30/03/11

Il ritorno dei Rinf


I Rinf sono orgogliosi di annunciare la pubblicazione del loro nuovo album, “Volksprodukte”.

Oltre a Michele Santini (voce, tromba, armonica) e Roberto Toccafondi (chitarre, programmazione) hanno partecipato all'album due membri storici del gruppo, Francesco Cosi e Francesco Catanea, assieme ad altri ospiti speciali, artisti conosciuti e amici della band, come Adriano Primadei (Neon), Maurizio Fasolo dei Pankow, Jacopo Andreini (L’Enfance Rouge) e Lapo Lombardi (I refuse it!, Ludus Pinski).

Volksprodukte include dieci nuove tracce. L'atmosfera delle canzoni spazia dal groove sconvolto di "Lichtvater" al ritmo rarefatto ed ipnotico di "Angst (Panic Trot)". Ogni traccia ha la sua peculiare identità, esplorando direzioni diverse, eppure il marchio di fabbrica del gruppo è immediatamente riconoscibile.

Composizioni ossessive, irrequiete come "Kauf" o "Bamelo" si alternano alle visioni lente, stordite e dissonanti di pezzi come "Zeit", o il folle humour di “Oscura Noche del Alma”. L'astrazione lascia continuamente il posto ad un'irrefrenabile fisicità. Gli abrasivi riff dell'adrenalinica e punkeggiante “Sprengkörper” si trasformano in sferzanti frustate nell'affascinante "World".

La voce, altrettanto bella quando è convulsiva, ruvida e audace (“Die Schule Brennt”), quanto quando disegna linee invisibili, quasi stesse dipingendo una fantasia allucinata ("Macht"). Canzoni che uniscono una sensazione di insana felicità ad una certa sensualità, la ruvidezza ad un tocco più morbido, l'ironia al caos; ma sempre inconfondibilmente Rinf.

L'album è pubblicato in Vinile (Edizione Limitata). L'edizione presenta un artwork molto speciale, opera dell'artista britannico Jordan McKenzie. Al vinile è allegato un coupon per il digital download delle canzoni.

29/03/11

Matana Roberts, nuovo album su Constellation per la jazzista di Chicago


Matana Roberts è una delle più luminose musiciste di area jazz/modern creative. Voce della cultura afro-americana del versante più sperimentale, si inserisce nel solco di una tradizione jazz quasi secolare per rinverdire in particolare le tradizioni avant newyorkesi e di Chicago (la scuola AACM). Il progetto Coin Coin combina diverse strategie compositive, dalle partiture grafiche (eredità del magistrale Anthony Braxton) alle sequenze ‘accidentali’ di scuola John Cage. C’è poi ampio spazi alla narrativa, al teatro performativo e all’universo intangibile dell’esperienza africana in terra d’America. Nella seconda parte dello corso decennio la Roberts ha speso una consistente parte del suo tempo a Montreal, venendo progressivamente inglobata in quella comunità artistico/musicale. Già confidente con i bastioni della scena locale (i suoi Stick & Stones sono ospiti nell’album dei Godspeed You! Black Emperor's Yanqui U.X.O. del 2001), è attraverso questa produzione che entra prepotentemente in contatto con gli agitatori locali, al fine di ricreare un ensemble allargato, capace di fondere gli intenti della big band con l’attitudine della composizione moderna. Un’avventura perigliosa sulla carta, ma anche il debutto di un’organizzazione potente ed ambiziosa. Come scenario il già leggendario Hotel2Tango, ed un gruppo largo assemblato all’occorrenza dalla stessa Roberts. Al fine di mantenere invariato un certo impatto umano, una piccola audience di 30 elementi si è concentrata nella salsa d’incisione per ascoltare l’opera in divenire. Il gruppo così assortito ha speso quasi una giornata a settare i livelli, complice l’ingegnere del suono Radwan Moumneh che si è dato un gran da fare con la microfonia ed il banco mixer. La performance del successivo pomeriggio – 9 luglio del 2010 - ha raggiunto picchi emozionali indicibili. I 90 minuti complessivi sono stati in seguito editati in un più commerciabile format di circa un’ora. Il risultato è edito in digitale e doppio 10 pollici, seguendo la solita perizia grafica nota in casa Constellation, supportata dal taglio ecologico che prevede l’utilizzo di materiali riciclabili. In Coin Coin sono gli intrecci multimediali a rendere la performance assolutamente imperdibile, una piattaforma unica in cui le avanguardie musicali occidentali si incontrano, sotto il comune tetto della sperimentazione strumentale, del teatro e delle arti visive.

Da San Diego: The Donkeys


A San Diego si sono gettate davvero le fondamenta dell’indie-rock più bizzarro in circolazione, la genia Rocket From The Crypt e Three Mile Pilot, la tentacolare follia dei Trumans Water, il post-hardcore di casa Gravity, eppure qualcosa lasciava presagire che una rilettura del sogno americano si sarebbe tradotta in formati più tradizionali. Da una delle città fulcro della cultura alternativa californiana The Donkeys ci dicono come l’underground possa ambire alle pubbliche piazze. Una mistica oceanica, cullata dalle alte onde limitrofe, un’attitudine sbilenca come si confà agli involontari ultimi della classe. Il nuovo disco "Born With Stripes" parte dalla lisergica immagine di copertina (ad opera del fumettista Tony Millionaire, meglio noto per personaggi quali Maakies e Sock Monkey) per un’idea versatile di rock americano, con in testa le chiavi armoniche dei Beach Boys (in particolar modo del Dennis Wilson solista di "Pacific Ocean Blue") e lo sprezzante piglio dei primi Pavement. John Darnielle (Mountain Goats) e Craig Finn (The Hold Steady) sono tra i loro più strenui sostenitori. Qui c’è quella reietta poetica americana che odora di rivoluzioni individuali, una musica mai urlata ed anzi spesso gaudente, un percorso incentrato su brani orecchiabili e mai spigolosi, figli di una coscienza a suo modo popolare. Dopo l’impressionate debutto con "Living On The Other Side", i Donkeys paiono ben intenzionati a rilanciare le quote del west-coast sound, riflettendo magari l’attitudine di un fuoriclasse come David Crosby (il cui "If I Could Only Remember My Name "è pietra d’angolo di tutto il costrutto psych-folk americano). Mixato da Thom Monahan dei Pernice Brothers, l’album è caloroso, un abbraccio per nulla calligrafico che non pare conoscere le ruggini e le increspature del tempo. Detto del coinvolgimento di membri di Vetiver, Papercuts, BrightblackMorning Light e del gettonatissimo Devendra Banhart, dentro e fuori lo studio di registrazione, giungiamo alla conclusione di come la centralità dei Donkeys sia un precedente affatto trascurabile.

