30/10/09

King Midas Sound - Waiting For You (Hyperdub)

Un approccio all’elettronica elevato dall’enorme bagaglio tecnico ed espressivo dei due, al secolo Roger Robinson e Kevin Martin. Robinson rispettato poeta ha fatto in modo che il suo stile divenisse più confidenziale, optando per una fragile voce in falsetto, presto divenuta elemento caratterizzante. Originali i risultati di questa metamorfosi, per un album che contempla interamente la forma canzone, rappresentando una nuova scommessa per la stessa Hyperdub. Un’atmosfera oppiacea sorregge il disco, quasi uno scenario urbano sfocato, una nebbiolina perenne che circonda ritmi in levare mai troppo invadenti. E’ il lavoro del produttore Kevin Martin, noto anche per le sue scorribande con la sigla The Bug (ma una carriera che abbraccia l’avanguardia jazz coi God e l’hip-hop mutante coi Techo Animal) ad essere affascinante e subdolo come non mai. La voce di Roger è stata addirittura accostata ad un fantasioso ibrido tra Gregory Issacs e Vincent Gallo. In tre tracce dell’album , il duo si trasforma in trio, con l’ulteriore contributo vocale di Hitomi (direttamente dalla crew Dokkebi Q) che aggiunge ulteriore flavor ad un disco per certi versi definitivo.

Dopo l’exploit compiuto da Burial con Untrue, un ulteriore passo verso una canzone mutante, ritmica, quasi cantautorato jazz in prospettiva Blade Runner. Un progetto che sin da questo momento è destinato ad iscriversi tra le ‘cose’ che contano di questo fine decennio.

http://www.myspace.com/kingmidassound

Neon Indian - Psychic Chasms

Alan Palomo è un personaggio evasivo, sregolato produttore che galleggia in una zona d’ombra tra il mainstream ed il più avveniristico underground. Avendo già lavorato a propulsivi remix per Grizzly Bear, Au Revoir Simone e The Silent League, è già un nome in vista nei club più alternativi. Presto le richieste aumenteranno e le sue quotazioni saliranno alle stelle, uomo avvisato…I Neon Indian sono necessariamente il suo sogno bagnato, una psichedelia sintetica che piuttosto che adagiarsi sugli schermi al plasma contemporanei, si perde nelle nebbioline da videoclip anni ’80. Tutto molto fluorescente, con synth analogici che reclamano vendetta e canzoni immolate ai più sordidi sentimenti pop da dancefloor. Il disco è stato realizzato durante un severo inverno texano - altro luogo dove la tradizione lisergica è di casa – partendo da basi molto poco ortodosse, in cui field recordings, rozzi campionamenti e bizzarri sintetizzatori convenivano per dare il là allo scabroso party titolato Psychic Chasms. Con l’intervento della video artista Alicia Scardetta, questo progetto sposa la multimedialità con fare profano e presto sarà in grado di spingervi in un immaginario girone infernale. E’ un disco che nei contenuti si focalizza sugli ardori post-adolescenziali, tirando in ballo le sempre più alienanti relazioni interpersonali od il ripetitivo utilizzo di sostanze stupefacenti. Lo spleen esistenziale dei primi New Order ed un casalingo french touch che occhieggia d’ufficio ai Daft Punk, per i Neon Indian non è solo un gioco citazionista, ma il sentore di un’attitudine homemade all’indie elettronica. Una storia che si consuma tra Austin e Brooklyn ed un finale quanto mai imprevedibile.

28/10/09

Uragano Cope

Quando anche il più severo fra i suoi detrattori è pronto a sventolare bandiera bianca, è lui stesso a coglierci di sorpresa con una serie di esibizioni soliste – sono state due le date italiane – in cui ha sì rivisitato il suo repertorio, ma unicamente armato di chitarra acustica, elettrica e – salturiamente – pianoforte. Archiviata questa esperienza – tutti i presenti ne hanno parlato in termini entusiastici – il nostro è sempre più indaffarato con una release schedule che non gli consente di tirare il fiato. Se anche la sua vecchia label Island si affretta a ripubblicare in versione doppia il capolavoro Peggy Suicide, ci sarà pure un motivo? Omaggiato dal prestigioso mensile The Wire con un copertina ed un relativo articolo monografico, Julian ci ricorda che il suo ultimo album, coi Black Sheep, Kiss My Sweet Apocalypse – pubblicato dalla Invada di Geoff Barrow dei Portishead - è ancora lì a testimoniare di quanto il druido abbia ampio controllo sul suo profilo artistico. La musica psichedelica è ancora oggi il suo pane quotidiano, il punto di partenza per nuove esagitate avventure. Un pozzo di scienza Cope, che dopo i libri monografici sul kraut rock ed il corrispettivo nipponico, è assurto al ruolo di incontestabile critico di settore. Kiss My Sweet Apocalypse è anche uno dei sui lavori di più spiccato orientamento politico, in cui l’omaggio diretto è a Che Guevara ed Ulrike Mainhof. Sonorità al solito evocatrici , tra strappi hard rock e pindarici voli psycho-prog, con annesse acide ballate decantate con fare propiziatorio.

