22/12/09

Le nostre classifiche di fine anno




ROBERTO
Mulatu Astatke / The Heliocentrics “Inspiration Information” 3 (Strut)
V/A “Hyerdub 5 Years: Low End Contagion” (Hyperdub)
Fuck Buttons “Tarot Sport” (ATP Recordings)
King Midas Sound “Waiting For You...” (Hyperdub)
Lee Fields & The Expressions “My World” (Truth & Soul)
Major Lazer “Guns Don't Kill People… Lazers Do” (Downtown)
Animal Collective “Merriweather Post Pavilion” (Domino)
Raekwon “Only Built 4 Cuban Linx... Pt.Ii” (Emi)
Naomi Shelton & The Gospel Queens “What Have You Done My Brother?” (Daptone Records)
Land Of Kush “Against The Day” (Constellation)


LUCA
Blues Control "Local Flavor" (Slumberland)
OM "God Is Good" (Drag City)
Sunn O))) "Monoliths & Dimension" (Southern Lord)
Six Organs Of Admittance "Luminous Night" (Drag City)
Helena Espvall/Masaki Batoh "Overloaded Ark" (Drag City)
Mulatu/Heliocentrics "Inspiration Information" (Strut)
Fire! "You Liked Me Five Minutes Ago" (Rune Grammofon)
Talibam! "Boogie In The Breeze Blocks" (ESP)
Moritz Von Oswald Trio "Vertical Ascent" (Honest Jons)
Broadcast/Focus Group "Investigate Witch Cults" (Warp)


JACOPO
Bowerbirds “Upper Air” (Dead Oceans)
Dent May “Godd Feeling Music..” (Paw Tracks)
Vic Chesnutt “At The Cut” (Constellation)
Morrissey “Year Of Refusal”(Polydor)
Hjaltalin “Sleepdrunk Season”(Kimi Records)
Tim Buckley “Live At The Folklore Center” (Tomkins Square)
Yonlu “Society In Whic No Tear…”(Luaka Bop)
Mayer Hawthorne “Strange Arrangement” (Stones Throw)
Nancy Elizabeth “Wrought Iron” (Leaf Label)
Mumford & Sons “Sigh No More” (Island)


ROSSANA
The XX “XX” (Young Turks)
The Pains Of Being Pure At Heart “The Pains Of Being Pure At Heart” (Fortuna Pop)
Barzin “Songs For An Absent Lover” (Monotreme)
Apse “Climb Up” (ATP Recordings)
Landy “Eros And Omissions” (apologymusic)
Jason Lytle “Yours Truly, The Commuter” (Anti)
Julie's Haircut “Our Secret Ceremony” (A Silent Place)
Pink Mountaintops “Outside Love” (Jagjaguwar)
The Dirty Projectors “Bitte Orca” (Domino)
Zu “Carboniferous” (Ipecac)

21/12/09

Strong Arm Steady - Stoney Jackson (Produced by Madlib)

La collaborazione tra Madlib e Strong Arm Steady è frutto di un vero e proprio flusso di energia, dopo oltre sei mesi di certosino taglia e cuci Stoney Jackson è realtà, travolgente essenza hip hop moderna. Sulla stregua di progetti altrettanto definitivi come il Jaylib del 2003 (assieme al compianto J. Dilla) ed il Madvillain del 2004 (assieme a Doom), Stoney Jackson è in tutto e per tutto una produzione da ascriversi al genio di Madlib. Il produttore che ha confezionato 14 esclusivi beats per l’album, passa il testimone al fido collaboratore J. Rocc – uno dei dj più in vista al momento - che smista al centro per Krondon e Phil Da Agony, due mc già ascoltati in numerosi mixtape – proprio con la sigla di Strong Arm Steady – e cruciali nella riuscita di Liberation, collaborazione a quattro mani tra Talib Kweli e Madlib.
Lo stesso Talib Kweli assieme a Guilty Simpson e ad un manipolo di altri talenti del rap made in Los Angeles, prestano carattere ed ugola a questo strabordante progetto. E’ il ritorno deciso di Madlib ad un sentire tipicamente hip-hop e sarà il preludio alla grande collaborazione – liberamente ispirata ad Oj Simpson – che il nostro sta mettendo in piedi con Guilty Simpson.
Considerando che Strong Arm Steady, attraverso canali totalmente indipendenti, ha complessivamente venduto 200 mila copie dei suoi precedenti mix-tapes, è lecito attendersi per queste 14 tracce un vero e proprio tripudio. Sas che vantano anche passate collaborazioni con Juvenile, Xzibit e Dilated Peoples, saranno presto in tour, con un’apparizione al Rock The Bells e date selezionate in compagnia di Talib Kweli. Soul 4 Real!