Ponytail, una nuova strabiliante band dalla feconda scena di Baltimora


Sembrano degli insetti scoppiettanti – parafrasando la corsa più pazza del mondo – questi Ponytail, domicilio a Baltimore, nel Maryland. Per We Are Free – l’etichetta responsabile del lancio di Yeasayer – un titolo manifesto come "Do Whatever You Want All The Time", che sottolinea in maniera inequivocabile la loro attitudine anarcoide. Partiamo dai dettagli, che spesso non sono poca cosa: la copertina del disco è disegnata da Yamatsuka Eye dei Boredoms, più che un indizio. Al centro di quella scena locale così versatile - che vanta tra i nomi di punta Beach House, Dan Deacon e Future Islands - i Ponytail non sono certo da meno, concentrando nella loro musica spezie orientali, duttile scrittura post-punk, alternative-country e stralci r&b. Cajun rock e trip-hop in salsa nipponica - il reperto medico dice qualcosa a mezza via tra il freak sound di David Peel ed una pasticciata cartolina dalle Buffalo Daughter - escoriazioni math-rock, noise-pop tascabile ed un’attitudine che si dipana tra il serio ed il faceto. Questo e molto altro nel ritorno in scena della band, seguita passo passo da un ingegnere del suono paziente come Jay Robbins (Government Issue, Jawbox, Burning Airlines), che da buon veterano trova la misura più congeniale a questo puzzle fracassone. Sette brani che mai si adagiano al formato radiofonico, potendo svariare in lungo e largo su dinamiche accidentali e poco ortodosse. Sembra non esserci sosta, come sei i loro meccanismi oliati ad arte potessero generare la musica più fantasiosa d’oltreoceano. Idee rigogliose in una fuga per la vittoria, che premia la gioia di essere artisti off, fino in fondo.

Thao & Mirah insieme per un disco su Kill Rock Stars


Thao e Mirah sono solite presentarsi con i propri nomi di battesimo, omettendo i rispettivi cognomi. Sembra che in partenza questo sia stato il motivo che le ha spinte a collaborare. Una scusa fittizia, perché è proprio il caso di parlare di affinità artistica per due artiste che della California hanno immortalato il clima libero e solare, per affacciarsi su abissi a volte più intimi, offrendo prestazioni oltre la soglia del cantautorato. Mirah – fiore all’occhiello del catalogo K Records – ha iniziato in sordina rivedendo gli essenziali del folk virato in salsa lo-fi, mentre Thao – che per Kill Rock Stars ha realizzato una coppia di album con full band – è già una protetta della stampa specializzata, avendo messo in carnet una serie di performance invidiabili, vicine allo spirito della Cat Power del medio periodo. Con a bordo il co-produttore Merrill Garbus (Tune-Yards, 4AD) – che contribuisce anche in veste di musicista ospite oltre a firmare un brano di suo pugno – le due hanno registrato il disco per Kill Rock Stars la scorsa estate, in due frenetiche settimane di lavoro. Sia Thao che Mirah assumono il ruolo di polistrumentiste, invertendo con frequenza la posizione dietro la batteria, la slide guitar ed altri strumenti improvvisati per l’occasione (dalle bottiglie in vetro percosse con giustezza al primigenio battito di mani sulle ginocchia). C’è solo qualche amico della Bay Area che si è affacciato in studio, in un disco confezionato definitivamente a 4 mani. Rimarrete sorpresi dagli intrecci canori e dai sottili interventi di fiati e percussioni, che fungono da cassa di risonanza per brani che mantengono un’essenzialità di fondo, pur superando a destra la nomenclatura un po’ spicciola del pop in bassa fedeltà. Da "Little Cup" a "Spaced Out Orbit" (il cui titolo deve qualcosa a un adolescenziale immaginario sci-fi) non c’è traccia che non possa entrare nelle grazie di una qualsiasi stazione alternative. Ma parliamo anche di impegno sociale, un campo in cui le due cantautrici si sono sempre distinte, aderendo alla corporazione Air Traffic Control, organizzazione dedita ad aiutare i musicisti indipendenti nellaarea dell’azionariato sociale. Sia la pubblicazione dell’album che il conseguente tour promozionale, saranno infatti a supporto di questo rispettabilissimo gruppo di attivisti. Nel frattempo non vi resta che sintonizzarvi su questa appetitosa joint venture.

Phantom Buffalo, un nuovo disco per la band americana


La semplicità è spesso una dote, soprattutto quando l’arte del distinguersi è nelle mani di autori ambiziosi senza un centro di gravità od un appiglio al mondo reale. La musica pop ha bisogno di nuove energie, nella sua decennale battaglia contro l’omologazione. Tutto il corpo dell’indie americano è così soggetto a letterali scosse sismiche, di stagione in stagione, pur di re-inventarsi e risorgere. I Phantom Buffalo, che hanno i loro natali a Portland, nel Maine, sembrano mandare a memoria questa regola non scritta. In circolazione già da metà anni ’90, i nostri pubblicano il debutto "Shishimumu" per l’etichetta culto americana Time-Lag (in catalogo gente come Six Organs Of Admittance, Charalambides, Matt Valentine), lavoro che verrà licenziato da Rough Trade per il mercato europeo. Da qui si susseguono le buone notizie.:Mojo indica il disco come uno dei migliori lavori del 2005, instradando la band verso posizioni di culto assoluto. Il successo commerciale non è però cosa di tutti i giorni, nonostante canzoni ed arrangiamenti sulla carta imbattibili i Phantom Buffalo non riescono a compiere il grande salto. Tornano nel 2008 con l’altrettanto fantasioso "Take To Trees", ma la mancanza di una distribuzione capillare non rende certo facili i giochi ed il supporto incondizionato di Mojo non può certo sortire un exploit di carattere commerciale. Abituati a sorreggersi ed autofinanziarsi, per Microculture danno alle stampe il loro terzo disco lungo. E’ un album di indie-rock adulto, un surrogato di quanto di meglio l’alternative–pop americano abbia messo in campo negli ultimi 30 anni. Sono canzoni agrodolci dagli arrangiamenti particolareggiati. E da qui torniamo alla semplicità di cui sopra, nulla pare lasciato al caso eppure la naturalezza con cui si svolgono questi 10 episodi, parlano di esperienza e tecnica magistrale. Cantautori moderni. E non è cosa da tutti i giorni, perché chiunque può impugnare quell’ipotetica penna, ma nessuno può avere la bella calligrafia di questo "Cement Postcard With Owl Colours".

Dark Dark Dark - Wild Go (Melodic Records)

C’è molta Europa nel disco del sestetto di Minneapolis Dark Dark Dark. Per sua stessa ammissione il gruppo definisce il suo approccio come folk-cameristico con Wild Go pubblicano un secondo album che di diritto va a collocarsi tra le cose più avventurose e magiche ascoltate in questo 2011. In un’atmosfera fiabesca a spiccare è il canto soave di Nona Marie Invie, che investe di una discreta sentita drammaticità il disco, evocando scenari di un altro millennio. La stessa sofisticata strumentazione, che verte sull’impatto descrittivo del piano e l’intervento misurato degli archi, lasciano intendere come la filosofia old-fashioned sia identificativa dell’umore del gruppo.