Nuovo artista in casa Easy Star: Tommy T

Tommy T è il bassista dei Gogol Bordello, almeno da tre anni a questa parte. Nato e cresciuto in Etiopia, ha portato la sua enorme conoscenza per i ritmi globali proprio in seno alla banda punk tzigana, facendo in modo che divenisse una delle più piacevoli anomalie nell’ambito del rock più estremo e scanzonato. Per il suo debutto in solo Tommy ha prodotto un qualcosa di realmente ambizioso, a titolo The Prester John Sessions. E’ un viaggio in musica come era lecito attendersi da uno strumentista che ha toccato tutti i confini possibili del globo terracqueo, almeno a livello immaginifico. Si tratta di 11 brani, con un remix ad opera dei compagni di squadra Eugene Hutz e Pedro Erazo. Un affare di famiglia, tanto che il mixaggio dell’album è stato affidato a Michael Goldwasser degli Easy Star All-Stars. La newyorkese Easy Star è infatti la casa per cui Tommy T lancia la sua offensiva artistica al mondo. Di spicco anche la collaborazione estesa a due brani con la vocalist Gigi (una delle più popolari voci della moderna tradizione etiope nonché moglie di Bill Laswell).

Mentre i Gogol Bordello si apprestano a pubblicare un nuovo album da studio nel 2010 (prodotto addirittura da Rick Rubin!), Tommy T scopre una della maniere più vantaggiose per riconnettersi alle proprie memorie ancestrali, concependo un disco che oltre ai suoni del continente africano, possa anche baciare le tecniche del dub. Con il tocco finale in post-produzione di Victor Van Vugt (Nick Cave, Gogol Bordello) il disco assume i tratti di una fantasiosa jam tra gli Headhunters di Herbie Hancock ed uno dei fondamenti della musica etiope, la Imperial Bodyguard Orchestra. Una musica etnica che si arricchisce senza soluzione dio continuità di elementi dub reggae, funk,e jazz mescolando il noto all’imprevisto, sempre in un’atmosfera profondamente familiare.

Mr.Chop - For Pete's Sake

Coz Littler è un musicista/produttore inglese ai più noto come Mr. Chop. Operativo nella regione del Cheshire – dove presso gli Ape Studios è stato concepito For Pete’s Sake – il nostro lancia in realtà una sfida a un mito nero d’oltreoceano, il produttore Peter Pillips da New York. Ovvero sua eminenza Pete Rock. Con For Pete’s Sake vengono riprodotti - in chiave rigorosamente strumentale - alcuni suoi classici, brani guida dell’hip –hop più moderno. Si tratta di un disco integralmente suonato, in cui finissime atmosfere space jazz si ricongiungono al corposo beat del primigenio funk. Il tutto è legato da una concezione moderna di cut up sonoro in cui le camere d’eco del dub si prestano ad un interessante gioco di specchi. Mr. Chop non fa mistero delle sue doti, essendo polistrumentista di rango, spesso protagonista di session in casa Now-Again e Jazzman Records. Recentemente al lavoro con MF DOOM al disco Born Like This, Littler ha fatto sì che in For Pete’s Sake trovassero spazio un’infinità di generi musicali, o almeno quelli a lui più cari. Si parte dall’arte del campionamento hip-hop per riscrivere completamente un disco fatto di intuizioni psych funk, jazz e rock, che spesso abbandonano il versante degli stessi originali, per approdare ad una nuova dimensione iper-moderna. Complice anche il batterista Malcom Catto – visto di recente in azione con gli Heliocentrics – questo è un disco che stimolerà la fantasia dei b-boy di mezzo mondo come l’immaginazione di migliaia di crate-diggers dispersi nel mondo. Un festival del rare-groove, in cui Pete Rock è solo il pretesto per una sfilata di momenti deliziosi, in cui riscopriamo il sapore di alcune etichette americane come Strata East o Black Jazz in piena collisione con l’attitudine rivoluzionaria del breakbeat di scoola Ninja Tune e Mo’ Wax.. Space is the place!

27/10/09

Due nuove uscite per Tracce / RAI Trade


Matthew Shipp - "Nu Bop Live"
Daniel Carter-tenor & alto sax
Matthew Shipp-piano
William Parker-bass
Guillermo E.Brown drums, electronics

Cresciuto a fianco di nomi importanti come Roscoe Mitchell, David S. Ware e William Parker, Matthew Shipp rappresenta oggi una delle massime individualità del jazz afroamericano. Con il progetto "Nu Bop" il pianista intende forzare i limiti del linguaggio jazzistico e spingersi verso il mondo dell'elettronica e dei ritmi digitali. Daniel Carter, William Parker e Guillermo E. Brown, ovvero il cuore del jazz d'avanguardia newyorkese, sono i musicisti scelti a completamento di un quartetto di grande personalità. L'ambiente perfetto dove far interagire elementi della tradizione free con pulsazioni funk e ritmi quantizzati. Dopo un primo album prodotto nel 2002 dalla Thirsty Ear ecco finalmente il secondo capitolo della storia "Nu Bop" un "istantanea" catturata durante l'apparizione dal vivo al festival "New York is Now", un'imponente rassegna (Roma 2004) interamente dedicata alla scena del nuovo jazz newyorchese e artisticamente diretta da Pino Saulo di Rai Radio 3. La musica di "Nu Bop" fluisce e attraversa fasi molto eterogenee, si va dal fraseggio aperto delle zone più astratte e spirituali fino a inoltrarci in intrigate e reiterate giungle ritmiche dove la tensione lirica del sax di Daniel Carter scava nel profondo degli accordi di Shipp e la scansione basica di William Parker segna il terreno per i ritmi programmati di Guillermo E. Brown.


