30/06/11

Girls Names - Dead To Me

Nati a Belfast nel Gennaio del 2009 ed inizialmente circoscritti al duo di Cathal Cully e Neil Brogan i Girls Names esordiscono dal vivo senza aver nemmeno affrontato una prova da studio. Incoscienza degli esordienti, più che dilettanti allo sbaraglio, perché in realtà pure se vaga la loro altera forma di pop music aveva già solide fondamenta.
Con l’aggiunta di Claire Miskimmin al basso il trio è completato e presto punta alla rivisitazione di sonorità di stampo eighties, prossime all’underground gentile di artisti quali Black Tambourine, Felt e Sound of Young Scotland. Fioccano le pubblicazioni in questa fase primigenia, con un 12” per Captured Tracks (la label di Blank Dogs), un mini-album per Tough Love ed uno split 45 giri con i cugini di San Francisco Brilliant Colors (Slumberland, logicamente).

Hanno progressivamente aperto i concerti di Times New Viking, Dum Dum Girls ed Abe Vigoda, crescendo a vista d’occhio e guadagnando quella dimestichezza col palco che è caratteristica portante dei gruppi navigati.. Un’identità ferma, che nell’esordio sulla lunga distanza rilancia un’idea di pop chiassoso ed allo stesso tempo fragile, informato dal sixties garage, dal post-punk più angolare ed ovviamente da una cultura lo-fi che è manifesto attitudinale.

Entrati in studio nella seconda metà del 2010 i tre irlandesi hanno coronato il loro sogno di realizzare un album old-fashioned, in cui il pop si abbandonasse come per incanto a scenari spettrali.
I 10 brani che danno vita a Dead To Me sono posseduti da un calore ed una classicità rari per una formazione così giovane. Un occhio alle aperture vocali dei Walker Brothers, l’altro agli Orange Juice per poi allinearsi a quanto oggi pubblicato da Crystal Stilts e compagnia arrembante.

Aldilà delle palesi influenze, Dead To Me si distingue per la sua innocenza e la sua voglia di evadere la schematicità di certo indie-rock. I risultati sono encomiabili. Il disco viene licenziato in America da Slumberland, altra garanzia di base e pubblicato dalla Tough Love Records.

Scarica il singolo “Seánce on a Wet Afternoon”


Shimmering Stars: si intitola "Violent Hearts" il debutto del trio di Vancouver



Gli Shimmering Stars sono un trio con residenza a Vancouver, BC, Canada (guarda caso domicilio di altri fenomeni come New Pornographers). Sin dai primi accordi di questo "Violent Hearts" si viene catapultati in una dimensione extra-temporale, in cui sfocate immagine in bianco e nero parlano di teen pop anni ’60. Sembra risuonare un qualche jukebox della metà dello scorso secolo, ma le melodie sono prontamente alterate da piccole stilettate noise, che ricollocano naturalmente il gruppo ai giorni nostri. Un effetto vintage per nulla scontato, che parte dalle primordiali armonie di Walker Brothers, Del Shannon, Everly Brothers e dell’onnipresente – in termini meramente citazionisti – Phil Spector, per modificare attraverso piani contemporanei canzoni che hanno tutte le aspettative e l’irrequietezza dell’adolescenza. L’amore sposato alla sindrome di Peter Pan, temi eterni che si rincorrono in queste composizioni, che mai si abbandonano a frasi retoriche, rivelando come in circa 50 anni l’ansia giovanilista possa ancora alimentare il pop di impronta indie. Riverberi chitarristici ad effetto , armonie insidiose, ritmi pulsanti ed in generale un’adesione piena al formato canzone, "Violent Hearts" è il disco per cui perdere la testa in una notte di mezza estate, sospesi – ubriachi – in prossimità del mare. E’ roba che prende direttamente al cuore, senza passare dalla corteccia cerebrale. Canzoni piene di polvere, d’accordo, ma di un’attualità spaventosa. Il giusto connubio tra l’epoca dell’innocenza ed il disarmante cielo dell’avvenire.

Shimmering Stars - I'm Gonna Try from Salazar on Vimeo.