Un cd che attraverso 10 brani (i sei che completano il secondo cd in allegato, vanno a recuperare l’ep del 2010 Bright Bright Bright) avvicina la formazione ai bucolici scenari di una terra d’Albione ottocentesca ed al vagheggiare romantico della musica dell’Europa dell’est. Venuti alla luce nel 2006, grazie al provvidenziale incontro tra la stessa Nona Marie Invie e Marshall La Count, Dark Dark Dark ha messo immediatamente sul piatto i suoi valori musicali, peregrinando tra sommessi arrangiamenti jazzy, folk e pop, prendendo anche in considerazione l’impostazione post-accademica del minimalismo, l’effervescenza di certo New Orleans Sound e le profondità acustiche del genere Americana. E’ un’epicità in bianco e nero la loro, un tornado in punta di piedi, una ricostruzione geografica prima che una recita.. Per Wild Go è d’obbligo una connessione spirituale, questo è un rifugio per le idee, una pratica nobile per i sensi, una dichiarazione d’amore verso un mondo solo scalfito dalla rivoluzione industriale. Storie anche di fantasmi che si susseguono con timbro delicato, senza mai rinunciare al rigoglioso imprinting degli arrangiamenti. Il gruppo sarà a maggio in tour con i Black Heart Procession, per poi successivamente imbarcarsi in altre date con Low e The National.

Jookabox - Eyes of the Fly (Asthmatic Kitty)

Non saranno la risposta ai londinesi Mumford & Sons - e qualcuno aggiungerebbe grazie a Dio – eppure i Jookabox da Indianapolis sanno come riprodurre una ballerina melodia folk & country senza ricadere nei soliti luoghi comuni. Sembrano più adulti rispetto alle loro età anagrafiche, il sospetto era lecito con Asthmatic Kitty a gestire le operazioni. Quella che è divenuta una delle etichette alternative pop più lungimiranti di questo inizio secolo non finisce certo di stupirci.
Con questa congrega di musicisti è anche difficile fare delle previsioni, tant’è che si rimane spiazzati ascolto dopo ascolto, sospinti da melodie sghembe, ritmiche articolate ed avventurosi passaggi acustici. E’ tutto un universo in divenire, in cui nessuna certezza è data e l’eclettismo sembra quello dei migliori giorni del pop indipendente anni ottanta. Ed è forse a quella decade che i Jookabox sembrano ispirasi di buon grado, mettendo da parte le facilonerie moderne e sterzando semmai verso la genialità di band come Camper Van Beethoven e They Might Be Giants. Elettrici o semplicemente sopra le righe, prendono per la coda il roots rock e lo scaraventano in una dimensione parossistica, facendo in modo che le canzoni si susseguano come in una striscia fumettistica. Un album appunto da sfogliare, per cogliere tutte le possibili sfumature del caso, una giostra in cui il ritmo è frenetico e non si smette mai di battere il piede a tempo.

Little Scream - The Golden Record (Secretly Canadian)

Montreal è il nuovo circolo ‘vizioso’ dell’indie-rock, tanto che il centro nevralgico canadese sta producendo alcune delle più solide realtà nel campo internazionale, scippando le prime pagine agli stessi cugini americani, qualche centinaia di chilometri più a sud. Se non si tratta di egemonia, poco ci manca. Già dal nome si riscontrano i due volti di Little Scream, la cui sospesa poesia elettro-acustica fa pensare a pagine colte del folk americano per poi ripiegare sull’attualità di indie-rock virato r&b, un po’ come accaduto negli ultimi dischi di Dirty Projectors e Sufjan Stevens. The Golden Record, il titolo del debutto, fa riferimento al lancio del Voyager Space nel 1977, con l’intento di liberare – attraverso una capsula temporale – suoni, linguaggi e musiche che potessero rappresentare il pianeta terra. Destinatarie alcune forme senzienti che potessero intercettare nel futuro un messaggio dal passato remoto. Etica ‘marziana’ che sembra alimentare – nella distanza tra i contenuti - The Golden Record, disco che parla una lingua moderna, pur basando le sue credenziali su abitudini antiche. Nata in Iowa e cresciuta lungo le rive del fiume Mississippi in una sorta di ‘Addams Family che incontra il 700 Club’ Little Scream – al secolo Laurel Sprengelmeyer - ha imparato da giovanissima a cimentarsi con strumenti classici quali violino e pianoforte. Presto la sei corde diverrà sua sodale, in un percorso non solo artistico, ma propriamente di vita. Una sorta di artista di strada re-inventata. Co-prodotto da Richard Reed Parry (Arcade Fire, Bell Orchestre), The Golden Record vede cimentarsi la nostra alla chitarra, voce, violino e tastiere. Nel ribadire come quella di Montreal sia una comunità che dialoga, sono innumerevoli i contributi dei musicisti locali. Richard Parry, Mike Fuerstack (Snailhouse), Becky Foon (Silver Mt. Zion), Patty McGee (Stars) e Sarah Neufeld (Arcade Fire, Bell Orchestre) sono i nomi più celebri a sostegno di questa sensibile causa. L’unico talento fuori dal ‘giro’ è Aaron Dessner dei National, che ha contribuito al brano“The Heron and the Fox.”. Che sia proprio questo il Blue 2.0 di Joni Mitchell che attendevamo da tempo immemore?

Little Scream: "The Heron and The Fox" (live) from Secretly Jag on Vimeo.

Adam Haworth Stephens, un disco solista per il cantante dei Two Gallants


Il debutto solista di Adam Haworth Stephens, leader e cantante del rispettato gruppo di San Francisco Two Gallants, dimostra quanto la sua capacità nello scrivere canzoni sia ormai una costante invidiabile, tale è il trasporto emozionale ed il grado di intimità con cui vengono imbellettate queste perle di alternative folk. Una voce che parla ad una comunità sempre più ampia, rivolgendo all’esterno le proprie esperienze. In uscita sulla affidabile Saddle Creek, "We Live on Cliffs" apre ad interessanti ipotesi indie-pop, privilegiando un impianto acustico nell’ottica di scenari roots rock. Il risultato di tale spinta è individuabile in un lavoro quanto meno eclettico, che mette in stretta relazione i trascorsi artistici di Two Gallants con la prima sortita in quasi completa autonomia. Nei toni introspettivi e nella colorata tavolozza del disco Stephens attinge a piene mani da storie di disperazione, senza mai chiudere la porta alla redenzione. E’ un lavoro ambizioso e per canzoni così toccanti occorreva il lavoro di raccordo di un produttore come Joe Chiccarelli, già vincitore di un Grammy Award, in qualità di ingegnere del suono per "Consolers of The Lonely" dei Raconteurs. "We Live on Cliffs" vede Stephens a voce, chitarra e piano ed un manipolo di ospiti davvero confortante nei pressi della cabina di regia. Patrick Hallahan e Bo Koster (My Morning Jacket), Justin Meldal-Johnsen, Joey Waronker, Cody Votolato (Blood Brothers/Jaguar Love), Mike Daly, Petra Haden (figlia del grande contrabassista Charlie e già voce di That Dog), Andy Cabic (Vetiver) e gli attuali componenti della live band Grady, Matt Montgomery ed Omar Cuellar.