Stefano Maltese, As Sikilli Ensemble - "This Floating Space Suite"
Stefano Maltese-sop. & alto sax, bass cl. flute. perc.
Gaetano Cristofaro-tenor sax, bass cl.
Ivan Cammarata-trumpet. & fluegelhorn.
Tony Cattano-trombone & dijeridoo
Giuseppe Guarrella-cello
Alberto Amato-bass
Antonio Moncada-drums, perc.
Gioconda Cilio-vocals, mbira perc.

l'As Sikilli ensemble è la creatura multiforme attraverso cui il compositore e sassofonista Stefano Maltese esprime e concretizza una visione musicale profonda, rigorosa e in costante evoluzione. Un organico di base siciliana attraverso cui la scrittura generosa del leader si offre come traccia necessaria alla costruzione di un suono fortemente collettivo. Da sempre Maltese ha costruito i suoi ensemble su musicisti di estrazione e generazione diversa, ed ecco un giovane asso come il trombonista Tony Cattano al fianco di veterani del ritmo come Giuseppe Guarrella e Antonio Moncada. (In passato ricordiamo presenze non meno eterogenee come il trombonista Sebi Tramontana e il trombettista Roy Paci). La musica di Maltese appare profondamente radicata nell'esperienza del jazz creativo contemporaneo, una sorta di ponte tra la poesia proveniente da un mondo antico e mediterraneo e la sensualità del linguaggio jazzistico afroamericano. Echi del suono della prima AACM affiorano da una struttura musicale densa e fortemente narrativa, un luogo di dialogo naturale dove l'ego jazzistico viene dichiaratamente abbolito in favore di un suono di gruppo lirico ed altamente evocativo.


Cute Lepers



Steve E Nix dei The Briefs è il leader degli scatenatissimi Cute Lepers, è lui a dirigere le operazioni con i compagni di ventura Kicks – basso - Prisilla Ray - voce, tamburino – Duffy - voce – Brian Yeager - chitarra, voce – e Josh Blisters che siede dietro alla batteria. Il debutto "Can’t Stand Modern Music", che vedeva la luce nell’aprile del 2008, ed il secondo "Smart Accessories" - in uscita in questi giorni - non fanno che confermare la vena assolutamente spontanea del gruppo, che nonostante i natali americani – arrivano infatti dal Northwest, Seattle – sembra appropriarsi di un immaginario mod-punk tipicamente inglese. La loro musica attinge al vasto e misconosciuto calderone del power-pop di fine ’70, incrementando in buona misura quel sodalizio adrenalinico con staffilate punk e wave. Hanno una sfilza di riferimenti, e questo è una sorta di miracolo dell’abbondanza, se pensate che il gruppo può spaziare in maniera vivace nell’ambito delle sonorità più guitar-oriented, senza fare prigionieri. Generation X, Mink DeVille, Tom Robinson Band, Johnny Thunders, The Equals, Richard Hell & the Voidoids, Newtown Neurotics, The Boys, Eddie & the Hot Rods, The Nips/Nipple Erectors, The Only Ones, Real Kids, The Zeros e The Undertones, sono solo alcuni dei nomi di un’ipotetica e kilometrica lista. Attingere ad un sostanzioso periodo storico, pur mantenendo una solida filosofia ed un tiro strepitoso questa sembra essere la regola in casa Cute Lepers. Originariamente l’idea era appunto quella di far convivere la prima ondata wave punk, il mod revival, il power-pop e l’irriverente approccio del tardo Johnny Thunders. Ma unitamente a questi elementi l’attenzione si è anche spostata sul rock’n’roll dei primordi ed i vocalizzi tipici della tradizione doo-wop. E’ ancora un’eccellente idea e l’uso massiccio di una sezione fiati in alcuni dei brani guida di questo "Smart Accessories" non fa che confermarlo. Un quadretto da Quadrophenia modernista.

26/10/09

Jon Spencer torna con il progetto Heavy Trash



Pensavate di poter fare a meno del più genuino rock’n’roll, anche in tempi in cui la musica passa attraverso compresse digitali? Evidentemente il buon gusto non manca a molti dei seguaci del verbo ed è questo il motivo per cui gli Heavy Trash continuano nemmeno troppo segretamente ad infestare i malfamati (per eccesso) club di mezzo mondo. Parcheggiata la sgargiante automobile Blues Explosion in esterno – chissà quanto è pagato il guardia macchine - Jon Spencer si butta anima e corpo in quella che è la terza avventura lunga del duo. Sì, perchè aldilà del cast intercambiabile dei musicisti (alcuni sono addirittura calati dal nord Europa), Heavy Trash rimane una faccenda a due. Assieme all’ex Pussy Galore (nel frattempo anche i suoi Boss Hog hanno rimesso la testa fuori dalla lussuosa cantina di downtown) l’altro architetto del suono sconnesso è Matt Verta-Ray, che coi suoi Speedball Baby ha pur fatto sobbalzare qualche cuore. Dove vanno a pescare i nostri? L’iconografia è nota e quei ciuffi sparati sono belli a vedersi, ma la musica è tosta, roba per veri intenditori. Insomma conosci i maestri e rovescia i banchi di scuola. Per compiere la scalata alla corte del rock’n’roll la rivisitazione è globale: gli anni 50, 60 e 70 sono messi a ferro e fuoco, nottetempo. Punk, blues e rock ‘n’ roll sono gli ingredienti, cucinati comunque con grazia, perchè di raffinatezze vive anche la musica del diavolo, cosa credete? Bo Diddley, Link Wray, Eddie Cochran, Lux Interior e Joe Strummer banchettano (in alcuni casi sono solo ologrammi) felicemente assieme, sullo sfondo di questa festa titolata "Midnight Soul Serenade". Nel 2010 ci sarà poi il live ed in quell’occasione bisognerà vestirsi di tutto punto…