Nuovo album per Marc Almond, in coppia con il compositore Michael Cashmore




"Feasting With Panthers" è la collaborazione tra Marc Almond ed il compositore Michael Cashmore, improntata sui poemi del conte Eric Stenbock, oltre a traslazioni uniche curate dal poeta Jeremy Reed, che in vita ha saputo rileggere le opere di Jean Genet, Rimbaud e Paul Verlaine. La decadenza amorosa ed un romanticismo arcaico sono i temi conduttori di questa rivisitazione . La voce suadente di Almond – ancora una dimostrazione di grande versatilità – si sposa agli arrangiamenti spettrali e melanconici di Michael Cashmore, capaci di recuperare l'innocenza di una gioventù da lungo smarrita. L’album è stato registrato nel corso di diversi anni, utilizzando un fitto scambio di file musicali attraverso la rete, tutto questo per ovviare alla distanza materiale esistente tra i due artisti, con Cashmore residente a Berlino ed Almond ancorato alla swingin’ London. Ma l’organicità dell’album e la cura con cui i testi sono stati sovrapposti alle musiche lasciano pensare a ben altro. David Tibet dei Current 93 è in qualche misura l’iniziatore del progetto. Fu proprio lui a donare ad Almond un libro di poemi del conte Stanislaus Eric Stenbock, pubblicato grazie al suo marchio Durtro . Un’attrazione istantanea, che ha portato all’incontro con un altro sodale di Tibet, il chitarrista Michael Cashmore, da decenni nell’orbita folk apocalittica. C’è subito sintonia tra i due, tanto che una performance dal vivo alla Queen Elizabeth Hall di London del 2008 coi Current 93, suggella l'unione, grazie alla riproposizione di due brani imperniati sui poemi di Stenbock. L’album completo vede oggi la luce grazie allo sforzo di Cherry Red, rimettendo in bella mostra un romanticismo ancestrale e collocando la fortunata collaborazione oltre ogni barriera temporale.



28/06/11

Goodfellas sigla accordo con Kepach Music Group


Siamo lieti di annunciare l'accordo per la distribuzione esclusiva del gruppo Kepach Music, uno dei più prestigiosi nel circuito jazz moderno, sia in ottica italiana che internazionale. Cam Jazz - che ha ottenuto ben 5 Grammy nominations (2006, 2007, 2008, 2010, con artisti dello spessore di Kenny Wheeler, Diego Urcola ed i leggendari Oregon) - ed il sussidiario marchio Cam Jazz Presents, per il quale esordiscono le nuove leve del jazz continentale, sono i fiori all'occhiello di questa storica compagnia, che da tempo ha anche rilevato i cataloghi di Black Saint e Soul Note, etichette cruciali nello sviluppo di tutto il jazz afroamericano. Parliamo nello specifico di label che hanno segnato in maniera impressionante la crescita della musica creativa nei suoi molteplici aspetti. Forte di questa nuova compartecipazione Goodfellas amplia le sue prospettive artistiche, aprendosi ulteriormente ai circuiti della musica jazz e contemporanea.

Jim Ford: esce a fine luglio la ristampa del suo capolavoro "Harlan County"