Scarica il singolo Best Of Times in MP3

19/12/09

Sambassadeur



Gothenburg, Svezia. Notoriamente il pop da quelle parti assume un sapore del tutto particolare, tanto da risultare esotico anche alle orecchie degli esigenti fruitori inglesi, che in materia non temono certo la concorrenza dei colleghi nordeuropei. Già a partire dal singolo apripista "Days," si intuisce quale sia la nuova direzione dei Sambassadeur: un suono che mette insieme gli impulsi della psichedelia più dreamy con i colori del più celestiale folk. Ne risulta un brano buono per tutte le stagioni, una tensione risolta in acquerelli dolci, una papabile hit da cameretta nel più rispettoso clima anni ’80. Una progressione imprevedibile, considerate le basi su cui il gruppo fondava la propria arte . Gli svedesi, ligi ai dettami del do it yourself pop, si formano nel 2003 con l’intenzione nemmeno troppo recondita di gareggiare con i maestri scandinavi Abba, svincolandosi ovviamente da quella purezza di suono e dai più esosi studi di registrazione. Attitudine fieramente underground. Pur avvalendosi della tradizione dell’homemade recording, i nostri riescono nell’impresa di fornire un piglio orchestrale a tutta la loro musica, grazie a sequenze ariose e ritornelli impeccabili. Una grandeur ottenuta con mezzi di fortuna. E’ nel 2007 che avviene la svolta, materializzatasi nell’incontro con il produttore Mattias Glava. Il secondo album "Migration" mette a fuoco le intuizioni del debutto, portando il gruppo ad esibirsi in mezza Europa (dalla Spagna alla Danimarca, passando per Inghilterra, Germania e Austria). Se tre è il numero perfetto, con "European" si compie il miracolo, un disco davvero estroverso, ispirato, quasi a rasentare la perfezione pop. Che si traduce in canzoni brevi ed impeccabili: i Sambassadeur sono così depositari di quella tradizione che dai sixties arriva ai più esaltanti momenti dell’underground britannico degli eighties. Ma sono il piglio, lo spleen ad essere diversi, qui c’è molta più coscienza e nessun tipo di rivalità coi colleghi d’oltremanica. Lavorare distanti dalle luci della ribalta, per perfezionare un concetto assoluto di canzone.

18/12/09

The Whitefield Brothers - Earthology

Viaggio intorno alla terra, non un romanzo di Jules Verne, nemmeno quel celebre esperimento consumato nei famosi 80 giorni. Mappe alla mano i Whitefield Brothers hanno puntato luoghi esatti, un’esplorazione che si fonda sul loro concetto di musica dal mondo. Earthology è sin dal titolo un lavoro ambizioso, costruito sulla fondamentale tradizione afro-americana. Dopo la recente ripubblicazione del debutto In The Raw, Now Again licenzia un lavoro che di per sé sarà pietra angolare di un genere ormai cosmopolita. Nelle pieghe della musica dei fratelli di Germania possiamo trovare gli esotismi della musica asiatica (i flauti ed i gong), gli xilofoni e gli strumenti a corda della tradizione africana e le percussioni tipiche dell’America Centrale. Di base c’è ovviamente una propedeutica guida funk, ed un formidabile gusto psichedelico. Ma spesso i capolavori non si completano in solitudine. Meglio rivolgersi alla famiglia, agli spiriti affini di casa Stones Throw ed in giro per il mondo a rapper e musicisti che della musica nera rappresentano oggi l’avanguardia assoluta. Da Brooklyn come dal vecchio continente arrivano i rinforzi ed Earthology si modella come un grande carnevale sonoro, in cui le voci di straordinari mc come Bajka (Joyful Exaltation), Percee P e Med (Reverse), Edan e Mr. Lif (The Gift), si danno appuntamento sullo stesso ring, Le fila dei ‘fratelli’ sono ovviamente aumentate dalla presenza di elementi di Antibalas, Dap-Kings, El Michels Affair e Quantic, per donare maggiore profondità a quello che è stato già definito il manifesto wolrd-psichedelico dei Whitefield Brothers. Visioni in 3-D per un nuovo tribale funk.