22/10/09

Lightning Bolt



Di animali in gabbia non si può più parlare ormai, dopo che i due di Providence, Rhode Island, hanno preso a frequentare anche i più trafficati festival internazionali. Quasi un addio intenzionale ai famosi basement show immortalati nel bellissimo dvd The Power Of Salad. I Lightning Bolt non sono più affar per pochi, la loro notorietà è esplosa definitivamente dopo il penultimo Hypermagic Mountain. Da protagonisti all’ATP organizzato dai My Bloody Valentine a New York a primissime stelle nel rinomato Primavera Sound di Barcelona. Brian Chippendale con la sua maschera microforata si dimena come un ossesso dietro alla sua batteria, mentre Brian Gibson – uno tra gli ideatori di Guitar Hero, pensate un po’ – è l’anima più austera del gruppo, che nonostante tutto sciorina una serie di scale distorte sul suo basso. Da sempre fedeli al marchio Load, label con cui del resto sono cresciuti, con Earthly Delights non perdono minimamente terreno, continuando a fustigare i loro strumenti con fare apparentemente sconnesso. E’ una musica che ricicla tutto, dall’hardcore americano al noise giapponese, fino a mostrare elementi di rock progressivo e intrepide mosse da dissennata compagine world music. E in tutto questo i nostri non sembrano perdere una stilla di sudore, tanta è l’applicazione che mostrano in studio. I Lightning Bolt sono infatti una delle rare formazioni contemporanee che riescono a mantenere invariata la propria forza d’urto dentro uno studio di registrazione come su un qualsiasi palco. Della serie: niente orpelli, ma solo una palestra per la mente ed il corpo che genera più di un capogiro. E’ l’assalto all’arma bianca più logico che possiate trovare ad oggi tra gli scaffali dei dischi, non una rivoluzione pre-confezionata, ma una medicina di quelle che sortiscono effetto immediato.

King Khan And BBQ Show - Invisible Girls



Chi li ha visti dal vivo di certo non dimenticherà la foga e lo spirito con cui questa band - per metà canadese e per l'altra berlinese - ci ha restituito alcuni dei momenti migliori del rock'n'roll incrociando il garage sound dei sixties con una vena soul che rimanda direttamente ai classici della Stax. Non è affar da poco, quando le canzoni sanno essere allo stesso tempo così travolgenti e calde, incamerando vecchi ideali di vita ed affermando come i distinguo tra black music e suoni chitarristici siano questione da adolescenti brufolosi. Il pubblico variopinto che li accompagna senza esitazione da molti anni a questa parte - il leader King Khan è poi un trasformsita nato, basta scorrere le numerose ragioni sociali con cui è solito esibirsi - costituisce più di una garanzia. Il loro peregrinare artistico non è mai stato fine a sè stesso, diverse etichette per diverse esigenze, dalla Fat Possum alla Norton passando per Crypt e Vice. Eppure con Invisible Girl si torna nella casa dei sogni, la In The Red, che grazie ad un programma di uscite sempre più strabiliante, vuole ottenere un sostanzioso ritorno di immagine. Per King Khan & BBQ Show si tratta del terzo album lungo, un ritorno spumeggiante alle influenze doo-wop ed all'impronta garage che ne hanno costituito il mito. Del resto due personalità così decise come lo stesso Khan e Mark Sultan non possono certo soprassedere su quelle che sono le loro passioni più tardo-adolescenziali. E dunque via a questa giostra di umori e desideri, dove la musica è traino di un gioco mai troppo più grande e dove l'intrattenimento (pur sempre artistico) Ë il primo obiettivo. Long live King Khan & BBQ Show.

20/10/09

The Vals


Prima di giudicare erroneamente i Vals come l’ennesimo gruppo brit-pop, date un’occhiata al loro passaporto. I quattro arrivano da Belfast, Irlanda del Nord e, operando a distanza dall’epicentro musicale inglese, possono prendersi determinati lussi, non ultimo quello di muoversi in maniera del tutto atipica nell’ambito di sonorità retro. Che forse – con un pizzico di stile in più – faremmo meglio a chiamare vintage. Paul Doherty, John Rossi, Marty Malone e Owen Duffy al loro debutto sulla lunga distanza – "Sticks & Stones" per Electrique Mud – hanno già quelle credenziali sufficienti a raccogliere l’eredità di ben più celebri formazioni d’oltremanica. Pensate che per loro si è mossa addirittura Yoko Ono, che ha avuto parole di assoluto elogio per i quattro. Le dodici tracce dell’album tradiscono certo un estremo rispetto nei confronti dei fab four, ma se possibile ne attualizzano gli insegnamenti, proponendo una musica certamente pop nelle melodie, ma assai strutturata sotto il profilo armonico. Sono gli arrangiamenti a recitare la parte da leone, laddove fiati ed organi Hammond sembrano convivere in una dimensione parallela, che rimpinza di orpelli soul una musica di stretta discendenza indie-pop. Per di più quella sottile vena psichedelica, a rendere più onirico il viaggio nella musica popolare dei Vals. Un disco che vive anche agli antipodi, scegliendo una dimensione a tratti rock’n’roll, altre più morbida e contemplativa, ma aprendosi in maniera pressoché stupefacente ai ritmi del dancefloor alternativo. Giovani eppur consci dei propri mezzi i Vals di "Stick & Stones" sgomitano alla grande con più affermate starlette provenienti dal regno unito. Ricordate dove lo avete letto la prima volta.

