20/07/09

El Grupo Nuevo De Omar Rodriguez Lopez




No, non potete arrestare un creativo secondo metodi tradizionali. A volte nemmeno occultare la sua strumentazione potrebbe sortire i risultati sperati. Omar Rodriguez Lopez è quel tipo di musicista. Ogni suo spunto finisce irrimediabilmente su disco, sempre con risultati soddisfacenti. "Cryptomnesia" è la prima pubblicazione con la nuova – programmatica – sigla: El Grupo Nuevo De Omar Rodriguez Lopez, come a ribadire il suo assoluto controllo sulle operazioni. Stavolta cambiano i cospiratori. Alla batteria troviamo il tentacolare Zach Hill degli Hella, al synth bass Jonathan Hischke (sempre Hella) e Juan Alderete de la Peña dei Mars Volta al basso elettrico. E ad intensificare il rapporto con il gruppo-madre, fa la sua bella comparsa Cedric Bixler Zavala, il carismatico frontman degli stessi Mars Volta. Il disco è stato completato nel 2006, appena dopo aver forgiato quel gioiello di nuovo rock progressivo a titolo "Amputechture", sotto l’ormai stagionata egida di Mars Volta. "Cryptomnesia" è così un disco acceso, scoppiettante, grazie all’innesto ritmico di Hill, che comporta una scrittura più tirata ma allo stesso tempo matematica. La cosa certa è che anche questo album imporrà nuovi standard nella discografia del chitarrista, figura di peso e incontrasta nella geografia del rock più fisico e allo stesso tempo barocco. L’incarnazione più malefica e modernista di Carlos Santana? Di certo Omar Rodriguez Lopez continuerà a conservare una posizione di assoluto privilegio nel rock moderno, senza possibilità d’errore.

18/07/09

Tim Buckley "Live at the Folklore Center"



Tim Buckley dal vivo al Folklore Center di New York City non è semplicemente il ricordo postumo di uno dei più grandi cantautori americani, è anche l’occasione per saggiarne la grana di incredibile performer dal vivo oltre che il viatico a ben sei brani inediti, mai apparsi nella discografia da studio del nostro. Il concerto risale al 6 marzo del 1967 ed è stato catturato da un vero e proprio magnate del folk americano, Izzy Young, che accoglie il talentuoso vocalist nel suo nido situato presso la 321 Sixth Avenue, proprio all’apice della sua carriera e del contestuale boom del movimento folk. Il concerto si svolse in una situazione più che intima, di fronte ad uno sparuto pubblico di 35 anime e rispetta la scaletta originale con 16 brani, con le relative sei tracce udite in esclusiva per l’occasione. Un documento eccezionale, non fosse altro per l’ulteriore presenza di un’intervista inedita condotta dallo stesso Izzy young in due riprese: il 17 ed il 18 marzo, a breve distanza dalla memorabile data. L’indipendente newyorkese Tompkins Square realizza così un colpaccio – nonché un desiderio chissà da quanto tempo cullato - recuperando i master originali del disco e presentandoli in una forma impeccabile. Tim Buckley (1947-75) è ancora oggi da considerarsi la punta di un diamante di un sentire musicale che ha conosciuto il suo massimo splendore proprio a cavallo tra i ’60 ed i ’70, quando al frenesia del peace & love lasciava il passo ai canti di protesta ed alla parate di strada, proprio all’indomani della guerra in Vietnam. Assieme a Nick Drake e Leonard Cohen, Buckley chiude un ipotetico ed impareggiabile trittico, elevando la poesia a nuovo epicentro musicale, traducendo parole e musica in un contesto che è pura magia, inaugurando una scia emozionale ancora oggi palpabile. Il set acustico impeccabilmente consegnato alle stampe con "Live At The Folklore Center" non è altro che una sofisticata pagina di arte a tutto tondo, recuperata all’oblio e consegnata a tutti gli inguaribili sognatori del nostro tempo. Gli angelici vocalizzi di Buckley unitamente alle sue doti – mai abbastanza decantate – di chitarrista apriranno per noi tutti insolite porte della percezione. Il mito continua.

