29/04/09

Current 93


Un nuovo marchio – Coptic Cat – ed una formazione mai come ora estesa e capace di convogliare gli umori allo stesso tempo bui e solari del cantore apocalittico per eccellenza: David Tibet. "Aleph At Hallucinatory Mountain" è l’atteso ritorno in studio dei Current 93, con un album che in oltre 53 minuti di musica si presenta ad oggi come il loro più ambizioso. Messe da parte le atmosfere più prettamente acustiche, l’Aleph di Tibet si configura come ancestrale rappresentanza psichedelica, con la sua inimitabile voce tesa e recitata a domare le fiamme della sei corde. Il disco elettrico dei Current 93, verrebbe da dire. Tirati dentro due eroi della sei corde come Keith Wood (meglio noto con la sigla Hush Arbor) e James Blackshaw (prossimo al salto di qualità con il disco di debutto per la Young God di Michael Gira) il percorso allucinato di Tibet esce dalle fosche brume del cantautorato mistico, per abbracciare una multipla dimensione rock. Elettricità è la parola d’ordine, almeno per una buona parte del disco. Ma gli ospiti non mancano di certo, ognuno a recitare una parte da protagonista e a rendere ogni singolo episodio di Aleph imperdibile nella sua urgenza. Lo stile vaudeville di Baby Dee, una sorprendente ed irriconoscibile Rickie Lee Jones, l’incantata bellezza di Andria Degens di Pantaleimon, la voce sensuale di Sasha Grey, starlette del nuovo cinema pornografico americano, tutte prove canore sopra le righe, che come nel precedente "Black Ships Ate The Sky" allargano sensibilmente la famiglia Current 93, verso una nuova esoterica dimensione. E ancora, il produttore ed enfant prodige Andrew Wk (anche bassista nella formazione live), il violoncellista John Contreras (Calexico, Marc Almond) e lo straordinario batterista Alex Neilson (Will Oldham, Red Krayola). Parata di stelle ma non ingombranti. Per puntare ad un unico clamoroso risultato: "Aleph At Hallucinatory Mountain", cosmico misticismo e rasoiate progressive (ultimamente Tibet si fa fotografare con una cintola degli Yes), il primo grande disco di questo 2009.

I Current 93 saranno ospiti d'onore al Post Romantic Empire Final Fest con una formazione d'eccezione. La poetica e l'intensità emotiva dei Current 93 sono quando di più rappresentativo P.R.E. si sente di proporre per chiudere, in occasione del suo colorato funerale, un percorso che ha fatto del Dream English Folk il suo tratto distintivo. Il concerto sarà parte del P.R.E. Final Fest che avrà luogo all'Init Club di Roma il 17 e 18 ottobre 2009. Disponibilità di biglietti solo in prevendita. Per info: giulio@postromantic.com

La chiamata di Holly



Holly Throsby arriva da Sydney, Australia. La giovane cantautrice ha da sempre abbracciato ambientazioni bucoliche per la sua musica, privilegiando luoghi ritirati e silenziosi per incidere. Accadde per il primo album "On Night" (2004) ed il successivo "Under the Town" (2006), ancora una volta registrato in un cottage presso le Saddleback Mountain. Per "A Loud Call" cambiano gli intenti: Holly si trasferisce a Nashville per incidere il disco con la supervisione del produttore Mark Nevers (che recentemente ha lavorato con Lambchop, Andrew Bird e Bonnie 'Prince' Billy). I fiati e gli archi sono stati invece sovra incisi da Tony Dupé nella Kangaroo Valley, ancora in Australia. Ad accompagnare Holly gli Hello Tigers (Bree Van Reyk & Jens Birchall), piccola e fidata formazione da sempre dietro all’artista australiana. Le sorprese arrivano semmai dagli ospiti: Bonnie 'Prince' Billy si distingue per il solito piglio melanconico nel duetto "Would You", mentre elementi assortiti di Lambchop e Silver Jews (Matt Swanson al basso, Tony Crow al synth e William Tyler alla chitarra elettrica) hanno il loro bel da fare in alcune tracce selezionate del disco. L’umore è cambiato, la Throsby ha ora un piglio più sicuro, merito anche delle numerose visite e dei concerti in Europa, Inghilterra e soprattutto negli States. Un’esperienza guadagnata sul campo, aprendo i concerti di Joanna Newsom, Smog, Mark Kozelek, M. Ward, Devendra Banhart, Paul Kelly, Eels e Low. Un’artista ritrovata pronta a sfidare il mondo con la grazia che l’ha sempre contraddistinta.