Ascoltate qui una deliziosa anticipazione: "The Cities That You've Burned"


28/03/11

Dan Sartain "Legacy Of Hospitality"



Ad ascoltarla questa musica si ha davvero la sensazione di essere planati su territori melmosi, con qualche dannato alligatore pronto ad affacciarsi da un momento all’altro. In parte disco gemello di "Dan Sartain Lives" del 2010, in parte documento dell’intensa carriera discografica di Dan Sartain ad oggi, "Legacy Of Hospitality" può essere inteso come il suo "Basement Tapes". Sono numerose le alternate versions, gli inediti e le demo version di misconosciuta provenienza che addirittura anticipano le prime pubblicazioni ufficiali di Dan. Riesumato con lavoro certosino da One Little Indian, per compensare la vostra bulimia nei confronti del rock’n’roll, l’album è un rito voodoo in differita, roba da far crepare d’invidia anche l’amico Jack White. Lo stesso Dan di fronte a questi suoi piccoli manufatti si è detto sorpreso, riconoscendo a malapena una primigenia versione di "Crimson Guard" e attribuendo la sua cover di "Telegram Sam" (Marc Bolan) ai Bauhaus… Assieme al cd anche il documentario in dvd "Dan Sartain: Lives’" una discesa nello stoppaccioso e misterioso universo del cantante/chitarrista. Se pensavate che "I Put A Spell On You" fosse più che una benedizione, dovete fare i conti una volta per tutte con il musicista di Birmingham, Alabama, uno che Screamin’ Jay Hawkins l’ha preso davvero in parola…

UNKLE: nuovo EP con ospite Nick Cave e riedizione dell'ultimo album


L’appendice all’album dello scorso anno "Where Did The Night Fall" è quanto meno gradita. Per gli Unkle è una palestra ulteriore in cui mettere a fuoco l’idea definitiva di canzone pop futurista. L’Ep di 5 tracce che verrà pubblicato in download digitale porta il titolo di "Only The Lonely". Si tratta di canzoni assolutamente inedite che indicano la strada a nuove fruttuose collaborazioni, in primis quella con king ink Nick Cave. La sua voce unitamente alle liriche danno idea dell’ intercambiabilità dell’artista australiano, uomo capace di illuminare la scena con ogni sua performance. Con un piglio quasi western "Money And Run" è un pezzo killer, pronto ad invadere l’etere con decisione. Unitamente a questa intrigante performance si segnala la collaborazione con Liela Moss (The Duke Spirit), l’intervento del vecchio sodale Gavin Clark e la sempre più brillante Rachel Fannan (ex Sleepy Sun). A chiosa uno strumentale downtempo che è anche la summa di certo Unkle pensiero. L’Ep verrà anche allegato ad una riedizione di "Where Did The Night Fall", fuori nella seconda metà di aprile. L’uscita discografica sarà preceduta da una celebrativa esibizione dal vivo alla Brixton Academy di Londra il primo di aprile (con The Duke Spirit come opening band), sarà anche l’occasione per vedere in azione alcune delle numerose star che da sempre hanno affiancato James Lavelle in studio.

25/03/11

Holly Golightly & The Brokeoffs - No Help Coming (Transdreamer Records)

Nuovo album per l’ormai leggendaria chanteuse ed il suo quarto in compagnia dei Brokeoffs. Una carriera costellata da enormi soddisfazioni ed una discografia spalmata su alcune delle più influenti indie internazionali come Damaged Goods, Kill Rock Stars, Super Electro e Sympathy for the Record Industry. Le collaborazioni con White Stripes, Mudhoney, the Greenhornes e Rocket from the Crypt hanno poi ulteriormente definito la statura del personaggio.

No Help Coming sfiora la ragguardevole soglia delle trenta pubblicazioni, ferme restando le precisazioni dell’autrice che sottolinea come in 20 anni di carriera il suo stile sia stato spesso soggetto di cambi repentini se non addirittura radicali. Nata a Londra ma residente in Georgia, la cantante/chitarrista ha mantenuto un feroce attaccamento alla cultura del do it yourself, anticipando in questo la tenuta di numerosi epigoni della scena garage e lo-fi. Con la sigla corrente di Holly Golightly & the Brokeoffs, fa coppia fissa con il polistrumentista texano Lawyer Dave, che contribuisce alla causa con chitarra, batteria e cori.

Il risultato di questa scelta artistica votata al minimalismo si traduce in un album roots essenziale, intimista. Sono ingredienti quail il blues, il country ed il rockabilly a risuonare distintamente in questo disco, pubblicato nel decennio corrente ma in grado di stimolare paralleli con le musiche di 40 anni or sono.

Tra i 12 brani spiccano senz’altro “The Rest of Your Life,” “You’re Under Arrest” “Get Out of My House” e la stupefacente traccia che da il titolo al disco, sospinti a livello emozionale dalla sincerità dei protagonisti, che tra le liriche lasciano scorgere scampoli di vita vissuta. Come da tradizione la Golightly si cimenta anche in riletture di anthemici standard, dal Bill Anderson di “The Lord Knows We’re Drinking” al misterioso rhythm’n’blues del 1955 accreditato al Mr. Undertaker di “Here Lies My Love,” fino al lisergico psycho-country “L.S.D. Made a Wreck of Me” a firma Wendell Austin, con una clamorosa interpretazione vocale dello stesso Dave.

Siamo nei meandri della cosiddetta Americana, con un’artista dalla visione totale, un disco che la ripropone con decisione tra le icone dell’underground tradizionalista a stele e strisce.



Kris Needs presents Dirty Water 2 - More birth of punk attitude

La regola ‘battere il ferro fin che è caldo’ è spesso un imperativo, soprattutto di fronte alle raccolte manifesto. Kris Needs che sembra aver imbroccato la retta via con l’omnicomprensiva Dirty Water: The Birth of Punk Attitude , decide di allestire un secondo volume con il benemerito supporto di Year Zero, label del gruppo Future Noise, principalmente dedito all’arte superiore delle ristampe.
La concezione non è per nulla alterata, si tratta praticamente di tracciare le origini di un movimento attraverso nobili comprimari, geni schizoidi ed imprevisti padri putativi.
Anche al secondo volume della compilation non fa difetto l’estrema elasticità, tanto che sfogliando i nomi distribuiti nella corposa tracklist di 2 cd, è la sensazione di sorpresa a giungere spesso alle nostre antenne.