17/07/09

Gong - Il ritorno dei super-freaks

Il 2032 è l’anno in cui il pianeta Gong sarà completamente allineato al pianeta Terra, una scusante per ampliare il libro dei miti di Daevid Allen e dei suoi Gong.

Più che un ritorno un’ennesima dipartita, perchè la sigla è stata sempre sinonimo di invereconde stranezze, bizarrie etico-musicali, nello sconvolgente moto perpetuo dei cambi di formazione. In prospettiva il 2032 sarà l’anno del contatto come in una delle più fantasiose trame fantascientifiche hollywoodiane. Solo allora, anche agli occhi degli astronomi, questo insolito pianeta abitato da gnomi verdi, piante funghifere e animali psicotropi sarà pienamente visibile. Potrete anche visitarlo, a meno che non l’abbiate raggiunto in sogno qualche secolo fa.
Per stare al passo col tempo ed introdurre anche la propria idea di multimedialità, i nuovi Gong potranno puntare su di un animè giapponese, tagliato all’occorrenza per la traccia “How To Stay Alive”, uno dei pezzi da novanta del nuovo disco. La formazione comprende per l’occasione vecchi e nuovi volti della storia del rock ‘patafisico’: Daevid Allen (chitarra, voce), Steve Hillage (chitarra), Gilli Smyth (Space Whisper e poesia), Miquette Giraudy (synth), Mike Howlett (basso), Chris Taylor (batteria) e Theo Travis (sax e flauto).

Ulteriori ospiti sono le vecchie conoscenze Didier Malherbe (sax soprano, duduk e flauto) e Yuji Katsui ( violino elettrico) direttamente dalla band giapponese Rovo (formazione nata da una costola dei Boredoms).

Buona parte del materiale è stata concepita in Australia, dopo l’illuminante esperienza live vissuta dai membri originali del gruppo. Assieme all’altra ‘mente’ Steve Hillage, Allen ha fatto in modo di ricreare un ambientazione inedita per i suoi Gong, senza per nulla tralasciare gli elementi psichedelici e progressivi che da sempre hanno reso la loro musica una forma d’arte superiore. Un ritorno non solo di mestiere dunque, ma un omaggio alle migliori pagine del gruppo britannico, con la saga Radio Gnome ed il capolavoro Camembert Electrique a guardasigilli.

2032 esce in Europa il 21 Settembre

16/07/09

Doppia novità per i Black Crowes



Con "Warpaint" i Black Crowes fecero il loro rientro trionfale nella hall of fame del rock’n’roll americano, scrollandosi di dosso una pesante eredità e partendo praticamente da zero, affidandosi per la prima volta ad un circuito indipendente, con un nuovo marchio individuale Silver Arrow. A quel disco del 2008 fa ora seguito una nuova affascinante puntata "Before the Frost..." , destinata a rendere incandescente una già torrida estate. Sgombriamo subito il campo dagli equivoci, non si tratta di un disco live. Bensì di un disco registrato dal vivo in studio, di fronte ad uno sparuto numero di fortunati, che in maniera discreta applaudono alla fine di alcuni brani. Se volete un rarità nell’economia del glaciale mercato discografico odierno, dove la tecnologia e le macchine hanno preso il sopravvento sull’esperienza umana, eccovi serviti! Altra particolarità va ricercata nel secondo album – di parto gemellare trattasi – che è invece disponibile in download gratuito con l’acquisto di "Before The Frost…". Si tratta di "…Until The Freeze", che sarà appunto scaricabile attraverso un codice esclusivo contenuto nel disco di cui sopra. Una sorta di ringraziamento ufficiale ai numerosi fans che per due decenni hanno costantemente supportato la band dei fratelli Robinson. Entrambi i dischi sono stati registrati durante una serie di cinque sessioni live notturne presso i Levon Helm Studios di Woodstock, NY, sotto l’attenta regia del produttore Paul Stacey. Il materiale di Before the Frost... è ovviamente inedito e sposa la variegata anima del gruppo, ovvero quell’essenza sonora che unisce benevolmente il calore della soul music in un contesto hard-boogie e con quel flow tipicamente southern-rock. In questo nuovo clima spiccano "Good Morning Captain", "I Ain’t Hiding", "Been a Long Time (Waiting on Love)" e lo scabroso funk di "A Train Still Makes a Lonely Sound", quasi una risposta a "Hot Stuff" dei Rolling Stones. Lo spirito del gruppo è cangiante, all’elettricità ed al groove spesso si accosta una dimensione più acustica ed emozionale "…Until The Freeze" è invece una collezione di nove brani, otto originali ed una bella rivisitazione di "So Many Times" di Stephen Stills. A breve sarà il ventennale della pubblicazione del loro fondamentale "Shake Your Money Maker", un disco ancora influente, una ricorrenza che però non ci allontana dall’evidenza dei fatti: i Black Crowes sono ancora una delle migliori rock’n’roll band in circolazione