12/10/09

Grand Hart torna con un atteso disco solista


Si chiama "Hot Wax" ed è il nuovo biglietto da visita dell’ex-voce e batteria degli Hüsker Dü Grant Hart, un uomo che ha fatto la storia della musica indipendente americana. E più in generale del rock targato anni ’80, demolendo in pratica l’estetica hardcore e trasportandola in un parallelo universo sixties pop. Dopo anni di forzato ritiro dalle scene e dopo aver esaurito anche le creazioni a sigla Nova Mob, Hart si rimette in discussione. Il risultato è un album scritto in completa solitudine ed arrangiato con pochi amici fidati. Alcuni davvero sorprendenti. "Hot Wax" è stato infatti concepito tra la natia Minneapolis e Montreal, presso gli studi di proprietà di A Silver Mt Zion. Se volete un’operazione analoga a quella consumata con Vic Chesnutt, dove i musicisti canadesi eseguono con buona personalità i brani scritti dallo stesso Hart. Che in questo album svela definitivamente la passione per i Byrds – già palese ai tempi degli Husker Du – mettendo insieme alcuni clamorosi esempi di flower power pop. Disco dunque bagnato nel rock’n’roll più ancestrale come nella psichedelica più solare, con organi sferzanti e percussioni martellanti. La sua voce poi, un toccasana contro ogni più recondita nostalgia. La seconda (o terza?) vita di uno dei più grandi scrittori degli ultimi 25 anni.

06/10/09

Goodfellas compie 10 anni

GOODFELLAS COMPIE 10 ANNI

E VI INVITA A FESTEGGIARE INSIEME AL CIRCOLO DEGLI ARTISTI, A ROMA, IL 4 NOVEMBRE

Dieci anni e non sentirli, affermazione che nell’ambito della discografia indipendente è un traguardo per nulla trascurabile. Il team di Goodfellas è riuscito a realizzare il sogno di molti: tradurre la propria passione in un’attività professionale. Attraverso l’esperienza guadagnata sul campo e gli anni d’intenso coinvolgimento nel circuito musicale italiano è divenuta una realtà esemplare, una valida alternativa a quello che è lo stantio circuito dei grandi media e dell’industria dell’intrattenimento.

E’ stata grande la determinazione nel portare avanti questo progetto, che nasce appunto da una conoscenza profonda del settore e da un’attenta selezione dei prodotti in campo. Laddove il mercato internazionale si mostra sempre più claudicante ed incerto nelle sfide da lanciare, quando anche la diversità dei formati in gioco (dal download digitale ad oggetti feticcio come la pennetta USB) non sortisce gli effetti sperati, Goodfellas lavora con grande accortezza su un circuito underground che riserva ancora grosse soddisfazioni. Un mercato di nicchia che di fatto sbugiarda le attuali tendenze che vogliono la vendita del disco incaduta libera.

Goodfellas si è fatta garante di molte tra le più prestigiose realtà indipendenti internazionali, fungendo da autentico vivaio per molti degli artisti più in voga al momento (un paio di esempi: i White Stripes o il cantautore Devendra Banhart, partito in sordina su Young God ed arrivato ad una multinazionale). Paradossalmente l’altalena del mercato contemporaneo ha permesso di collaborare con grandi stelle del firmamento pop, artisti come Paul McCartney (di cui Goodfellas ha distribuito in esclusiva il progetto Fireman) e la premiata accoppiata Brian Eno/David Byrne. Per non parlare poi della partecipazione al festival di Sanremo 2009 di Easy Star All‐Stars ‐ noti per i tributi a Pink Floyd, Radiohead e Beatles – chiamati a gran voce sul palco dell’Ariston dallo stesso Paolo Bonolis.

Puntando fermamente alla qualità e senza mai escludere un genere a priori – anche un sommario approccio al catalogo vi dirà che si passa con grande naturalezza dall’indie‐rock alla black music, dall’elettronica alle moderne forme di folk music – la compagnia è divenuta punto di riferimento per artisti nazionali ed internazionali, appassionati ed addetti ai lavori.

Parallelamente al ruolo di distributore e produttore, Goodfellas – conscia dell‘imprevedibilità dell’attuale mercato – ha sviluppato un deciso impegno su altri fronti. Al fianco di un solido ufficio stampa, si sviluppa il lavoro sulle edizioni musicali al fine di valorizzare pienamente le capacità degli artisti rappresentati. Proprio in questa direzione si è inaugurata un’articolata attività di consulenza musicale per film, pubblicità e documentari, oltre a quella di counseling per i partner stranieri.

Uno sguardo al passato – coltivando ancora la classica rete distributiva ‐ ed uno al futuro, lasciando costantemente una finestra aperta a nuove iniziative, questo potrebbe essere l’elisir di lunga vita di Goodfellas.

Goodfellas festeggia il suo decennale il 4 Novembre, con un evento speciale presso il Circolo Degli Artisti di Roma in combutta con Snob Productions. Sarà anche l’occasione per vedere in azione uno dei più promettenti artisti usciti dal suo catalogo: il soul man bianco Mayer Hawthorne.

I primi 100 partecipanti riceveranno in omaggio un cd dal nostro catalogo.

Per informazioni

Roberto Corsi: roberto@goodfellas.it

Rossana Savino: rossana@goodfellas.it

02/10/09

Il nuovo album delle Slits



Questo è un appuntamento con la storia. Con le eroine del punk inglese presto rapite dalla musica caraibica. Dalle generose "Peel Session" al bizarro "Return Of The Giant Slits," passando per il capolavoro riconosciuto "Cut" (dove sentivamo la nerboruta cover in levare di "Heard It Through The Grapevine" di Marvin Gaye). Ari Up non ha in realtà mai abbandonato le scene musicali, scegliendo spesso il ruolo di protagonista silenziosa in quella che è stata una breve carriera solista, parecchio imperneata sui suoni reggae. Nel 30ennale della pietra miliare "Cut", la band torna insieme, ovviamente con i cambi strategici del caso. Sono innanzitutto 5 le Slits di oggi e con Ari Up c'è l'altra presenza dell'originalie line-up: Tessa Pollit. "Trapped Animal," licenziato da Sweet Nothing, è il disco che riporta all'attività il gruppo inglese, dopo un'assenza di 'appena' 25 anni dalle scene. Chiaramente le intenzioni e gli strumenti di propaganda sono cambiati, lo stesso caratteristico suono della band si arricchisce di nuove interessanti sfumature che spesso fanno rima con le moderne frontiere della musica dance. Dettagli mai invasivi però. Perchè la natura del gruppo è quella di macinare il ritmo sulla corda tesa dell'eredità punk-reggae. Insieme alle due storiche figure ci sono Hollie Cook (figlia del batterista dei Sex Pistols Paul Cook), Anna Schulte ed Adele Wilson. Nuovi volti che fanno delle Slits ancora una compagine viva, pronta a incendiare gli animi.