Scarica il singolo “The Gift” feat. Edan & Mr. Lif

Peanut Butter Wolf presents: The Minimal Wave Tapes, Vol. 1

Quando i Baron Zen col loro ibrido di punk, disco, rock ed hip hop suonavano per lo più nelle college radio della Bay Area, nessuno avrebbe immaginato il successo che un giorno avrebbe abbracciato uno dei componenti del gruppo. Il giovanissimo Chris Manak - addetto alla programmazione sintetica ed alla drum machine, si dilettava coi compagni universitari a rivisitare numeri dei Joy Division – Walked In Line – e Katrina & The Waves – Walking On Sunshine – prima di spiccare il volo verso una fortunata carriera di discografico. Meglio noto col nome d’arte di Peanut Butter Wolf, sarà uno dei padri fondatori di Stones Throw, l’etichetta californiana che più di ogni altra ha saputo rinverdire i fasti dell’hip-hop americano, attraverso uno slancio futurista ed una ricerca negli ambienti limitrofi. Pagando pegno alle proprie origini musicali, Peanut Butter Wolf bussa direttamente alle porte dell’etichetta culto newyorkese Minimal Wave. Pescare nel torbido del post-punk internazionale, rivolgendosi direttamente alla fonte. Miracoli di synth-pop, stortissima wave e rock dal piglio danzereccio, in un’altra ipotesi scabrosa di suono anni ’80. Direttamente dai nastri originali e con un impeccabile lavoro di restauro, la prima compilation tematica dedicata all’etichetta è fuori. 14 episodi lungamente ricercati dai completisti del genere, con esponenti provenienti davvero da mezzo mondo. Dai leggendari spagnoli Esplendor Geometrico – pionieri del movimento electro-industrial – ai francesi Martin Dupont, passando per la sotterranea hit Who’s Really Listening firmata da Mark Lane (quasi antesignano del sound di Model 500). E’ tutto un fiorire di elementi sintetici, tipologie no wave ed ibridi tra dance e chitarre elettriche. Un pezzo dell’altra storia non più per pochi intimi.

Scarica il Podcast di Minimal Wave da questo link

The Minimal Wave Tapes
Track List:
1. “Way Out Of Living” Linear Movement
2. “Flying Turns” Crash Course In Science
3. “Radiance” Oppenheimer Analysis
4. “Who's Really Listening” Mark Lane
5. “Tempusfugit” Tara Cross
6. “Blurred” Turquoise Days
7. “Mickey, Please...” Bene Gesserit
8. “Moscú Está Helado” Esplendor Geometrico
9. “Reassurance Ritual” Das Ding
10. “Just Because” Martin Dupont
11. “Game & Performance” Deux
12. “Things I Was Due To Forget” Somnambulist
13. “My Time” Ohama
14. “The Cabinet” Das Kabinette

Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra Band "Kollaps Tradixionales"