14/07/09

Richmond Fontaine



"We Used To Think The Freeway Sounded Like A River" è l’ottavo disco da studio per il collettivo Richmond Fontaine, ancora una volta sotto l’egida della fidata Décor Records (American Music Club, Franz Nicolay). Il gruppo definito dalla prestigiosa testata Uncut come una delle realtà più rappresentative nel genere Americana, torna ad impressionare sulla lunga distanza, con quella che ad oggi potrebbe essere la sua collezione di brani più avvincente ed orecchiabile. Per il leader Willy Vautlin, celebrato scrittore contemporaneo - autore di un romanzi culto come Motel Life - è forse il balzo decisivo verso la notorietà. Per lui sono stati spesi fiumi di inchiostro, l’uomo che per molti è la nuova speranza del più ombroso cantautorato a stelle e strisce, è infatti di consueto avvicinato ad un Dylan alieno oppure ad un the Boss dal taglio più bucolico e mesto. E’ indubbio come la musica della sua band muova da questi riferimenti per poi abbracciare nuove vie, rimettendo in discussione 30 anni buoni di rock americano, citando quasi in tappe metodiche i Jayhawks, il periodo più tardo dei Replacements e gli strabilianti arrangiamenti della E Street Band. La gestazione di "We Used To Think…" inizia al termine di un lungo tour conclusosi nel 2007 in supporto all’album Thirteen Cities. Un tragico evento si abbatte a questo punto su Vlautin, la perdita della madre, giusto due giorni prima di chiudere l’impegnativa serie di concerti. La scrittura del nuovo album, il suo contenuto lirico, non può certo piegarsi ad una volontà esterna. I testi riflettono infatti sull’essenza stessa della famiglia e dei legami di sangue, spingendo la musica di Richmond Fontaine verso ulteriori derive intimiste. Ma le disgrazie spesso non arrivano mai sole, e dopo la perdita di un caro familiare Vlautin cadendo da cavallo si infortuna seriamente ad un braccio, dovendo così relegare la sua attività di scrittore, ormai capace di correre in parallelo con quella di musicista. Rimessosi in sesto dopo due mesi di accurata terapia, lavora ad un racconto inedito, Lean On Pete, la cui uscita è prevista per il febbraio 2010 per l’editore Faber & Faber. "We Used To Think…" assembla così umori del recente passato, risultando forse nella migliore performance della formazione, che in studio è stata per l’occasione coadiuvata dalla coppia di produttori Larry Crane e JD Foster (già dietro al banco di regia per Dwight Yokam e Calexico). Lo studio che li ha accolti è invece il Crane’s Jackpot (da qui sono passati The Go-Betweens, Elliott Smith, The Decemberists e The Shins) in quel di Portland. Sono 14 brani che parlano forse di orizzonti spariti, di quella vita On The Road così logicamente ispirata dall’omonimo racconto di Jack Kerouac. Assieme a Willy (chitarra, voce) gli uomini di sempre: Sean Oldham (batteria, voce), Dave Harding (basso) e Dan Eccles (chitarra). Tra gli ospiti si segnalano invece Collin Oldham (cello, cellomobo), Paul Brainard (pedal steel, tromba) e Ralph Huntley (piano). Il gruppo sarà in autunno in Europa con apparizioni nelle più importanti città del vecchio continente, comprese un paio di date in Italia, ancora da annunciare ma probabili per fine Ottobre. Per ora un grande disco, con impressa la migliore dedica al genere Americana.