Jackie Oates


Jackie Oates è una cantante inglese, nonchè violinista, molto nota nei circuiti folk nazionali. Le sue fortune sono dovute alla collaborazione col gruppo Rachel Unthank & The Winterset – designati peraltro in passato con una nomination al Mercury prize - ed alla joint-venture con Wistman's Wood e Morris Offspring. Giovanissima – appena 25 anni – ha già raggiunto una ragguardevole considerazione, in parte fomentata dalla nuova avventura solista intrapresa nel 2008 con la pubblicazione di "The Violet Hour". Se la decisione di abbandonare Rachel Unthank & The Winterset è parsa a molti addetti ai lavori scapestrata, la Oates non ha fatto fatica a smentire i detrattori guadagnandosi in men che non si dica le attenzioni di BBC Radio 2, che nell’ambito dei Folk Awards l’ha segnalata tra le migliori artiste emergenti. Lo stesso Mojo ha promosso il suo debutto tra i 10 migliori dischi di genere. Fresca di un nuovo contratto con One Little Indian e con un nuovo disco da promozionare – "Hyperboreans" – Jackie è alla prova del nove. Il disco prodotto dal fratello Jim Moray, può contare anche sulla presenza di Alasdair Roberts (cantautore celebrato per le sue uscite su Drag City) che oltre a scrivere la title-track suona anche su due tracce del disco. Dal tono confidenziale e tradizionale di brani quali "The Pleasant Month Of May" e "Young Leonard" si passa anche a una sorprendente cover di "Birthday" degli Sugarcubes. L’album si chiude poi con un’indimenticabile performance a titolo "May The Kindness" a firma Dave Wood, un piccolo ma brillantissimo cantautore del Devon. Con "Hyperboreans" Jackie Oates si conferma tra le artisti leader dell’ennesima rinascita folk britannica.

Oh No presents: Ethiopium - nuova uscita Stones Throw

Dopo la Turchia - il rock psichedelico dell’Anatolia rivisto e corretto, sminuzzato – condito attraverso spezie greche, italiane e libanesi - ed offerto attraverso un incessante martellare di breakbeat Oh No visita virtualmente un'altra grande terra foriera di ispirate tradizioni musicali. Siamo in Etiopia per questo nuovo esperimento sul suono curato dal minore dei fratelli Jackson (l’altro è Madlib ovviamente). I dischi li fornisce un grande collezionista come Egon, che da sempre ha avuto le mani in pasta nelle più intime faccende della californiana Stones Throw. L’album sarà pubblicato nella versione integrale a novembre, contemporaneamente all’omonimo caffè Ethiopium, che l’etichetta di Los Angeles lancerà più per vezzo promozionale che non per finalità strettamente commerciali.

Come al solito è un florilegio di suoni ed idee geniali a trionfare sulla scena, la brillantezza di Oh No non è solo nella tecnica dell’assemblaggio, ma nel gusto in cui anche i più coraggiosi degli accostamenti sembrano trovare un senso compiuto, una logica di appartenenza. Tenendo conto di quegli strepitosi anni 60 e 70, la musica etiope viene saccheggiata nei suoi più eclettici momenti, con dosi importanti di funk, jazz, soul, psichedelia e folklore locale. Un disco prettamente strumentale, se si esclude qualche vezzo locale tagliato finemente per l’occasione, quasi come un campione impazzito od un’allucinogena ciliegina sulla torta.

E’ un disco che può rapire i più smaliziati ricercatori di incredibile strange music come i patiti del turntablism, ma in generale tutti coloro che adorando la musica del passato vogliono vederla trasposta – con piglio documentaristico - su una pellicola dei giorni nostri.

Nuovo album per i Mission Of Burma

Ci hanno preso gusto i pionieri del post-punk americano...Dopo la reunion avvenuta a metà decennio la cosa più naturale è stata quella di tornare a pubblicare dischi e ad imbarcarsi in tour internazionali. Questo è a onor del vero il quarto album da studio dei Mission Of Burma, dato che la primissima parte della loro carriera è stata spesso contraddistinta da ep e singoli dal clamoroso impatto. Memori di quanto sia stato influente un disco come VS - un album che che è da annoverare tra i 10 gioielli del dopo-punk d'oltreocenao di sempre - i Mission Of Burma non hanno mai cercato di replicarne i contenuti, ripresentandosi nel nuovo millennio con nuovi intenti ed energie.
Detto questo, il nuovo The Sound Of The Speed Of Light (che esce ancora per Matador negli USA e per Cargo UK in Europa) è ancora affare intenso, un disco che ti prende con grazia alla giugulare, tra numeri saltellanti e vere e proprie folate soniche, curate - sempre e comunque - nei minimi particolari. C'Ë sempre quella ritmica incalzante ed articolata, una chitarra dall'ossessivo taglio white funk ed una sequenza di tape loops che creano un ambiente determinante per la progressione di questi rutilanti brani.
Lo stato dell'arte è nuovamente in fiamme, i nostri con il loro raffinato modo di attentare le istituzioni musicali si pongono tra gli esempi da seguire. Ora e per sempre.