Light In The Attic ci ha sempre abituati a grandi numeri – quando per numeri s’intende la qualità intrinseca del progetto artistico – e per non smentirsi ripubblica oggi una delle pietre d’angolo del movimento country-soul, accreditata a mister Jim Ford. Registrato presso i leggendari Wally Heider di Los Angeles, con l’intervento di musicisti stratosferici quali Dr. John, Jim Keltner (John Lennon), James Burton (Elvis Presley) e gli arrangiamenti orchestrali di Gene Page (The Righteous Brothers, Barry White, Marvin Gaye), il disco entra di diritto tra le migliori ristampe di questo anno solare. Accompagnato da un dettagliatissimo booklet di 32 pagine, con le note determinanti di Kurt Wolff (The Rough Guide to Country Music), "Harlan County" riproduce fedelmente l’artwork originale e gode di un puntuale lavoro in fase di remastering, grazie alla possibilità di accedere ai nastri originali. Country-man sui generis Ford, originario del Kentucky, s’imbarca verso la California con l’idea affatto remota di incidere un album di blue-eyed soul. Avesse solo avuto una congiunzione astrale favorevole il nostro avrebbe presto abbandonato lo satus di uomo-culto, magari toccando un logico riconoscimento di pubblico. Ma spetta ai cultori ed alle label lungimiranti fare il lavoro sporco. Ecco a voi la resurrezione di "Harlan County" pubblicato nell’anno dei grandi sommovimenti sociali, quel 1969 che avrebbe segnato a fuoco la storia contemporanea. Storia di carbonari, tant’è che fu la misconosciuta Sundown Records a licenziarlo, quando le classifiche popolari parlavano la lingua di Beatles, Led Zeppelin e Creedence Clearwater Revival. Nonostante abbia scritto canzoni per interpreti eccezionali - Bobby Womack (“Harry Hippie”), Aretha Franklin, P.J. Proby, Temptations e non ultimo un cameo in "There’s a Riot Goin’ On" di Sly & the Family Stone — Ford non ha mai ingranato nelle vesti di solista, tanto che agli albori degli ’80 decise di ritirarsi a vita privata, abbandonando il music business definitivamente. “Jimmy Ford è il più balordo uomo bianco sul pianeta,” questo diceva di lui Sly Stone, riascoltando il disco si hanno pochi dubbi in proposito. Tutti i fans di Charlie Rich, Tony Joe White, Lee Hazlewood e Bobby Charles sono chiamati a raccolta, non commettete lo stesso errore per due volte di seguito…

"Jimmy was a beautiful cat, one of the most creative people that I've ever met." - Bobby Womack

27/06/11

Torna Alias con un nuovissimo lavoro targato Anticon Records

Co-fondatore del marchio Anticon ed innovatore tra i rapper che hanno scelto la via strumentale, Alias torna con un nuovo parto da studio, cronologicamente il suo sesto. La sintesi tangibile di quanto il nostro ha inseguito per anni, un sound che prendesse atto di atmosfere glaciali e melodie spettrali, quasi in una ricostituzione del concetto di intelligent dance music.

La rinascita che prende forma con Fever Dream è fatta di un dinamismo inedito. Un’ispirazione che da lungo tempo ha sconfinato nel suono elettronico più sofisticato, liberandosi dalle figure logicamente associate alla moderna cultura hip-hop. Prossimo alla carovana guidata da Flying Lotus, Alias ha pensato bene di forgiare le sue armi ritmiche, affilandole con la propulsione di un subdolo battito dance. C’è il groove, anche se sommerso da istantanee più riflessive, ci sono vocine R&B finemente lavorate (secondo quella tecnica tanto cara a Burial) ed un approccio melodico che rimane trasversale.

Il secondo brano in scaletta - "Wanna Let It Go" – è esemplificativo di quanto detto: un’attitudine soulful, dei bassi profondi, ed un gusto per l’accorgimento digitale mai invasivo. Indicazioni che spingono ad un paragone con gli esperimenti strutturali di James Blake e Nosaj Thing. Altrove – in "Feverdreamin" ad esempio - è il lascito dei Boards Of Canada ad avere il sopravvento, un sound sfuggente, a tratti impalpabile, che sposta l’asse della nuova elettronica verso forme lisergiche inattese.

Chiamando a sé collaboratori come Dax Pierson (Subtle), DJ Mayonnaise ed il batterista Mike Haggett, Alias sposta ulteriormente l’asse dei suoi interessi, approcciando a livello cognitivo il funk bianco, la new-wave ed il post-rock dei Tortoise, paradossalmente una delle realtà attitudinalmente più prossime.