10/07/09

Introducing Triorganico

Nessun mistero che in casa di Egon girasse della musica brasiliana di nicchia. Del resto le avvisaglie di un'apertura al genere si erano rivelate nel fantastico nuovo album dei Savath & Savalas di Scott Herren, La Llama. Anche un altro habituè dei saloni Stones Throw conme Madlib aveva stretto alleanza con Jackson Conti dei mai troppo decantati jazz-fusionist sudamericani Azymuth, ulteriore suggerimento per chi ha sempre osservato l'evoluzione dell'etichetta californiana ben oltre gli steccati del moderno hip-hop.

Il debutto di Triorganico per la label consorella Now Again è così una diffusione di sapori bossa tardi '50, con le opportune spennellate di jazz caliente. Un qualcosa che mai avreste immaginato provenire dai club sottoerranei di Los Angeles.

Pablo Calogero (sassofono e fiati), Ricardo “Tiki” Pasillas (percussioni) e Fabiano do Nascimento (chitarra) si formano artisticamente nel garage dello stesso Calogero. In primis era solo l'occasione di ascoltare e commentare musica, condividere idee, successivamente si è passati alla scrittura, alla realizzazione di un progetto comune.

Presto il terzetto si trasferisce in un club losangeleno, con residenza settimanale, circostanza che permette loro di provare pezzi inediti ed omaggiare i più grandi compositori brasiliani, in una scaletta fatta prevalentemente di cover. Il gruppo incide il suo primo album seguendo quella che in gergo hip-hop si chiama “guerrilla tactics”. Il risultato è ora alla vostra portata, un album che va a scandagliare le profonde insenature della bossanova, con ricorrenti motivi jazz sixties ed un'idea di multi-culturalità che logicamente regna sovrana.

Se Baden Powell ed il grande maestro Hermeto Pascoal hanno spesso occupato la sfera dei vostri sogni, con Triorganico arriverete a toccare con mano questa sfavillante materia.

Brusco - polemiche, sensi e videoclip



L’impasse societaria dell’AS Roma sembra non arrestarsi e allora ci pensa Brusco a solleticare nuovamente l’ambiente con un brano molto esplicito rivolto alla presidentessa Sensi. Una volta il toaster romano decantava le lodi della formazione giallorossa, con la mitologica As Roma , inno per lo scudetto del 2001. Oggi Con La Sensi Che Mi Piace, Brusco scuote espressamente la proprietà, nella figura della stessa Rosella, reclamando chiarezza sui piani futuri della società.

In men che non si dica il singolo è divenuto un caso a livello cittadino, con tutte le radio dedite alla ‘causa’ pronte ad aprire un fronte – spesso polemico – sulla questione. Con la pubblicazione del nuovo album 4 e ½ Brusco rilancia, e continua a comunicare attraverso la musica utilizzando in prima battuta il social network, in maniera estesa. 4 e ½ come anticipato da un trailer on line disponibile su you tube, diverrà a breve una sorta di serie tv. Come l'hanno ribatezzata gli autori, sarà la prima FICTION-CLIP italiana, composta da 4 video-clip musicali concepiti come un'unica storia suddivisa in quattro episodi, con tanto di riepilogo delle puntate precedenti e sigla iniziale. Un’operazione concepita sulla lunga distanza quindi, col supporto-immagine a sostenere i riddims presenti nel cd appena pubblicato "Quattroemezzo"..