Githead - Landing


Con Landing i Githead giungono alla loro quarta pubblicazione (la terza estesa), un ruolino di marcia impressionante se si pensa che il gruppo è nato appena 5 anni fa. I Githead sono del resto il prodotto di tre autentiche teste pensanti, personaggi che con le rispettive attività soliste - od in gruppo - hanno rivoluzionato le fondamenta della wave inglese, dell'elettronica e del rock che incontra la musica etnica. I Githead sono Colin Newman (Wire), Malka Spigel e Max Franken (Minimal Compact) e Robin Rimbaud (in arte Scanner). Immagino non serva aggiungere altro sui curriculum dei protagonisti, che con Landing trovano la cosiddetta quadratura del cerchio, con il loro album pi˘ accessibile, tendenzialemnte pop, ma pur sempre interessato a quell'intreccio stilistico tra rock ed elettronica. Ci sono una serie di distinti elementi in campo: il senso melodico di Newman e Rimbaud - oltre al loro approccio chitarristico di impronta minimale - la sezione ritmica tonante di Spigel e Franken, e quelle preziose tessiture che allargano in maniera organica le maglie dei brani, spesso creando un effetto ipnotico. Sofisticati eppure in grado di liberare un originale furore pop, i Githead sono il prototipo di come il post-punk sia capace di rinnovarsi anche ai giorni nostri. In maniera decisa e definitiva.

Ascolta il singolo Take Off da questo link

01/10/09

Do Make Say Think - Other Truths

Album numero sei per il collettivo canadese, una della più longeve realtà del catalogo Constellation. Lasciatasi alle spalle ogni esitazione i Do Make Say Think mettono mano a quello che da molti verrà definito il loro manifesto musicale, sicuramente progressivo, partendo dall’assunto che tre delle 4 tracce che ne compongono la scaletta superano abbondantemente i 10 minuti di durata.

E’ l’album in cui le loro idee più che essere liofilizzate vengono ampliate, seguendo un percorso di crescita artistica importante. Questo ne fa uno degli ensemble più versatili nell’ambito del nuovo rock strumentale, grazie ad una visione d’insieme che porta ad allargare a dismisura le maglie del primigenio post-rock.

Incamerando sulla propria strada ulteriori spunti e andando a scomodare altre forme musicali non propriamente occidentali – si passa con estrema naturalezza dalle tirate psichedeliche ai più distesi scenari folk, pur introducendo elementi consistenti di jazz e dub – i Do Make Say Think suggeriscono un’ulteriore svolta stilistica, sperimentando in prima persona il potere della parola.

Non certo scandita con prepotenza, ma utilizzata come prezioso accessorio nella loro musica, grazie all’intervento amichevole di membri di Akron Family e Lullabye Arkestra. A stabilire un nuovo ordine di cose i canadesi titolano i quattro brani in maniera inequivocabile: “Do”, “Make”, “Say” e “Think”. Non c’è più alcun timore reverenziale nella loro arte ed il simbolismo diviene parte integrante di tutto ciò. 13 anni di storia in cui il leader Ohad Benchetrit ha perfezionato al sua visione operando nello studio casalingo Th’ Schvitz, con base a Toronto. Assieme ai fidi Charles Spearin e Justin Small, i Do Make Say Think hanno affinato le loro tecniche, arrivando a definire un’originale identità, che si palesa nei contorni di un suono sempre più identificabile.

Other Truths, prestando sempre fede all’estetica della Constellation Records, sarà disponibile in cd in una confezione cartonata apribile, e nella stilosa versione vinile deluxe 180 grammi (con un poster limitato ed una copia digitale dello stesso disco).


Paris Is Burning! - Nuovo doppio album con i migliori remix di Alex Gopher

L’album My New Remixes è una collezione di alcuni tra i più recenti remixes del produttore francese Alex Gopher ed esce per la sua personale etichetta Go 4 Music, nel formato doppio cd o anche nella versione digitale con 18 tracce per il download

Per 15 anni Alex è stato tra i più rinomati produttori in ambito dance-elettronico a livello continentale. I suoi tre album You, My Baby and I, Wuz e l’omonimo Alex Gopher hanno contribuito a rendere ancora più sofisticato e celebre a livello internazionale il cosiddetto french touch, sublimato dagli amici Daft Punk, Cassius o Etienne de Crécy.

Il suo incredibile senso del ritmo ed i suoi puntuali arrangiamenti lo hanno ben presto reso una stella del dancefloor, biglietto da visita più che sufficiente per guadagnarsi le commissioni di un disparato numero di artisti, delle più diverse estrazioni. A partire dal 1996 ha infatti collaborato con Jamiroquai, Vanessa Paradis, Mr Oizo, Erik Truffaz, Roy Davis Jr, Sly & Robbie, Zazie, Bob Sinclair e l’ex-bassista dei Parliament/Funkadelic Bootsy Collins, solo per citarne alcuni. My New Remixes è così un excursus sulla recente attività del nostro, che ha regalato i suoi tocchi sublimi in fase di post-produzione ad AutoKratz, Shinichi Osawa, WhoMadeWho, Sharam Jey & LouLou Players ft. Princess Superstar, Benny Benassi, Ladyhawke, Dre Skull, Kid Sister, Dada Life, etc.

L’album contine anche l’inedito Ash Sync, composto a più mani dallo stesso Alex in combutta con Air ed Etienne de Crécy.

C’è dunque il suo indelebile marchio su un pezzo di quella che è la più fresca produzione in ambito electro, indie-rock ed hip-hop. Immancabile non solo per i dance maniacs.