Immergersi in un disco del collettivo canadese è di consueto un rituale, un fuga spontanea da quella realtà frenetica che spesso condiziona la nostra quotidianità, Proprio nelle corde di Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra (o più comodamente SMZ) c'è un saggio di quella che potremmo definire una nuova attitudine naturalista. La band del chitarrista Efrin Menuck è una delle figure più in vista di tutta la scena di Montreal già ai tempi di Godspeed You Black Emperor è sia nei contenuti che nell'atteggiamento fa riferimento ad un preciso programma socio-politico, mai smentito, mai messo in discussione. "Kollaps Tradixionales "è l'album numero sei, il primo dopo il rivoluzionario cambio di formazione avvenuto nell'estate del 2008. Nel frattempo tre elementi hanno abbandonato la formazione ed un nuovo batterista - David Payant - è stato reclutato. SMZ è ora un quintetto, stringato rispetto al recente passato, essenziale nelle sue scelte, comunque in bilico tra le dinamiche del rock d'avanguardia e certa musica cameristica. Ovviamente le orchestrazioni moderne sono presenti in miniatura, al fianco di quella matrice punk e di quell'indolente mistura di psichedelia blues di cui è pregna la loro musica. Il gusto anthemico delle loro composizioni è un elemento indiscutibile ed attraversa la spina dorsale di brani come "There Is A Light" e "Piphany Rambler", indolenti marce sulla disperata terra occidentale. Efrin è un talento non solo dal punto di vista compositivo, la sua poetica amara ha da sempre alimentato i testi del gruppo, vere e proprie disamine sociali, che alla storia guardano sempre con reverenza. Efrim è anche l'unico chitarrista della band, oggi affiancato dai violini di Sophie Trudeau e Jessica Moss, che congelano la modernità rock di "Kollaps Tradixionales" in congetture neo-classiche. Poi il contrabbasso ancora di Thierry Amar che unitamente alla batteria di Payant costituisce un'emblematica sezione ritmica, che pur incorporando le informazioni della scuola jazz ed improvvisativa, prepara un tappeto armonico sostanziale per le evoluzioni della sei corde e dei violini stessi. La cura estrema della Constellation per il packaging ci regala ancora un lavoro impeccabile. "Kollaps Tradixionales" sarà infatti disponibile in ben tre versioni: un cd nella classica confezione apribile cartonata, un cd deluxe limitato a 2500 esemplari, in cui al classico artwork si aggiunge un piccolo libro artistico ed un poster e - dulcis in fundo - il vinile, questa volta un doppio dieci pollici 180 grammi, albergato nella classica lussuosa confezione in cartone riciclato ed un esclusivo libro di 16 pagine di immagini e collage fotografici messo in piedi da Efrim con il videomaker Jem Cohen. Una copia dello stesso cd sarà disponibile nella prima tiratura del disco, 2500 esemplari che, non dubitiamo, andranno letteralmente a ruba.







Priestess


Solo un ascoltatore superficiale potrebbe accostare la musica dei Priestess alla New Wave Of British Of Heavy Metal, magari ingannato da un nome che per attinenza ricorda quello degli autori di British Steel e Unleashed In The East (i Judas Priest del motociclista borchiato Rob Halford per l’appunto). In realtà il gruppo canadese – un quartetto con natali in quel di Montreal, Canada francofono – è attivo dal 2003 e si è già guadagnato uno sterminato seguito tra i kids di mezza America. L’Europa è la nuova frontiera per questi lungocriniti musicisti, che tra smanie progressive, rimandi al Bay Area thrash ed un approccio decisamente trasversale al metallo degli eighties, vogliono guadagnarsi un posto di tutto rispetto nelle gerarchie di questo genere. Dicevamo, la classicità di un genere è demolita attraverso arrangiamenti visibilmente più moderni, tanto da ricordare le progressioni armoniche di certi Mars Volta od il muro chitarristico dei bistrattati Fucking Champs. Heavy-metal decontestualizzato, ma non troppo. Nel 2004 i nostri debuttano per Indica e realizzano uno dei capisaldi dell’hard-moderno canadese del decennio, il programmatico Hello Master. L’approccio del gruppo non è per nulla schematico e come nel caso dei favolosi Mastodon, anche una major s’interessa al caso di questa combriccola underground. La RCA infatti ristampa il loro debutto, lanciandoli con una sfrenata campagna promozionale nell’universo dei maestri del genere. Suonano con Black Label Society, Converge, Motorhead ed i teatrali Gwar. Il gruppo del resto si trova a suo completo agio con qualsiasi artista dell’emisfero rock, fossero gli Iron Maiden piuttosto che i Dinosaur Jr. Nel 2007 il profilo del gruppo cresce in maniera esponenziale, dopo il tour inglese di supporto ai Megadeth di Dave Mustaine ed il singolo Lay Down – che compare addirittura nel videogame Guitar Hero III, Legends of Rock – il gruppo ha stampa e sostenitori ai suoi piedi. Sotto l’egida del produttore David Schiffman (System of a Down, Mars Volta, Nine Inch Nails) il gruppo muove alla volta di Los Angeles, per registrare Prior to the Fire, circostanza che li vedrà impegnati per una buona porzione dell’anno 2008. Il suono – densamente popolato da figure heavy – è così brillante da lasciare senza fiato, un disco di metallo pe(n)sante licenziato dalla sempre più infallibile Tee Pee. A febbraio il mondo dovrà necessariamente confrontarsi con un’altra proverbiale forza d’urto. E’ nelle scritture.