Se il singolo inedito sull situazione societaria della as Roma è disponibile in download gratuito, per le nuove avventure di Brusco dovrete scandagliare attentamente la rete, seguendo tutti gli aggiornamenti del caso. Ancora un ulteriore strumento per spingere una delle più creative realtà del reggae nostrano, attualmente in tour nelle maggiori città (e festival di genere) dello stivale. Le discussioni attorno all’As Roma impazzano, Brusco dice la sua su un bel ritmo in levare, che una genuina provocazione sia l’ideale accompagnamento all’afoso solleone?


08/07/09

Wheedle’s Groove

Spesso anche le ristampe possono andare a ruba, anche quando un’etichetta decide di puntare prepotentemente sul recupero di antichi tesori sommersi. La Light In The Attic di Seattle, che già a partire dal nome illustra il suo modus operandi, torna così su uno dei pezzi di maggior successo del suo catalogo. Pubblicato appena un lustro fa Wheedle’s Groove fu un biglietto da visita straripante per questa realtà discografica del Northwest, che nell’intento di omaggiare i propri eroi locali, conduceva un’indagine dettagliata sugli artisti di ispirazione soul e funk che fecero il bello ed il cattivo tempo nei dediti raduni cittadini, a cavallo tra il 1965 ed il 75. Molto prima che il black rock di Hendrix fosse benedetto lingua nazionale.

L’idea dietro a Wheedle’s Groove è delle più nobili, ridare voce a piccoli classici del genere, senza lesinare informazioni di alcun tipo. Sono infatti passati ai raggi X i singoli brani che vanno a costituire questa variopinta raccolta: tra stuntman del puro vocalismo soul – l’urlo in differita del Godfather James Brown lo potrete ascoltare con regolare frequenza – orchestrine jazz-funk che pestano senza troppe remore sull’hammond e complessi che arrivano a sporcare la propria idea di black music con sostanziali tocchi di rock e psichedelia. Alla fine della panoramica contiamo ben 18 brani, per la gioia ed il sussulto di chi detesta le aste tirate per le lunghe e vuole in men che non si dica il suo piatto caldo. Dall’Overton Berry Trio che con vezzo quasi malinconico re-interpretano l’immarcescibile Hey Jude del duo Lennon/McCartney allo shuffle di Cissy Strut dei campioni di New Orleans Meters, qui nell’essenziale ripresa del Johnny Lewis Trio.

Provare a stabilire chi abbia l’arma più affilata non è lo sport nazionale da queste parti, feriscono virtualmente tutti i singoli brani, spesso 45 giri d’antan restaurati senza eccedere in fase di post-produzione. Rare grooves o killer grooves? Questione di lana caprina, sicuramente nemmeno il più cordiale dei medici potrebbe prescrivere medicina più buona…

Analogamente a quanto accaduto con gli eroi di un passato non troppo remoto, Light In The Attic prova ad allestire una all-star band del moderno r&b, dando un’ideale seguito al primo volume di Wheedle’s Groove. Kearney Baron è un celebre ingegnere del suono locale, che spesso ha incrociato la sua strada con artisti black di fama minore. Sotto la sua guida spirituale si consuma un nuovo esaltante progetto, che per affinità può ricordare le operazioni condotte in porto recentemente da Daprtone (leggere alla voce Sharon Jones e Naomi Shelton). Gregari di grande classe si alternano in nove tracce, per lo più rivisitazioni di brani epocali. Dalla Sea Of Grass del combo strumentale Ventures a Everything Good Is Bad, tagliata dal mitico team di produttori Holland/Dozer/Holland per il gruppo vocale di Detroit 100 Proof. Ma non mancano le sorprese con una rilettura da pelle d’oca di Jesus Christ Pose dei Soundgarden ed un’altrettanto propiziatoria Fool’s Gold degli Stone Roses. A dimostrazione del fatto che il groove alberga anche nelle musiche del rock alternativo degli ultimi 20 anni.