Fermo restando che il punk è in primis un’attitudine, piuttosto che un’espressione musicale perfettamente isolata, non c’è certo da stupirsi nello scorgere i nomi inseriti nella doppia antologia. Si rimane ipnotizzati di fronte all’incedere di ‘It’s A Rainy Day Sunshine Lady’ dei Faust, ci si perde nel folk storto dei Godz (protetti di casa ESP Disk) e si volteggia con il gospel funkadelico dei primissimi Parliament della gestione George Clinton.

Il punk non è solo aggressione, ma anche contenuti e – contrariamente al diktat risaputo – voglia di sperimentare. Ecco la canzone politica di Woody Guthrie far bella mostra di sè ed anche la psichedelia che anticipia molte delle mutazioni elettroniche contemporanee di United States Of America.

New York City è uno dei tanti centri nevralgici e stavolta tocca a Patti Smith, Blondie ed al travestitismo di Jayne County fare gli onori di casa. Ma i colpi di scena sono dietro l’angolo, le sortite nel movimento bebop con il trombettista Dizzy Gillespie o le puntate nel rauco free jazz di Albert Ayler, artista che per attitudine e ricerca non teme ad oggi paragoni. E se del power pop dei Flamin’ Groovies con Shake Some Action scopriamo di non poter proprio fare a meno, rivediamo quanto le affinità tra punk e reggae (suffragate in Inghilterra da Clash e Ruts ad esempio) trovino nei contributi di Tapper Zukie e Junior Murvin un comune denominatore.

Il doppio cd mette in fila ben 39 tracce ed il booklet è al solito denso di informazioni e foto inedite, 76 pagine curate dallo stesso Needs che aprono una moltitudine di ipotesi sulla genesi di un genere spartiacque.
Il doppio vinile pesante – 180 grammi – raccoglie una selezione di 19 brani

CD1
1. CAPTAIN BEEFHEART & HIS MAGIC BAND - Zigzag Wanderer
2. THE HUMAN EXPRESSION - Love At Psychedelic Velocity
3. DEATH - Freakin’ Out
4. DIZZY GILLESPIE - Bebop
5. THE SILHOUETTES - Headin’ For The Poorhouse
6. SUICIDE - Creature Feature
7. THE VELVET UNDERGROUND – I’m Waiting For The Man
8. PATTI SMITH - Piss Factory
9. JAYNE COUNTY - Man Enough To Be A Woman
10. DAVID BOWIE - Suffragette City
11. MOTT THE HOOPLE - Crash Street Kids
12. KILBURN & THE HIGH ROADS - Rough Kids
13. BO DIDDLEY - Hey! Bo Diddley
14. STACKWADDY - Roadrunner
14. THE HAMMERSMITH GORILLAS - You Really Got Me
16. DOCTORS OF MADNESS – Waiting
17. BIG STAR - In The Street
18. FLAMIN’ GROOVIES - Shake Some Action
19. PARLIAMENT - Oh Lord Why Lord
20. ALBERT AYLER - Wizard

CD2
1. FAUST - It’s A Rainy Day [Sunshine Girl]
2. EDDIE COCHRAN - C’mon Everybody
3. BLUE CHEER - Summertime Blues
4. THE MISUNDERSTOOD - Children Of The Sun
5. THE UNRELATED SEGMENTS - The Story Of My Life
6. THE TIDAL WAVES – Action! Speaks Louder Than Words
7. MC5 - Black To Comm
8. EDGAR BROUGHTON BAND - Out Demons Out
9. WOODY GUTHRIE - Goin’ Down The Road Feelin’ Bad
10. JOHN OTWAY - Beware Of The Flowers
11. THE ZAKARY THAKS - Bad Girl
12. BLONDIE - X OFFENDER
13. THE UNITED STATES OF AMERICA - Hard Coming Love
14. THE GODZ - Turn On
15. THE HOLY MODAL ROUNDERS - Indian War Whoop
16. TAPPER ZUKIE - MPLA
17. JUNIOR MURVIN - Police And Thieves
18. RUDEMENTS - Imagination
19. THE VICE CREEMS - Danger Love

Nuova uscita su Constellation per i britannici Tindersticks



Sei colonne sonore confezionate dai diversi membri di Tindersticks, in diverse combinazioni, commenti sonori originali per le pellicole della cineasta Claire Denis (Parigi, 21 aprile 1948) realizzati nel corso degli ultimi 15 anni. Famosa per il suo studio della condizione umana con le sue tensioni interculturali ed i conflitti familiari, la nostra ha realizzato autentici capolavori che corrispondono ai nomi di: Nenette Et Boni (1996) Trouble Every Day (2001) Vendredi Soir (2002) L’intrus (2004) 35 Rhums (2008) e White Material (2009). Quattro delle sei colonne sonore sono assolutamente inedite. Per ambo i formati verrà commercializzata una confezione extra-lusso, 5 cd od altrettanti lp 180 grammi (il secondo box è limitato a 600 esemplari). Nel sostanzioso booklet un approfondimento di Michael Hill (tradotto anche in francese) e numerosi scatti dalle pellicole stesse. Nenette Et Boni del 1996 è stata la prima pellicola cui il gruppo ha lavorato collettivamente. Stuart A. Staples ha curato autonomamente L'Intrus, mentre Dickon Hinchliffe ha musicato Vendredi Soir, in tutte le altre quattro occasioni il gruppo ha operato a pieno organico. A proposito della ripetuta esperienza il leader Stuart A. Staples ha ribadito che "l’approccio ad ogni pellicola è stato come un invito ad affacciarsi sull’ignoto, come arrivare a fare cose di cui non credevano d’esser capaci". Questo è stato un fattore portante che ha contribuito a cementare l’esperienza stessa del gruppo. L'uscita anticipa un'esibizione live dei Tindersticks in contemporanea con la retrospettiva dedicata a Claire Denis, programmata al San Francisco International Film Festival a maggio. Il progetto comune continua dal vivo con altri appuntamenti in giro per l'Europa durante il 2011: tra questi, il 26 aprile un film concert presso la Queen Elizabeth Hall e il 27 aprile una proiezione londinese di Nenette et Boni, in collaborazione il British Film Institute, seguita da un incontro con il pubblico in cui la Denis e Staples parleranno della loro affinità artistica.