17/12/09

The Hot Rats in nuovo progetto di Gaz Coombes e Danny Goffey dei Supergrass



Fate mente locale, qual’ era il gruppo più spensierato e francamente meno spocchioso di tutta l’epopea Brit-pop? Un suggerimento: uno dei loro album più celebri titolava "I Should Coco". Ci siete? I Supergrass, temperamento ovviamente inglese, hooligans sui generis, parteggiavano per i sixties più elettrici e scrivevano canzoni dall’incedere quasi proto garage (o punk se preferite). Gli Hot Rats – che evidentemente non hanno nemmeno un punto di contatto con il signor Zappa – sono alla resa dei conti un’appendice di quella esperienza, data la presenza di Gaz Coombes e Danny Goffey, che dei Supergrass erano braccio e mente. Un altro power-trio all’orizzonte, un progetto per certi versi ambizioso, curato con dovizia di particolari assieme al terzo ‘incomodo’ Nigel Godrich, un produttore di quelli che non passano certo inosservati, avendo in carnet collaborazioni con pesi massimi quali Paul McCartney e Radiohead. "Turn Ons" è l’album di cover che avete sempre desiderato ascoltare e mai avete osato chiedere. Detta così sembra uno spot di quelli ruffiani, tagliati su misura per il piccolo schermo, ma una scaletta così sensibile al fascino dei sixties, della wave e del post-punk è difficile da rastrellare. Con tale naturalezza. E c’è ovviamente anche del rap, come quello che si usava produrre nella seconda metà degli anni ’80, chiedere al barbuto Rick Rubin per ogni accessoria delucidazione. The Hot Rats prendono questa scampagnata in studio come un grande momento di confronto e liberazione, mettendo davanti le possibili musiche che li hanno formati, confrontandosi con brani che hanno fatto letteralmente la storia del rock e del pop. Sono però le interpretazioni, sempre scoppiettanti - alle volte talmente originali da far pensare a composizioni proprie – a fare di questo disco un prodotto di per sé eccellente. I professionisti non vanno certo allo sbaraglio come in un party post-adolescenziali. Gioca con i fanti, ma lascia stare i santi…ecco riavvolgete il nastro, perchè gli Hot Rats coi padri putative ci giocano, eccome…

Rullo di tamburi - la scaletta:

"I Can’t Stand It" Velvet Underground
"Big Sky" Kinks
"Crystal Ship" The Doors
"(You Gotta) Fight For Your Right (To Party!)" Beastie Boys
"Damaged Goods" Gang Of Four
"Love Is The Drug" Roxy Music
"Bike" Syd Barrett
"Pump It Up" Elvis Costello
"The Lovecats" The Cure
"Queen Bitch" David Bowie
"EMI" Sex Pistols
"Up The Junction" Squeeze