Ma l’invasione propedeutica di Light In The Attic non si arresta certo qui, dato che Wheedle’s Groove diverrà ben presto un documentario., Per la gioia di tutti. Crate diggers accaniti e cultori meno maniacali del più sublime ordine del black sound.

07/07/09

Waines "Stu"

PHOTOCREDIT MICHELA FORTE


WAINES è un termine mutuato dallo slang delle nottate palermitane, quando i valori e i riferimenti del mondo diurno saltano e anche le cose più banali ed insospettabili, come una pizza o i ciottoli bagnati di un vicolo del centro storico assurgono a protagonisti, a motori delle azioni umane. Lo stato di alterazione è evidentemente una costante nella musica di questo trio palermitano. Il loro è un rhythm & blues amplificato, od anche un rock’n’roll dalle strane sembianze psycho, con una punta di glam ante-litteram che infittisce ulteriormente il mistero sulla loro personalità artistica. E’ musica dei primordi, suonata senza inganno, sentita, soprattutto sudata. La caratteristica dei WAINES è quella di utilizzare due chitarre – tra cui una slide – assieme ad una batteria, tirata ad una velocità da capogiro, proprio per rendere più frontale e dinamica la proposta della band. Tra maggio e giugno del 2007 i WAINES sotto la preziosa supervisione di Daniele Grasso (consulenze artistiche per Afterhours, Cesare Basile, Le Loup Garoup, Hugo Race e John Parish) registrano al The Cave Studio di Catania il loro primo EP demo, dal titolo “A Controversial Earl Playing”, poco meno di 21 minuti da cui sprigionano blues, rock, rumore bianco, energia allo stato puro. I brani dell'Ep diventano anche la colonna sonora del cortometraggio "I Protagonisti" di Sigfrido Giammona, vincitore della VIII edizione del Festival Internazionale del Cinema di Frontiera. Ad agosto i WAINES partecipano all'Ypsigrock Indipendent Festival, aprendo il concerto degli Architecture In Helsinki, e a novembre 2007 suonano al MEI di Faenza, rappresentando la scena emergente palermitana nell’ambito del contest “RocketPa Sound Connection”, manifestazione in cui tra l’altro trionferanno. Nell’estate del 2008 l’attività live della band è arricchita dall’ apparizione al prestigioso Pollino Music Festival (in apertura ai Gogol Bordello), seguita da comparsate al Summertime Blues Festival di Alcamo (in apertura a Joe Louis Walker) ed al Suburban Live Set a Catania (con le Mab). STU, la nuova fatica da studio, è anche il risultato di un’estenuante parabola compositiva, sorretta appunto dal continuo girovagare, che come nel codice genetico di ogni più ferrea religione rock, concorre a formare lo spirito, a temprare il corpo. Una collisione di blues del delta, un pizzico dell’eccentricità del primo Marc Bolan, una mai sopita attitudine garage, fanno di questo disco un’esperienza fulminante. Stu è il disco che tutti i puristi aspettavano, per scatenarsi in danze propiziatorie. L’imminente tour italiano – nelle maggiori città e province tra cui anche l’importante presenza ad Italia Wave – farà ulteriore luce su questo fenomeno isolano che però guarda anche al resto d’Europa. Il disco esce infatti in Germania il 7 Agosto distribuito da ZYX mentre dal 15 al 30 Ottobre è previsto un tour europeo con gli Ampersand.