In considerazione di quanto scritto poc’anzi, la sua produzione più ispirata ed il segno incontestabile di una proprietà di linguaggio da fuoriclasse

24/06/11

Nuovo disco su Neurot per U.S. Christmas



Un lungo brano come nella tradizione di un’altra pietra miliare della musica heavy contemporanea: Jerusalem degli Sleep. Non nuovi ad excursus sulla lunga distanza i sei U.S. Christmas, riversano tutto il loro sapere e la loro arte in un monolite che pare immolarsi all’estetica del rock più apocalittico. In una telecronaca da giudizio universale, con gli echi visionari dei più classici lungometraggi di Jodorowski come sfondo, "The Valley Path" si pone come pietra d’angolo di tutta la cultura heavy e post-core. Talmente stratificate le mutazioni del loro suono che risulta difficile sacrificarli al banco dei cattivi maestri. Prendiamo infatti visione di un songwriting rimodernato, grazie all’utilizzo impertinente degli archi e dei musicisti addizionali per la session in causa: Tony Wyioming e Travis Kammeyer. Il gruppo non ha mai accantonato l’idea di realizzare un album costruito attorno ad una composizione-fiume, è come se la visione collettiva dei singoli prendesse forma, in maniera spontanea, rivelando le possibili bocche di fuoco di un progetto che dapprincipio si poneva come multimediale. Inseguendo quelle che erano le poderose tirate dei Neurosis di "Souls At Zero", scivolando nel neo classicismo amplificato di Godspeed You Black Emperor fino a lambire la psichedelia multivitaminica degli Hawkwind, "The Valley Path" testa il vostro corollario emotivo, riservando sorprese ad ogni angolo.

23/06/11

Tornano gli inglesi Ramesses con un nuovo album



Mark Greening, Adam Richardson e Tim Bagshaw, i tre membri costitutivi dei Ramesses, sono passato e presente della scena stoner-doom britannica, ma con il nuovo album dal profetico titolo "Possessed By The Rise Of Magik" siamo certi che il loro dominio non solo si estenderà ben oltre i patri confini, ma sarà alla base di una fondazione destinata a rimanere nel tempo. La loro musica diventa ancor più magmatica, frutto di un lavoro estenuante sulla natura stessa dei suoni, che in molti casi si fanno lisergici, potenziando l’allucinogena visione del terzetto. Che non a caso gioca con terminologie esoteriche, rivendicando un’attitudine pagana, che si poggia su antichi rituali di stampo spesso naturalista. Il loro pensiero è in sintonia con quello dell’influente occultista inglese Austin Osman, un uomo che ha lasciato un segno indelebile nella sfera delle scienze mistiche. La stessa musica è sintonizzata su nuove tecniche di incisione, tanto che il gruppo non ha rinunciato all’affascinante ipotesi di registrare in stato di trance, prendendo peraltro in considerazione la scrittura automatica. Circostanze che trascinano la band aldilà dei noti meandri della musica pesante. Arcaica e futuribile allo stesso tempo la proposta dei Ramesses supera a destra molte delle forme contemporanee di heavy metal, rinunciando alla teatralità del black e a certi risaputi viaggi stoner-rock, per un connubio artistico originale e stordente. E’ come se i nostri viaggiassero autonomamente su una navicella spaziale che compie la circonferenza del nostro globo, sospinti da qualche forza ancestrale che rende così speciale la loro arte. Tra le formazioni più imprendibili e roboanti di tutto l’underground inglese, i Ramesses ci regalano un’altra possibile lezione sul nostro subconscio senza risparmiarci alcun colpo.

Disco live per i Melvins



La nuova Zelanda, poi il Giappone… i Melvins sperano sentitamente di non incappare più in madre natura, visti gli esisti devastanti di questi ben noti eventi, che han compromesso anche le recenti trasferte intercontinentali del gruppo. King Buzzo ci ironizza sopra, nel rispetto delle vittime per carità, dicendo di esser stato catapultato in qualche club del bizzarro. Tanto che nel 1994 Osborne era dalle parti di Northridge , quando un terremoto di magnitudo 6.7 scosse la terra. Un predestinato? Pare questa una parafrasi della musica dei Melvins, nota per essere devastante, impertinente e tutt’altro che schematica. E quale miglior occasione per ribadire il concetto di un live - Sugar Daddy – che in 13 tracce si spinge ben oltre la soglia del mero intrattenimento? La registrazione dal vivo è frutto di una data al Busta-Gut Club di Downey, stato della California. Deliziando i propri fans il gruppo mette in fila alcuni dei suoi classici presenti e remoti, facendo risaltare in scaletta versioni da urlo di “Boris”, “A History Of Bad Men” e “The Kicking Machine”. Reduci da un residenza sold-out allo Spaceland di Los Angeles, i Melvins sono pronti a ripetere l’esperimento con due serate a tema in cui esibire i gioielli di casa. Il pacchetto, valido appunto per due notti, vedrà il gruppo immolarsi in classici quali Egg Nog, Lysol e Houdinisongs nella prima tornata, e riportare in cattedra i mitologici Bullhead e Stoner Witch al secondo giro di boa. L’augurio è che facciano altrettanto di passaggio nel vecchio continente.