16/12/09

Dag för Dag


Avete mai provato a suonare un disco della Factory in down psichedelico? Quella sensazione fuorviante, quasi un’ebbrezza indotta, potrebbe essere pari all’esperimento condotto da Dag för Dag, spiriti erranti che oltre a condividere la stessa terra d’origine – andrebbe usato il plurale dato che gli States e la Svezia sono i loro luoghi natali – condividono una stretta parentela, essendo all’anagrafe fratello e sorella. Sarah e Jacob tenendo a cuore le parole della propria madre - “Dive right in!” , per l’appunto un invito a lanciarsi, anche artisticamente – incorniciano un pop abissale, che negli umori del post-punk inglese e della cultura lisergica trova la sua ideale congiuntura. Armatisi di chitarre, bassi, organo ed usufruendo di alcuni batteristi temporaneamente in prestito, i nostri concepiscono in quel di Stoccolma un diabolico gioiello indie, quasi un metaforico canto delle sirene, un apocalisse interiore, placido. Espressamente accostati ad una più celestiale versione dei Joy Division, paragonati vocalmente a due icone come Kate Bush e Jim Morrison, i Dag för Dag conservano un sentimento macabro per il pop, in torch songs che si accendono improvvisamente d’elettricità, una cavalcata fantasma nel mare del dubbio, con passo felpato e maniere antiquate. In appena due anni di attività hanno diviso il palco con Wolf Parade, Lykke Li, Shout Out Louds, Handsome Furs, The Faint e The Kills. Il loro album – proprio per non smentire la duplice origine del gruppo – è stato concepito in parte negli States (5 brani sono stati prodotti da un cantautore off come Richard Swift) e in parte in Scandinavia, nella loro base operativa svedese col produttore Johannes Berglund, che ha offerto un tocco di magia ai restanti 7 pezzi. "Boo" è il prodotto di questa felice joint-venture artistica, un disco che culmina in una performance quasi stratosferica, nel suo intimo fuoco. E’ l’eco di quegli edonisti anni ’80, attutita da un docile pensiero flower-power. Un’opera prima da quadro onirico, una traccia impertinente per l’anno che verrà.


01/12/09

Premi e record per "Let Me Be" dei Waines

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MV & EE


Non serve molto in quella vecchia mansione in una provincia americana abbandonata da Dio. Li chiamano moderni primitivi, in realtà è gente che ha raggiunto la pace dei sensi. Loro sono dei veterani di quello che banalmente viene identificato come free-folk. In realtà sono i figli lunatici di Neil Young, i nipoti confusi di John Fahey, i parenti più consapevoli di Jerry Garcia. Matt “MV” Valentine ed Erika “EE” Elder danno un seguito al disco del 2008 "Drone Trailer", tornando alla Ecstatic Peace del santone Thurston Moore, con un album meravigliosamente sospeso tra lisergica elettricità e soave irriverenza acustica. Si chiama "Bar Nova" ed è forse la loro più lucida avventura nel reame della psichedelica asciutta. Sembra quell’American Beauty di matrice californiana o pure quel west coast sound inevitabilmente contaminato dalle scorie del progresso (in)civile. Un’idea di bellezza assalita dai mostri urbani, ma che rimane ancora autentica, innovativa nel suo scivolare nella memoria più antica. Questo è forse il loro disco più compiuto, che tra l’altro potrebbe assomigliare ad una più consistente versione dei tardi Royal Trux, in un malaticcio gioco di schermaglie pop. Il duo è raggiunto per "Bar Nova" da Doc Dunn e Mike Smith (rispettivamente Rickenbacker 4001 e voce), da Jeremy Earl dei favolosi Woods (voce e batteria) e dal grande vecchio J Mascis (batteria, chitarra), che spesso si è anche unito dal vivo a MV & EE. Un disco senza tempo e proprio per questa ragione da iscriversi nella lista dei classici istantanei della stagione. Non una dichiarazione d’indipendenza, nemmeno la pretesa di rinnovare le viziose abitudini di ciò che un tempo si intendeva come rock, solo un onesto e bellamente visionario percorso a ritroso, un chiudere gli occhi per un’ennesima esperienza sensitiva. Bello sciogliersi nell’acido della più rurale pop music.