06/07/09

Bassekou Kouyate & Ngoni ba - I speak fula

Dopo essersi aggiudicato ben due BBC 3 awards con il debutto Segu Blue - nella categoria world music, rispettivamente come miglior album del 2008 e migliore artista africano – torna Bassekou Kouyate, vero e proprio virtuoso del ngoni ed uno degli artisti più in vista della scena del Mali.

I Speak Fula cattura l’incredibile energia delle sue esibizioni dal vivo e rappresenta il logico sviluppo di un artista segnalato tra le voci più innovative dell’ Africa contemporanea.
Partito dal piccolo villaggio di Garana, sulle rive del fiume Niger, Bassekou ha presto conquistato il mondo, girando incessantemente e regalando alle platee più diverse la sua musica ed i suoi umori. Introdotto giovanissimo ai piaceri della musica locale, nella metà degli anni ’80 Bassekou ebbe addirittura il piacere di esibirsi episodicamente con la leggendaria Rail Band, andando ad alimentare il mito di una giovane promessa.
Si è sempre circondato di personaggi di primissimo piano il nostro, sperimentando la formazione in trio con Toumani Diabate e Keletigui Diabate, fino ad arrivare ai giorni nostri con una formazione di strumentisti eccezionali che costituisce l’organico della Ngoni band, ispirandosi per certi versi alle movenze ed ai rituali (strumentali) dei gruppi rock.
Bassekou Kouyate è così divenuto l’ambasciatore del ngoni. Dalle strade di Bamako ai palchi londinesi. Le sue collaborazioni con artisti di calibro internazionale come Youssou N’Dour, Ali Farka Toure, Dee Dee Bridgewater, Oumou Sangare e Mongrel la dicono lunga sul suo conto.
Il nuovo album I Speak Fula esprime globalmente I concetti di apertura e tolleranza. La musica dei griots ha sempre costruito dei ponti tra i popoli e prendendo le mosse dai grandi cantori della tradizione, Bassekou rilancia il suo messaggio di speranza attraverso un altro disco fondamentale. Spostando ancora più avanti le lancette della world music.
Il disco è prodotto da Lucy Duran e Jetrry Boys e tra i suoi collaboratori annovera Toumani Diabate, Vieux Farka Toure, Kasse Mady Diabate, Harouna Samake e numerosi altri.

"…the best rock’n’roll band in the world“ The Independent

"The most delicious stew that warms the heart and shakes the hips. Trust me, it tastes good!" Fatboy Slim

"… a fantastic example of how music can lift your mind and soul" Damon Albarn

I Speak Fula esce il 21 Settembre su Out-Here Records

03/07/09

Blind Blake And The Royal Victoria Hotel Calypsos - Bahamian Songs

Un’operazione che in termini di contenuti rispecchia quanto fatto dalla stessa Megaphone per l ‘incredibile vocalist Karen Dalton. Eroe di mondi sommersi Blind Blake conoscerà il suo momento di gloria anche grazie alle dedicate cover di Beach Boys e Johnny Cash, quale migliore opportunità con Bahamian Songs di riscoprire dunque questo maestro dell’ukulele? Nato Alphonso Blake Higgs a Matthew Town, Inagaua, Bahamas nel 1915, Blind Blake – questo il nome d’arte con cui si farà presto strada – sarà l’attrazione principale del Royal Victoria Hotel di Nassau, Bahamas. Qui si esibirà per un lungo trentennio, fronteggiando la band di casa. Impeccabili i musicisti dei quali si circondò, abili nell’arte della contaminazione tra jazz e ritmi dell’India occidentale. Tra musica folk degli albori, calypso e jazz della prima parte del secolo, Blind Blake diviene presto un’istituzione locale, conquistando poi - tramite un forsennato passaparola – anche gli stati dell’America rurale.
Sloop John B che fa la sua bella comparsa in Pet Sounds dei Beach Boys altro non è se non una ripresa della sua tragicomica ballata John B. Sail. Uno dei suoi brani più popolari è sicuramente Love, Love Alone, pezzo basato sulla liason tra King Edward VIII e Wallis Simpson.
Il materiale raccolto per l’occasione fa capo ad una serie di registrazioni realizzate agli albori degli anni ’50. Nella Royal Victoria Hotel Calypsos – sua backing band – si segnalavano i talenti di Dudley Butter (chitarra, maracas), Chatfiled Ward (chitarra), Freddie Lewis (chitarra solista), George Wilson (bass fiddle) e Lou Adamas alla tromba.
Sono 28 brani che vi riporteranno in una dimensione incontaminata, alle origini della più lussuosa roots music.