Khyam Allami - Resonance/Dissonance (Nawa Recordings)

Non capita spesso di imbattersi in un artista dalla biografia così imponente, nonostante la giovane età ed i relativi trascorsi artistici. Quanto proposto dal musicista di origine irachena Khyam Allami nel suo debutto in solo, è un album di world music dal fascino superbo, giostrato sulle armonizzazioni dell’oud. Praticamente un disco solista che nei suoi riferimenti non manca di citare la tradizione classica – Bach – e quella rock occidentale – addirittura i Led Zeppelin – rivelando un gusto che si spinge ben oltre le discipline e tecniche medio-orientali.
Resonance/Dissonance – pubblicato dall’etichetta dello stesso Khyam: Nawa Recordings - è un disco doppio che si presenta nel formato cd/dvd, affiancando l’incisione da studio con una performance dal vivo della medesima esecuzione. Un risultato frutto di anni di duro lavoro ed immersione quasi ‘religiosa’. La musica è stata composta in un weekend lungo e registrata nel Febbraio del 2011, mentre il DVD è stato filmato in un unica sessione a Londra Est il marzo successivo, in un vecchio magazzino ora adibito a galleria d’arte. Il disco abbraccia il concetto del Maqam (il sistema modale della musica del medio oriente), apparentemente essenziale e semplice, eppure estremamente complesso.
L’approccio insolito a questa millenaria tradizione si combina con originali "improvvisazioni composte", temi ricorrenti e figure melodiche rendono la narrativa coesa, accentuata da una dinamica sensibile ma anche da un ritmo ciclico.
Il concept è sicuramente sensibile alla vita londinese (seconda patria del musicista) oltre che influenzato emotivamente dal lavoro di C.G. Jung, dal misticismo di Jorge Luis Borges, dall’indipendenza e dal pensiero sfrontato di Frank Zappa e di moderni eroi quali Secret Chiefs 3 (la band dell’ex Mr.Bungle Trey Spruance).
Mistico nella sua lucidità e astratto nella sua poesia, Resonance/Dissonance è profondo, nero e speranzoso nella stessa misura. Un disco che trascende i luoghi comuni della musica mediorientale, attingendo sottopelle a classica, progressive, jazz ed improvvisata.
Khyam Allami suona anche nei Drums in Knifeworld, band formata da Kavus Torabi (Cardiacs,
Guapo, Ex-Chrome Hoof, Ex-Monsoon Bassoon), oltre ad esser collaboratore esterno dei Master Musicians Of Bukkake.

Track Listing Disc 1 - Audio CD
1. Individuation
2. Naghmat Tahrir
3. Tawazon I: Balance
4. An Alif/An Apex
5. Tawazon II: or Lack of
6. The Descent (Maqam Nawa)
7. Reverie

Disc 2 - DVD
Live performance of the entire album (accompanied by percussionist Vasilis Sarikis)
1. Individuation
2. Naghmat Tahrir
3. Tawazon I: Balance
4. An Alif/An Apex
5. Tawazon II: or Lack of
6. The Descent (Maqam Nawa)
7. Reverie
+ Bonus Photo gallery with outtakes improvisation not on CD!