23/03/11

James Pants nuovo album in uscita a Maggio su Stones Throw

Con la voce di Lucretia D Dalt - che co-firma Clouds Over The Pacific, These Girls e Dreamboat – la musica di James Pants (al secolo James Singleton), diviene ancora più malleabile, in uno scenario pop futuribile che lascia intravedere l’ennesima filiazione hypnagogic. L’idea stessa di scegliere il proprio nome d’arte per titolare il secondo album la dice lunga sulle intenzioni dell’artista, che dopo averci preparato al meglio con bozzetti per lo più strumentali, maneggiando hip-hop, break beat e white funk in una sfilata d’eccezione, ricuce il tutto per un disco costituito integralmente da canzoni. Aldilà della voce che assume una sua centralità all’interno dell’opera - ancor licenziata da Stones Throw – sono le scelte musicali di James a dare il polso del suo gusto onnivoro, reiterato in 14 tracce che sembrano attraversare con eclettismo la storia non solo della wave ma anche del kraut rock e del rare-groove. Se in Darlin’ sembra di ascoltare una produzione in odor di Phil Spector filtrata attraverso la lente deformante Ninja Tune/Mo Wax, un brano come Icantation apre le porte al dream-pop tanto da ricordare formazioni 4AD come Pale Saints e Lush. E tutto questo per un’etichetta nominalmente hip-hop!
James Pants è quindi la creazione art-pop di Singleton, un disco che pur muovendosi in mille direzioni mantiene una struttura decisa, rispettando le ferree regole del verse-chorus-bridge. E’ la tappezzeria ad essere semmai brillante - anzi sgargiante - nei colori. Quando ascolterete il minuetto di Clouds Over The Pacific vi sembrerà davvero di camminare sull’acqua. Chi ha già goduto dell’eclettismo-base dei suoi dj set, abbraccerà in toto la nuova via del producer texano.

Scarica il singolo Darlin' in mp3 gratuito da questo link

Due nuove fantastiche uscite targata Planet Mu: Falty DL e Boxcutter





La primavera ci regala un’accoppiata davvero originale nei solchi di due nuove produzioni a firma Planet Mu. A testimonianza dello stato di grazia della label britannica, possiamo saggiare come il verbo elettronico sia oggi materia di studio e piattaforma di lancio per le più ardite contaminazioni ritmiche. Falty DL ha avuto un 2010 ricco di impegni, oltre alla lavorazione di numerosi singoli la specialità del remix gli ha consentito di arrivare a platee ben più ampie, associando il suo nome a quello di The XX, Mount Kimbie e di un vecchio profeta quale Anthony Shakir. Drew Lustmansi ripete con il nuovo‘You Stand Uncertain’, un album che estende a dismisura il confine della sua produzione, andando ad attingere a polverose atmosfere. Il tutto si traduce in un disco dance di livello assoluto, laddove le linee di basso sono avvolgenti e marziali grazie alle veloci folate della della fedele 808. L’abilità è semmai nel passare da episodi sostenuti a break che investono la cultura nera tutta. Dal 2-step di ‘Brazil’ – in cui possiamo ascoltare per la prima volta nel disco la distinta voce di Lily Mackenzie – al piano addirittura jazzy di ‘Waited Patiently’ montato su un’avveniristica base techno. Dalla house primigenia alla cultura del dopo rave, attraverso hip-hop e dubstep l’universo di Falty DL più che presentare incertezze è un manifesto di come la cultura chimica abbia sapientemente attecchito sulla mente del produttore.
Non meno coraggiosa la rentrèe di Boxcutter, al secolo Barry Lynn, che si staglia con Dissolve ben oltre la soglia dello spigoloso circuito dubstep, aprendo alle più disparate influenze, come nei dettagli di una pellicola cinematografica, appunto in dissolvenza. Sono input che arrivano infatti sottopelle, fornendo angoli inediti alla cultura post-dance del nuovo decennio. Nella ricerca di paralleli importanti potremo paragonare le scelte di Lynn a quelle di un pioniere del calibro di Theo Parrish, tale è la capacità di scomporre i ritmi, proponendo seducenti combinazioni che spostano ulteriormente in avanti sull’asse temporale la sua visione. La voce di Brian Greene per di più apre a soluzioni soulish hip-hop, con effetti fascinosi. La natura di Dissolve è dunque in un funk digitale, post-moderno, una serie di scatole cinesi che dicono della sofisticatezza dell’uomo dietro le macchine.

Susana Baca "Afrodiaspora" (Luaka Bop)

Esce ad aprile il nuovo album di Susana Baca, ennesimo capitolo che va ad aggiungersi ad una carriera musicale invidiabile sotto il profilo artistico. Una delle voci più distinte della tradizione musicale sudamericana, la Baca è divenuta un’icona anche nei circuiti occidentali, confermando con la Luaka Bop di Davdid Byrne un felice sodalizio. La pubblicazione di Afrodiaspora conferma lo status dell’artista – già riconosciuta con ‘onorificenze’ quali il Grammy Award - afro-peruviana che prosegue nella sua esplorazione tematica, rivisitando l’influenza di madre Africa proprio nella musica e nella cultura latino-americana. In quest’ottica il nuovo parto discografico si pone come pietra d’angolo della cultura world globale

La carriera della Baca è stata costellata da numerosi picchi produttivi, ma è nel ’95 che giunge la svolta cruciale, quando la vocalist viene inclusa nella compilation a tema The Soul of Black Peru proprio per Luaka Bop. Sbarca in America grazie a questa raccolta manifesto, conquistando in tempi brevi anche il vecchio continente.

Il suono di Afrodiaspora riflette l’avventuroso spirito poetico della nostra, la cui offerta verte oggi su un dialogo binario. Ferma restando la matrice latino-americana degli arrangiamenti, è il passo ed il proverbiale calore della musica africana a gettare le basi per una commistione memorabile. Il disco si pone dunque come fondamentale punto d’incontro tra due universi umani. Nelle stesse parole dell’artista apprendiamo che le musiche provenienti da Cuba, Colombia, Ecuador, Argentina, Venezuela e Puerto Rico sono percepite come un tappeto genetico universale. Avendo viaggiato in molti paesi latini, la Baca ha riscontrato come l’influenza della cultura africana - attraverso gli stessi nativi migranti – ha contraddistinto enormi sommovimenti socio-politici. Sono canzoni che appartengono spesso a luoghi dimenticati ed attraverso le sue interpretazioni oltre al desiderio di riscatto è l’onore ed il vissuto dei popoli ad illuminare la scena di questi racconti musicati.

Nelle 11 tracce del disco apprezzerete il lavoro di nobili songwriters come Javier Ruibal, Iván Benavides e Javier Lazo. Acolterete la celebre cumbia colombiana di "Detras de la Puerta", i ritmi portoricani di "Plena y Bomba" ed il beat cubano di "Baho Kende/Palo Mayimbe" (un tributo alla regina della salsa Celia Cruz), fino ad arrivare al portentoso utilizzo del drumming venezuelano di "Taki Ti Taki"e all’eleganza del valzer messicano di "Que Lindo tu Vestido" (omaggio al noto cantante folk Amparo Ochoa).

