progetto destinato a solcare i mari profondi del dub da qui all’eternità.

Universal Egg: http://www.wobblyweb.com/ue/

18/10/11

Goodfellas ristampa il primo Picchio Dal Pozzo


Goodfellas è lieta di annunciare la ristampa del primo, storico, album di Picchio Dal Pozzo; originale gruppo pop italiano degli anni settanta, influenzato dal suono eclettico e poetico di Canterbury. Un disco che appare come una profonda evocazione del suono dolce e obliquo di quella irripetibile stagione. Una densa alternanza tra materiale meticolosamente composto e ampie zone di suono aperto. Un paesaggio sonoro ricco e stratificato, dal quale affiorano gocce di jazz, ondate di minimalismo, aperture pop, armonie liquide, voci e testi profondamente patafisici.

Un viaggio sonoro tra echi di Hatfield & The North, Soft Machine, Henry Cow e Zappa.
Album apertamente dedicato a Roberto Viatti e pubblicato nel 1976 da Grog Records

(Corte Dei Miracoli, Latte E Miele, Celeste) venne successivamente ristampato solo in Giappone;Una ristampa accuratissima (prodotta in collaborazione diretta con la stessa band genovese) disponibile in vinile vergine 180gr e in cd digipack con il brano extra Seulement(registrato dal vivo a La Spezia nel settembre del 1979).

 

10/10/11

Nino Bruno incontra il cinema di Paolo Sorrentino


Il ritorno in studio di Nino Bruno è anticipato da un evento cruciale. Da quel primo incontro – datato 1996 - del musicista con Paolo Sorrentino nasce un’amicizia importante, oggi suffragata da un cameo nel film ‘This Must Be The Place’ – in tutte le sale dal 14 ottobre – dove il brano interpretato da Cheyenne (Sean Penn), rocker lontano dai clamori della folla dopo numerose sventure personali, è stato proprio firmato da Bruno. Interpretato originariamente da David Copley, bluesman americano e giramondo incontrato casualmente in quel di Napoli, "Every Single Moment In My Life Is A Weary Wait" diviene qualcosa di ancor più stuzzicante in mano al celebre attore, folgorato al primo ascolto dalla melodia molto ’80 del pezzo.

Prestando giuramento al dogma 8 – laddove l’uso di registratori analogici a bobina sia in ripresa che in mixaggio è più un credo che una necessità – Nino Bruno e sodali tornano in studio con rinnovato spirito, puntando su un flusso di coscienza che conservi in primis l’istintività. Disco scritto e registrato in pochissimo tempo, proprio per imbrigliare l’ispirazione del momento, quasi un fermo immagine…

‘Sei Corvi Contro Il Sole’ non è un concept album comunemente inteso, ma ha temi e parole ricorrenti. L’idea dell’ attesa (nel brano del film come in ‘Ghost’) la separazione da una realtà che non percepiamo direttamente ma attraverso segni (la canzone che dà il titolo all’album) e messaggeri (i corvi). Affiorano inoltre una serie di personaggi emblematici: l'uomo potente che ha tradito la sua missione ed è a un passo dal declino - in ‘Fare Simpatia’ - il vecchio dandy, che forse è un omosessuale vecchio stampo, wildiano, alla Zeffirelli – ‘Storia Di V’ – o la ragazza tormentata di ‘Guardavo Il Fiume’ e ‘Ragazza Senza Nome’. L’ atmosfera odora molto di western ‘da fine dei giorni’, ma lo spettro sonoro appare diametralmente opposto.

Smussando parzialmente gli angoli del recente passato, le musiche del disco incamerano una docile impronta psichedelica. Umori che prendono il sopravvento, bagnando di umori freakbeat le canzoni di Bruno, in un omaggio sentito alla stagione d’oro della musica popolare. Come passare rispettosamente in rassegna buona parte della seconda metà dei sessanta. Nel contesto vengono privilegiate le ritmiche shuffle unitamente a chitarre folk-blues, che quasi accarezzano le mosse del menestrello Donovan.

All’ascolto un disco più arioso, ma non necessariamente spensierato. La forza evocatrice dei testi è poesia a cuore aperto, il collante è dato dagli arrangiamenti, una cornice lisergica gentile, una via adulta al cantautorato. E’ l’affermazione definitiva dell’artista, sospeso in una bolla temporale, capace di navigare tra sussulti emotivi e quadri esistenziali.