Robot In Disguise - Happiness Vs. Sadnes

Il quarto album delle Robots In Disguise introduce una succosa e benvenuta novità, ovvero l’intervento concreto da parte di alcuni accesi fans nella fase produttiva. Descritte a più riprese come l’anello mancante tra Peaches, Le Tigre e Princess Superstar le nostre continuano a propiziare momenti di supremo intrattenimento con una musica che guarda tanto all’ electro rock, quanto al pop più sbarazzino ed alla wave post-romantica.
Dee Plume (chitarra e voce) e Sue Denim (basso e voce) - accompagnate dal vivo dal fido Ann Droid (batteria e voce) – sono riot grrl del terzo millennio, che non rinunciano mai all’effetto sorpresa, prediligendo una produzione che possa riscattare i momenti salienti del cultura DIY affrontando i nuovi ed infernali marchingegni da studio.
Quello che è evidente con Happiness Vs. Sadness è la dimostrazione di una crescita che va di pari passo con una maturità acquisita nella stesura dei brani. Che mai rinunciano a testi pregni di riferimenti socio-politici. Del resto questa loro attitudine le ha portate lontane, non solo i palchi inglesi ed europei, ma anche quelli giapponesi, fino a dividere gli stessi con stelle del calibro di Gary Numan, Cindy Lauper e Gossip.
Il nuovo quartier generale di Robots In Disguise ha un nome ed un idnirizzo, The Brainyard, proprio nel cuore della storica Kings Cross.
David Alexander (Yo Majesty/Dominique) e Tim Holmes (Death In Vegas) sono i produttori di riferimento che sottolineano l’esuberanza e l’urgenza del gruppo. La title-track è il loro assalto al dancefloor, mentre "Don't Go" assomiglia ad un anthem radiofonico scritto dai Blur. Peraltro non perdete l’occasione di ascoltare la loro hit alternativa per le Olimpiadi del 2012 a titolo "I'm A Winner", di per sé un buon auspico.

21/06/11

Debutto su Stones Throw per The Stepkids

Gli Stepkids sono un trio di cantanti e songwriter bianchi, che rappresenta la nuova scommessa artistica in casa Stones Throw. Mai come ora la label americana sposta il baricentro con prepotenza verso l’universo indie, mantenendo comunque la medesima filosofia operativa. Parlare di indie-pop è in realtà fuorviante, perché il soul e la musica nera declinata in salsa hip-hop o break beat sono comunque una componente fondante dell‘universo Stepkids, che a volerla dir tutta stanno cercando di trasferire la psichedelia in una dimensione dancefloor da terzo millennio.
Le tre entità si fondono in un nevralgico assetto, i contributi alle composizioni arrivano da ogni parte, in un processo creativo che non impone individualismi di sorta.

Il fatto stesso che siano tre le voci in ballo, consente al disco di avere un respiro ancor più profondo, posizionando il debutto degli Stepkids su livelli di assoluta brillantezza. Non è nemmeno da trascurare il loro curriculum esterno, tanto che il chitarrista Jeff Gitelman – poco prima di entrare in studio – era reduce da un tour con Alicia Keys. Anche il batterista Tim Walsh ci tiene a precisare come nel debutto omonimo i ruoli siano interscambiabili. Una potenza di fuoco che anche per il terzo uomo Dan Edinberg (basso/tastiere) è la caratteristica portante di un gruppo che non si abbandona alle bizze di un leader.

Cresciuti nel circuito jazz ed r&b della costa est, ogni membro del gruppo ha avuto l’onore – e l’onere – di dividere il palco in qualità di session man con 50 Cent e Lauryn Hill, fino al tour in compagnia dei talenti punk Zox. Album solisti, musiche per film e spot pubblicitari sono stati poi il pane quotidiano di questo ensemble, che con grande nonchalance muove tra proto-punk e jazz, musica dell’africa occidentale e folk dei sessanta, blue eyed soul e musica da camera.

Un caleidoscopio in parole povere, una giostra infinita in cui vi sembrerà di scorgere i corpi affusolati di Flaming Lips e Tv On The Radio, Outkast e Syd Barrett, come in un museo dei talenti itinerante.