It is this all but forgotten outlook, and the lost world it conjures up, that makes Blind Blake such a timely rediscovery. MOJO

Schiele



Un corto circuito, trovarsi catapultati come per incanto nelle città regine del noise rock e del post punk americano degli anni ’90. Una macchina del tempo messa in moto da tre veri appassionati - Luca, Livio e Damiano – folgorati in tenera età dagli sviluppi del sound più chitarristico e decisi ad immolarsi alla causa, sposando anche la cultura ed i frutti del pensiero do it yourself. Pur mantenendo nella loro musica gli spigoli e gli arrangiamenti tipici del meno edulcorato rock dei nineties – se cercate delle coordinate di riferimento, il lavoro di etichette come Touch & Go, Dischord e Thrill Jockey potrebbe essere un’indicazione di massima – Schiele non perdono mai di vista il gusto per certe melodie, a volte epidermiche altre subdole, ma non meno convincenti. Basso, chitarra e batteria, oltre ad una voce duttile che sa farsi strumento addizionale per necessità. Dal 2001 il gruppo inizia a macinare una serie di concerti fino a fermare il momento su disco, nel 2005 con “This Heart Does Not Hurt”, autoprodotto ed autofinanziato, con la produzione artistica di David Lenci. Ancora musica sotto i denti, nuovi brani e nuove esperienze fino ad arrivare al successore “Pictures Of Mountains”, registrato sul finire del 2008 con l’ausilio di Giulio Favero (One Dimensional Man, Il Teatro Degli Orrori), uno dei sound engineer più attivi ed affidabili sul territorio. Rigorosamente in presa diretta, e senza alcuna sovraincisione (fatta eccezione per la chitarra di Giulio in “My Death” e del violoncello di Leonardo Gatto dei We Were On Off su “This Heart Does Not Hurt”), per poter cogliere la spontaneità e l'intensità live del gruppo stesso, il disco è così specchio fedele dell’attitudine Schiele. Nelle 10 tracce che costituiscono l’ossatura del disco è l’immediatezza a sbalordire, unitamente all’urgenza emotiva, confermata dai saliscendi umorali e strutturali che avvicinano i brani degli Schiele ad una turbolenta onda d’urto. Il titolo è un omaggio alla montagna - presenza costante nella vita del gruppo - alla sua austerità, alla sua bellezza. Ogni canzone del disco è così una cartolina spedita da un’ipotetica vetta, a volte illuminata dal sole, bella e rilassante, altre volte drammatica e tormentata, coperta da nuvole, addirittura disperata. Ogni brano una storia: il vuoto lasciato da una violenta e viva energia che si è spenta (In The Room There Was Violence), un amore finito e sofferto (Portraits Of Love), una critica verso l’amicizia fasulla offerta dai social networks (We Don't Want To Be Your Friends), lo smarrimento che a volte comporta l'affrontare la vita (Mountains Get Higher), la paura di soffrire e far soffrire i propri cari in punto di morte (My Death, liberamente tratta dall'omonima poesia di Raymond Carver). Un secondo album che già spicca per qualità e personalità, promuovendo gli Schiele non solo negli angusti steccati del rock Made in Italy, ma offrendo anche allettanti prospettive per il mercato indipendente internazionale. Una poetica intensa, un rock chiaroscurale che può essere assalto all’arma bianca o anche promessa di calore.