Altrove la Baca offre addirittura un’audace rilettura di "Hey Pocky Way," classico funk di New Orleans interpretato in origine dai Meters. Un numero ispirato dal viaggio - datato 2005 della cantante - nella città della Louisiana proprio alla vigilia del disastroso uragano Katrina. Memorie che viaggiano con intensità su tappeti ritmici in costante movimento.

Susanna Baca si esibirà dal vivo all’Auditorium di Roma il 30 di aprile.

J Rocc - Some Cold Rock Stuf (Stones Throw)

Non sempre i dj rubano la scena, nonostante il ruolo degli uomini dietro ai piatti abbia guadagnato vertiginosamente in termini di visibilità negli ultimi 20 anni. Di superstar ne esistono poche e spesso i più acclamati selezionatori sono proprio quelli da dare in pasto alle masse informi. Nel nostro caso c’è un uomo che intrattiene con gusto, ispirato da una sopraffina tecnica, che attinge ad una bagaglio culturale vastissimo e ad una gioiosità senza mezzi termini. Perché questo è in grado di trasmettere un set di J Rocc, gioia di vivere! Sarà la sua capacità di saltare di palo in frasca senza perdere una battuta, sarà quell’attitudine rock e quella profonda anima latina, fatto sta che nell’hip-hop il nostro è una figura investita di un ruolo quasi messianico.

Dopo aver collezionato innumerevoli mixtape – anche per etichetta Blue Note e per il marchio Red Bull, con numeri che approssimano le 100mila copie vendute - è infine tempo per il debutto, un album costituito da musiche originali che possono certo mettere da parte la tecnica del sampling, che in maniera ritualistica asseconda le esigenze di studio del nostro. Considerato esponente di lusso nel suo campo d’azione, anche per aver accompagnato pesi massimi quali Mos Def, Talib Kweli, Madlib ed il compianto J Dilla.
Le distinzioni in primis, perchè di un album strumentale si tratta, a tutti gli effetti, costituito da tracce che oltre a rinverdire i fasti di certa street music prendono a piene mani dall’attitudine creativa della tarda disco e dagli infuocati seventies del rock duro.
Perché nella commistione abita appunto il genio di J Rocc. Che si è fatto un nome agli albori degli anni 90, all’interno del collettivo di turntablists The World Famous Beat Junkies, di cui faceva parte assieme a DJ Babu, Shortkut, Melo-D e Rhettmatic, rappresentando una forza magistrale nell’ambio della crescita dell’ hip-hop strumentale. Di lì a breve sarà protagonista del Fantastic Four Radio show sulle frequenze losangelene di Power 106, per poi imbarcarsi come terzo membro nel fortunato tour di Jaylib, ovvero la premiata ditta composta da Madlib e J Dilla.

Una piacevole sorpresa vi attende poi al’interno del packaging, con un secondo misterioso cd di cui non è lecito conoscere la tracklist. J Rocc è un master del nostro tempo, l’uomo che esalta la figura del dj a quella di musicista ed intrattenitore di lusso.

Some Cold Rock Stuf uscira il 5 Aprile e potete gustarvi un'anticipazione del,disco con questo MP3 gratuito del singolo Play This Too

16/03/11

Liberati è il nuovo disco della Krikka Reggae


L’avventura della Krikka Reggae continua con il terzo lavoro ‘Liberati’, che è frutto della collaborazione tra l'etichetta Etnagigante di Roy Paci e la Goodfellas. In quindici tracce la band lucana si mantiene coerente alle sue radici ma cerca di espandere i propri limiti espressivi con composizioni più mature rispetto al passato ed arrangiamenti più incisivi ed elaborati. Krikka Reggae è una roots reggae band nel senso ampio del termine: roots significa radici e le loro radici affondano nella genuinità del loro dialetto che diventa nella loro voce un testimone del nostro tempo, una denuncia delle ingiustizie, della violenza, delle guerre, una lancia contro la mediocrità e la superficialità generale che ci circonda. In questo senso il dialetto è quindi lingua viva più che mai e strumento che porta emozione.
L’attitudine di Krikka Reggae è un omaggio ai grandi artisti storici del roots reggae e la collaborazione con Roy Paci, Nandu Popu di Sud Sound System e Bunna di Africa Unite che apre ‘Liberati’ è anche un omaggio alle radici della vitale scena reggae italiana, a chi prima di loro ha aperto una strada ed una ricca tradizione con fatica e dedizione. Lo sguardo al futuro invece è ‘A’ skol’ con il ‘ragga’ di Little Vincenzo e la certezza che le nuove generazioni raccolgono il messaggio vitale del reggae e lo adattano ai loro sogni e alle loro speranze. Tra questi due poli troviamo il presente e le preziose collaborazioni con Macro Marco, Mama Marjas, i Franziska e Rankin’ Lele & PapaLeu tra gli altri.
Krikka Reggae spinge l’acceleratore del roots in classici come ‘Non vedo pace’, ‘La verità’, ‘Violenza economica’, ‘Lo critichi’, ‘Vanità’ e ‘Sound & Cultur’ (quest’ultima insieme a Tonico 70 e Giuan U’Roots) e ‘Buscià’, sicuramente i brani più sferzanti anche in termini di contenuto. ‘A’skol’ è l’unico episodio marcatamente dancehall mentre l’iniziale ‘Ho solo occhi per te’ cita i Flamingos in un numero soul-reggae di grande classe arricchito dai grandi ospiti. Anche ‘Vanità’ ha un bell’arrangiamento tra la dolcezza degli archi, la grinta del rock chitarristico ed un beat quasi hip hop per una lirica vibrante contro l’ipocrisia ed il culto dell’esteriorità. Il lato più solare di Krikka Reggae si manifesta in ‘Quand n’vuo’, ‘Universal love’ e la magnifica ‘U mar kiù chiar’, un tributo al Bob Marley di ‘Waiting in vain’. ‘Liberati’ è il passo avanti di una delle bands più interessanti del panorama del reggae italiano e lo stimolo a ripartire per condividere le vibes con il pubblico in tutte le città d’Italia dove brucia il fuoco della musica in levare. Recentemente hanno collaborato con il conterraneo Rocco Papaleo in una incredibile versione di Basilicata On My Mind compresa anche negli extra del dvd di Basilicata Coast To Coast.