Scarica il singolo "Shadows on Behalf"

Son Lux -- We're rising (Anticon Records)

Registrato in poco meno di un mese We Are Rising, porta con sé le stimmate del capolavoro, rivelando oltre ad una perizia strumentale inequivocabile, arrangiamenti semplicemente straordinari per quello che riguarda l’orbita indie. Andando a leggere tra le righe di una biografia già significativa, scopriamo che Ryan Lott – nato a Denver, Colorado, nel 1979 – è un musicista di estrazione classica. Sospetto che serpeggia per tutta la durata di questo album, il secondo ad esser licenziato da Anticon. Scorriamo i nomi delle figure coinvolte e le conferme non tardano ad arrivare. Innanzitutto il sestetto yMusic – che ha già coadiuvato in studio celebrità del calibro di Antony, Sufjan Stevens e the National – poi gli interventi scelti di Dm Stith e Shara Worden/My Brightest Diamond altri affiliati del clan Asthmatic Kitty.
La vena di Lott è miracolosa, è il frutto del lavoro di una one-man band che sfocia nei toni orchestrali di un ensemble più ampio e variegato, che ricuce gli strappi tra poetica folk e musica da camera, senza soprassedere sulla magia della musica elettronica e del dream pop. Ci sono così tanti particolari da analizzare che l’impressione di confrontarsi con un concept album dei ’70 è davvero vivida.
Se esistesse in terra una fantomatica etichetta pop progressiva, Son Lux sarebbe fuoriclasse nella categoria di riferimento. Con l’estate alle porte ed i primi consulti di metà anno, We Are Rising sembra possedere numeri importanti, tanto da lasciar presagire un futuro tra i più radiosi per l’autore di Denver.

Son Lux - Making of: "We Are Rising" Album Artwork by The Made Shop from anticon. on Vimeo.

Nuovo album per i Ladybug Transistor su Fortuna Pop!

Con quelle loro arie tipicamente pop, e quell’atteggiamento sospeso tra innocenza adolescenziale e logico avvicinamento alla soglia della maturità, i Ladybug Transistor rappresentano l’archetipo della canzone melodica concepita ad arte. Con un piede nella California dei sessanta e l’altro nel twee-pop prodotto negli ’80 in terra d’Albione, con Clutching Stems ci offrono la loro disarmante escursione nei meandri della musica ‘da cameretta’. Natii della’area di Brooklyn ma con un piede saldamente impiantato nella cultura british, i ragazzi agli ordini del leader Gary Olson hanno licenziato qualcosa come 6 album in 16 anni di onorata carriera. Il numero sette è pubblicato negli States da Merge e licenziato in Europa – in maniera logica – da Fortuna Pop! Con l’ingresso dei nuovi membri Kyle Forester e Ben Crum i nostri hanno progressivamente riveduto il loro approccio nella seconda parte della scorsa decade, pur dovendo affrontare la dolorosa perdita dello storico batterista San Fadyl, venuto a mancare per un improvviso attacco d’asma. Circostanza che aveva compromesso il futuro della band stessa.

Clutching Stems nel ricordo del musicista e dell’amico perso, ripropone così un’impeccabile raccolta di brani, illuminati da una nuova vitale energia. Come se Brian Wilson incidesse per Creation o gli Smiths avessero dismesso i panni dell’urbana Manchester per guardare alle assolate rive californiane. Manifattura d’autore in un album da veri intenditori del pop adulto.