Scaricate un minimix curato dallo stesso Alex Gopher da questo link

TRACKLISTING:
CD1
1) Ladyhawke – Paris Is Burning (Alex Gopher Remix)
2) Shinichi Osawa - Push (Alex Gopher Remix)
3) Alex Gopher - Brain Leech (Alex Gopher Bugged Mind Remix)
4) Kid Sister - Get Fresh (Alex Gopher Remix)
5) AutoKratz - Stay The Same (Alex Gopher Remix)
6) Dada Life - Your Favorite Flu (Alex Gopher Remix)
7) WhoMadeWho - Out The Door (Superdiscount Remix)
8) Sharam Jey & LouLou Players ft. Princess Superstar - Monday Morning (Alex Gopher Remix)
9) Disco Trash Music - Neon Disco (Alex Gopher Remix)
10) Benny Benassi vs David Bowie -DJ (Alex Gopher Remix) [bonus track for the CD edition only]

CD2
1) Air, Alex Gopher & Etienne de Crécy - Ash Sync (Alex Gopher & Etienne de Crécy Version)
2) Fischerspooner - The Best Revenge (Alex Gopher Retaliation Remix)
3) Dada Life - Happy Hands & Happy Feet (Alex Gopher Remix)
4) The Subs - My Punk Is Funk (Alex Gopher Remix)
5) Tocadisco - Better Begin (Alex Gopher Remix)
6) Shameboy - Rechoque (Alex Gopher Remix)
7) Dre Skull - I Want You (Alex Gopher Remix)
8) Kraftwerk - Aerodynamik (Alex Gopher & Etienne de Crécy Dynamik Mix)
9) In The Club - She's A Man (Alex Gopher Remix)
10) IAM - Ça vient de la rue (Alex Gopher Remix) [bonus track for the CD edition only]

Gemma Ray


Certe imprese sono costellate da una serie di incidenti che mettono a dura prova la tenacia dei loro autori. Gemma Ray, ad esempio, ad aprile 2009, dopo essere stata impegnata per quasi un mese nelle registrazioni e missaggio del nuovo album "Lights Out Zoltar!", lascia lo studio, carica la sua macchina e si dirige verso casa. Giusto il tempo di arrivare ed un tragica scoperta getta un’ombra su tutto il suo lavoro: non c’è infatti traccia dell’hard drive che conteneva tutti i frutti della sua fatica. Perso, chissà in quale dove. Con grande gaudio della proprio etichetta - la Bronzerat – Gemma si vede costretta ad estrarre quel che rimaneva delle registrazioni dell’album da un disco di back up, per poi tornare nuovamente in studio. E la sfortuna si è abbattuta nuovamente sulla cantante inglese in tempi ancor più recenti. Dopo un’intera giornata di riprese per il video del singolo "100 mph (in 2nd Gear)", Gemma entra in macchina ed accidentalmente rovescia la scatola contenente la pellicola del girato danneggiandola sensibilmente. Una vera pasticciona. Di questo nuovo album però possiamo dirvi che è un perfetto ibrido di soul music e pop, che va ad inserirsi nel solco delle nuove chanteuse d’oltremanica come Amy Wynehouse, Duffy e Adele. Pensate che tra i suoi fan ci sono personaggi come Jimmy Page, Nick Cave e Beth Orthon. Un biglietto da visita affatto male, che la dice lunga sulla propensione black di un’artista che ha preso il folk per le orecchie e lo ha portato direttamente sulle piste da ballo.

Hello=Fire, il progetto solista di Dean Fertita dei QOTSA



Ci sono uomini che lavorano nell’ombra eppure, con lo stesso piglio di affermate rockstar, fanno in modo di infuocare sistematicamente le audience più esigenti. Dean Fertita, recentemente visto in azione con i Dead Weather (il gruppo in cui suona la batteria Jack White Stripes, altro presenzialista di nulla…) è uno di quegli artisti che stanno riportando in auge l’estetica rock dei sixties/seventies, muovendosi senza grande clamore, ma dando vita a suoni davvero speciali. Hello=Fire è la sua più recente creazione, un progetto solista esteso, dove lui – deus ex-machina – è assistito da preziosi addetti ai lavori solo nella fase realizzativa. Dean viene fuori dalla scena underground di Detroit Rock City (come cantavano i Kiss…) e ne è figura cardine sin dai primi anni ’90. In principio c’erano gli enormemente sottovalutati Waxwings (con un suono che sembrava attingere da Beach Boys, Simon Garfunkel e The Zombies) poi la collaborazione con un amico di vecchia data come Brendan Benson. E come se non bastasse Dean è stato anche touring-member (perdonate l’inglesismo) dei Raconteurs. Una flessibilità che gli ha permesso di occupare lo stesso ruolo coi Queens Of The Stone Age, tanto da convincere Josh Homme a farlo entrate stabilmente nel gruppo. Con Hello=Fire, Dean è però libero di ricostruire il suo universo sonoro di riferimento, seguendo unicamente la propria vena. Passando così da radicali episodi rock lisergici a solari intuizioni melodiche di marca sixties. Versatilità al servizio di una scrittura invidiabile. Uno puntiglioso Dean, che ha registrato il disco in qualcosa come 6 diversi studi, da Londra a Los Angeles, spesso nelle pause dei lunghi tour in cui si era imbarcato coi Raconteurs prima ed i Queens of the Stone Age poi. E proprio di questi ultimi ritroviamo in scena Troy Van Leeuwan, Joey Castillo e Michael Shuman, mentre Brendan Benson (Raconteurs) e Michael Horrigan (Afghan Whigs) sono gli altri ospiti di spessore. Il primo singolo estratto promette già faville: "Nature Of Our Minds" è accompagnato da un video ad hoc girato da Dylan Byrne e Ben Strebel, che nel frattempo hanno lavorato con Phoenix, Stereo MCs, Fightstar e The Levellers.