14/03/11

Ryan Driver, un album solista su Fire



Con il sintomatico attacco di "Dead End Street" siamo in pieno territorio alternative-country, tanto che il Ryan Driver di "Who’s Breathing" potrebbe di diritto rientrare nel novero degli autori ispirati da Jayhawks e Uncle Tupleo. Eppure c’è dell’altro, perché questo musicista originario di Toronto, stato dell’Ontario, ha già al suo attivo un discreto numero di collaborazioni e produzioni autografe. Per chi è solito frequentare il giro Constellation, lo ricordiamo a fianco di Sandro Perri ed Eric Chenaux, mentre altrove in guisa di The Ryan Driver Quartet sembra attingere ad una forma ibrida di jazz. Per l’inglese Fire ha già inciso con l’altra sua formazione di stampo roots rock The Silt. Ora torna con un disco dai due volti, tanto che dal sesto brano – It’s Tulip Season – Ryan conduce per mano l’ensemble in una rivisitazione della canzone d’autore in salsa jazzy, con il piano – da lui stesso suonato – a tessere melodiosi intendimenti. Se la sei corde e la voce sono i due strumenti messi al servizio di ogni singola collaborazione artistica, è con il synth, il flauto ed il pianoforte che Driver amplia se possibile il suo raggio d’azione. Uncut ha già scritto di lui come di un formidabile songwriter, la capacità di passare con disinvoltura da scenari bucolici ad accese ballate elettriche sottolinea anche le capacità di arrangiatore particolarmente ispirato. Dal canto nostro possiamo dirvi che l’autenticità di queste canzoni è riscontrabile in poche altre firme contemporanee, due su tutte: Jim O’ Rourke e Bonnie Prince Billy.

I musicisti che lo accompagnano in questa avventura solo apparentemente solista sono:
Andrew Downing: basso
Stew Crookes: pedal steel
Justin Haynes: chitarra, organo
Jean Martin: batteria
Marco Cera: corno inglese
Rob Clutton: basso
Nick Fraser: batteria
Martin Arnold: chitarra elettrica

10/03/11

"Future Songs" esordio solista di Pat Jordache su Constellation


Pat Jordache è una figura davvero eclettica sullo scacchiere delle scena noise-pop di Montreal, una delle realtà più vibranti di tutto il circuito nordamericano. La sua band Sister Suvi - con Merill Garbus – ha avuto vita breve, pur entrando nelle maglie della popolare webzine Pitchfork, grazie a terremotanti prove dal vivo e ad un lavoro di articolato lo-fi (perdonate la contraddizione in termini) come "Now I Am Champion". Sciolta la società con la Garbus, Jordache investe sulla carriera solista facendo in modo che il primato delle sue canzoni spetti ad una forma di pop quasi intangibile, sospesa tra decine di citazioni. Ispirato dallo spirito del do it yourself e da quell’idea tipica di conservazione cara a tutta la scena del dopo-punk, Jordache inanella un’opera prima genuina, pubblicando nel formato musicassetta, anch’esso tornato con prepotenza nei circuiti off. Cotanta beltà non passa certo inosservata alle orecchie degli osservatori locali. Al quartier generale di Constellation, che ripubblica in primavera il disco nella versione digitale, alzono più volte il pollice. Grazie ad uno stile che sembra perdersi nella nebbia barrettiana come nei fumi lisergici di contemporanei quali Mercury Rev e Flaming Lips, Jordache si lancia anche in parti da consumato crooner, cercando un punto di raccordo parziale tra Scott Walker e Ian Curtis. Altrove l’utilizzo sistematico delle percussioni acustiche ed elettroniche lascerebbe pensare ad un disco kraut rock ‘errato’, roba visionata da un Martin Hannett in acido magari. Da questo quadretto minimalista emergono gli arrangiamenti live dei batteristi Phillip Chanel, Jeffrey Malecki e Thom Gillies. Rory Seydel (Shapes and Sizes) presto raggiungerà l’ensemble così assortito sul palco, dando con la sua chitarra maggiore profondità e compiutezza al sound della banda. Il gioco di "Future Songs" è proprio nel conservare una certa aurea di misticismo, appropriandosi di nomenclature per certi versi arcaiche, pur coniugando le ipotesi musicali secondo dettami contemporanei. Un pò quello che è accaduto altrove ad Ariel Pink. Proprio perchè aldilà dei mezzi di fortuna utilizzati, "Future Songs" appare come un manifesto perfezionista, esaltato dai dettagli e da una schizofrenia pop di fondo. Un disco che oltre alla meraviglia, trasmetterà la gioia di vivere.

Ascolta in anteprima "Get It (I Know You're Going To)"


Get It (I Know You're Going To) by Constellation Records

09/03/11

Nuove uscite Spittle

Esiste tutto un sommerso di grande vaglia, un underground italico spesso invidiatoci all’estero, anche in nome di un spirito ed una tecnica ricercata. Il lavoro certosino di Spittle, su quelli che sono stati i più coraggiosi autori della wave e del post-punk nazionale, continua a dare frutti prelibati. Ristampe di altissima qualità contraddistinguono il lavoro di questa indipendente toscana, che indaga a tutto tondo su una scena sotterranea sterminata, capace di confrontarsi con paralleli universi sixties psichedelici, elettronici ed alternative-folk. Ecco una panoramica di alcune nuove uscite, disponibili da questa settimana.



Tra le formazioni più rispettate oltre i patri confini, i Neon ricevono ora trattamento di lusso con il progetto "Crimes Of Passion", originariamente articolatosi in tre mini LP. È bello ritrovarli in digitale nelle loro tipiche atmosfere tenebrose, mai oppressive, forti di due cover di lusso - "Paranoid" dei Black Sabbath e "Venus" degli Shocking Blue - affiancate ai quattordici brani autografi, tra i quali spiccano "Luvenia" e "Sacrifice". Poi le bonus remixate di "I Am On My Way" e "Fire" che nel 1987 dimostrarono come i Neon pur coltivando la vocazione r’n’r non intendessero affrancarsi dalla dance alternativa.



Rimanendo in quella terra di confine, sospesa tra matrice new-wave ed ammiccamenti all’universo sintetico, citiamo anche la ristampa di "Falls Of Time" a firma A.t.r.o.x.. Evidentemente in anticipo sui tempi gli A.t.r.o.x. sono da considerarsi tra le prime band a muoversi progressivamente verso l’universo elettronico, pur registrando un retroterra post-punk. Per nulla distanti da contemporanei internazionali quali Tuxedo Moon e Minimal Compact, "Falls Of Time" è il loro testamento: un doppio cd con gli album T"he Night’s Remains" (1982) e " Water Tales" (Contempo 1983) più l’inedito 12" "Falls Of Time".



Voltiamo pagina con "Dal Principio All'Inizio," ripubblicazione che indaga sullo status di una delle più ricercate formazioni della wave italiana. Direttamente da Treviso i Wax Heroes hanno realizzato il 45 giri culto "Sher" per Electric Eye nell’83 ed hanno preso parte alla raccolta manifesto "Gathered". Assieme a questi brani nel cd troverete tutte le tracce contenute nei loro demo in versione chiaramente rimasterizzata.



Il quadrilatero si chiude con "Spunti Per Commedianti" a firma Le Masque, nome assai influente nei circuiti underground del nord Italia. Assieme al primo 12" "The Happy Flock" ed alla rara cassetta "Trouvailles Pour Comediens", potete cogliere aspetti più reconditi dell’attività di questa primigenia wave band, anch’essa già proiettata nel futuro pur con i piedi stabilmente nell’immaginario ’80.