Kathryn Williams



Le nuove scelte artistiche di One Little Indian sembrano sempre più orientarsi verso una forma canzone levigata, soave, che a fianco al pop introduce elementi addirittura classico-contemporanei. La nuova scommessa ha il volto ed il nome di Kathryn Williams che esordisce il 22 febbraio 2010 con "The Quickening", mettendo in fila un programma di canzoni dal tocco quasi medievale. Si parla di folk rivisitato, legato alla grande epopea dei seventies eppure saldamente piantato nella modernità. Da qui il candore, l’originalità della scrittura della Williams, che pur rispettando i padri spirituali (per certi versi è inevitabile che la memoria sfiori Sandy Denny, Richard Thompson e Bert Jansch) vuole appropriarsi anche di un più fluido linguaggio cantautorale. Ballate in punta di piedi e torch songs candide, supportate da una strumentazione perlopiù acustica e da arrangiamenti gentili, dove anche un vibrafono ed un glockenspiel occupano uno spazio onirico. Docile poi il timbro della Williams, che ha registrato con Bryn Derwen in uno studio del North Wales, in soli quattro giorni e puntando tutto sull’effetto live. E’ già finita sotto l’ala protettrice del magazine Mojo, un buon viatico al mercato inglese, in primis. Dal contratto con One Little Indian scaturiranno anche interessanti progetti, come un disco destinato esclusivamente ad un pubblico di bambini e realizzato dalla stessa Kathryn pochissimi anni addietro. Da Newcastle la musica di "The Quickening "soffia come una leggera brezza e della Williams riconoscerete immediatamente il timbro, una giovane tradizionalista che presto catturerà anche le attenzioni dei nostalgici del new acoustic movement (Kings Of Convenience) e del brumoso pop scozzese (Belle & Sebastian docet). Musica in cui affondare soavemente nell’imminente inverno.

Nurse With Wound



Seguendo una strategia di mercato del tutto particolare, che in qualche maniera si allinea alle politiche del rock in opposition (si pensi ai benemeriti teutonici Faust) ed al reale sentimento do it yourself degli immensi Crass, i Nurse With Wound di Steven Stapleton propongono un’antologia memorabile, non fosse altro per il numero di pezzi scelti con certosino giudizio nella loro enorme discografia (ben 79!) ed il prezzo - davvero simbolico – con cui uscirà nei negozi di dischi. E’ un opportunità per riaffermare il verbo di questi bruti del collage musicale per riportare prepotentemente la musica che conta nei punti vendita specializzati, contrariamente a quello che è il trend del mercato, sempre più orientato allo sfrenato downloading ed all’acquisto on-line. Scelta politica innanzitutto, per preservare un grande patrimonio artistico. La band di Stapleton ha fatto a pezzi le istanze della musica industriale, incorporando progressivamente le innumerevoli passioni del suo leader. Una volta gemellati con i Current 93 di David Tibet (con i quali condividono ancora un forte sentimento etico), i Nurse With Wound si sono presto affrancati da tutto e tutti. Hanno portato alle estreme conseguenze gli effetti devastanti del cut-up sonoro, andando a disseppellire cadaveri illustri (rimarrà ancora vademecum fondamentale la lista di gruppi ‘base’ inclusa nel loro primo Lp), facendo spesso e volentieri il verso a personalità quasi intoccabili della musica vintage. In particolare Stapleton è ossessionato da Perez Prado, uomo e artista di cui colleziona maniacalmente le opere, e al quale ha anche dedicato un album tributo quanto meno sopra le righe. La paranoia passa dunque in alta fedeltà, con questa ironica ed orrorifica colonna sonora che è un focus sulla quasi trentennale attività del collettivo. Qui si scandaglia tra le bestie rare del Regno Unito, tra i signori del white noise divenuti poi sprezzanti ambasciatori della conoscenza. Senza mai darsi troppe arie. Un atto dimostrativo, fomentato dall’incurabile passione dadaista, una raccolta delle musiche impossibili del nostro tempo. Ma anche uno schiaffo morale a chi crede che l’industria de disco sia irreparabilmente in mano alle grandi corporazioni. Cattivi maestri ora e sempre!