16/06/11

All'esordio il giovanissimo Federico Braschi



E’ già tutto nel titolo, un pensiero che è via di fuga, ipotesi libertaria su una realtà metropolitana che opprime, tarpa le ali. “Tra le nuvole e l'asfalto” è l’opera prima del giovane Federico Braschi, che a ridosso del raggiungimento della maggiore età completava la sua opera prima, in una pratica non molto distante da quella dei più impegnati cantautori dei nostri Settanta. Ricordando quanto si è prodotto in patria pur rispettando le ambizioni ed i toni degli autori statunitensi, specchio culturale tangibile, il nostro ha scelto come musicisti e consulenti i campioni della canzone barricadera Gang, unitamente a Massimiliano Larocca, Lorenzo Semprini dei Miami And The Groovers, Franco D’Aniello, Davide Morandi e Francesco Moneti dei Modena City Ramblers. Prodotto in trio da Antonio Gramentieri, Franco Naddei e Diego Sapignoli, l’album lascia sgorgare istintivamente la penna di Braschi, che seppure all’esordio mostra già le doti di un veterano, agile nell’abbracciare toni elettro-acustici eleganti. Ci sono le ansie e le speranze di un’adolescenza che progressivamente scivola alle spalle, non c’è smania perfezionista, non c’è motivo di accelerare od inseguire una forma estetica definitiva. Che le emozioni siano in grado di sgorgare con naturalezza, accompagnate da una sei corde e da qualche lampo ritmico. Per i suoi collaboratori ‘adulti’ la condizione base implicava un gusto acerbo, incontaminato, c’era una freschezza da preservare, anche a scapito del formato. Ecco perché la semplicità negli arrangiamenti rimane una prerogativa di questo ‘Tra Le Nuvole E L’asfalto’ , avvincente nel suo intimismo. Eppure quella passione è scandita così chiaramente da risultare un urlo fragoroso, gioioso o riflessivo, a seconda dell’intensità con cui le dita si poggiano sulle corde. Di un cuore, quello sì, incontaminato.

Primo album per i romani Thegiornalisti




La filosofia di base di Thegiornalisti è molto distante dalle teen band che per anni hanno ossessionato anche il mercato nazionale. Non un gesto che volesse essere programmatico non un ruolino di marcia che imponesse l’ossessione dei professionisti maniacali. Mai come in questo caso è l’istinto a parlare, l’idea di un incontro che rispettasse un’organizzazione orizzontale, senza leader. Di conseguenza nessuna adesione a priori a questo o a quel movimento, che in primis siano la musica ed i testi a parlare. Nasce tutto spontaneamente per la formazione romana, una grande stima reciproca, un contatto che viene stabilito tra le mura di casa, con la voglia di lasciarsi alle spalle tutti i trascorsi che ne avevano minato la crescita artistica. E’ una musica mai urlata, anzi sospesa in un nodo crepuscolare, romantica e beffarda allo stesso tempo. Con testi che sono cronache di tutti i giorni, scampoli di una vita non propriamente ai margini, ma nemmeno trascorsa nei locali à la page. C’è il senso di appartenenza semmai ad una propria scrittura, un proprio codice. Scegliendo la lingua italiana come mezzo, Thegiornalisti affrontano l’ impervia scuola del rock indipendente con spirito di sacrifico e dedizione, mettendo in cima a tutto l ‘originalità e l’onesta intellettuale. Nei dieci brani che vanno a costituire il loro debutto si parla necessariamente di qualità e di un background ampio, tale da consentire un raggio d’azione invidiabile. Ci sono raffiche rock’n’roll – che spingono in una danza rituale chi è solito seguirli dal vivo – e momenti più riflessivi che potrebbero rifarsi ad un immaginario ’60, il tutto appare estremamente bilanciato e l’alchimia è proprio in questi repentini cambi umorali. Pop che si sporca e si bagna nella psichedelia, in giochi di specchi che rifuggono momentaneamente dal quotidiano, alla ricerca di un’estasi del tutto individuale. ‘Autostrade Umane’ e ‘Siamo Tutti Marziani’ possono essere considerati a ragione brani manifesto. Il primo si insinua sottopelle con una melodia agrodolce, mentre il secondo – posto in apertura del disco – trasuda urgenza post-punk, con un basso che colpisce impertinente al centro del petto. E se ‘La Mano Sinistra Del Diavolo’ sembra davvero uno spaghetti western musicato da Morricone, potete star tranquilli che Thegiornalisti usano elementi doc per orchestrare il tutto, un dono che li accompagna per tutta la durata del disco. Arrangiato e prodotto dalla stessa band, che in Tommaso Paradiso trova il suo maggiore songwriter, il disco è stato registrato e mixato da Carlo Pinna all'Esagono Recording Studio (Rubiera, Emilia Romagana). La masterizzazione effettuata al celebre Master Disck di New york da Howie Weinberg ed in parte al Forward Studios di Grottaferrata, Roma. Prendete e ascoltatene tutti, questo è un sacrifico purissimo.

Thegiornalisti sono:
Tommaso Paradiso
Marco Primavera
Marco Antonio Musella
Emanuele Guidoboni