Magnetic Morning



E’ un disco bagnato nella classicità il debutto dei Magnetic Morning per conto di Sweet Nothing. Si chiama A.M. ed è il ponte di dialogo tra due artisti di apparente diversa estrazione, uno di passaporto inglese, l’altro americano. E siamo davvero nella sfera del paradosso, perché il britannico Adam Franklin che un tempo era il frontman della sensazione shoegaze inglese Swervedriver, non ha mai fatto mistero di ammirare il sound compulsivo di americani doc come Stooges e Sonic Youth. Dall’altra parte il batterista degli Interpol Sam Fogarino, residente a New York, ma con Joy Division e Chameleons nel cuore. Quasi uno scambio di ruolo. Fatto sta che dopo Toshack Highway ed un imminente album in solo, Franklin riscopre l’esigenza di costituire un gruppo a tutti gli effetti. Magari mettendo da parte le marcate influenze chitarristiche dei suoi esordi e propendendo verso una forma canzone più liquida, decisamente più pop. Con Beatles e Pink Floyd (altezza Animals e Wish You Were Here diremmo) ad offrire le necessarie garanzie artistiche, i Magnetic Morning curano nei minimi dettagli un disco di docile psichedelia, scegliendo come base operative i Normal Studios di Athens, Georgia. Andy Le Master (REM, Conor Oberst, Maria Taylor) è a bordo nella veste di ingegnere del suono, con lui l’ex bassista degli Sugar David Barbe. Dopo l’Ep omonimo di debutto registrato presso il prestigioso Electric Lady Studios di New York, un disco che nella forma appare più soulful, tanto da includere un’originale rivisitazione di Out In The Streets dell’indimenticabile gruppo vocale Shangri-la’s. Con i due a bordo ci sono Jimmy LaValle degli Album Leaf ed il tastierista live degli Interpol F.A. Blasco. Un disco che potrà addolcire il vostro risveglio.

28/04/09

Naomi Shelton & The Gospel Queens



Vi abituerete mai ai prodigi della newyorkese Daptone? Di certo gli appassionati del soul e della più raffinata black music non possono che abbracciare le scelte artistiche di questa ormai radicata realtà del mercato discografico occidentale, con base operativa a Brooklyn. Naomi Shelton nel particolare è una veterana, non esattamente la vostra cantante gospel ordinaria, anche se i suoi trascorsi parlano evidentemente quella lingua, con l’ovvio apprendistato presso la locale chiesa in Alabama dove assieme alla sorella faceva parte del coro di casa. Ma c’è anche un’intensa attività nei club soul dello stato di New York, con i suoi 45 giri “41st St. Breakdown” e “Wind Your ClockTalking ‘Bout a Good Thing,” considerati autentici classici del genere e suonati allo strenuo dai più importanti dj funk del globo. C’è voluta quasi una vita, ma l’album di debutto della Shelton causerà non pochi struggimenti nell’ambito della pop music occidentale tutta. Soul music ovviamente, con quell’afflato spirituale che lo avvicina ad una carezza ultraterrena. "What Have You Done, My Brother?", è un disco che stacca dal grigiore quotidiano, con temi di amore e compassione, investendoci con il calore e la gentilezza della cantante che sin dalle prime note di “What Is This” fino ad arrivare alla suprema rilettura di “A Change Is Gonna Come” - Sam Cooke per la cronaca – rilascia un unico universale messaggio. Una voce che conosce l’umanità, la verità e con estrema serenità canta un mondo ideale, dove è logico adorare anche il proprio vicino. La Shelton si esibisce con una certa continuità al Fat Cat di New York, con la complicità dell’ex bassista di James Brown Fred Thomas. Poi ci sono le apparizioni alla Brooklyn Academy of Music curate dal religioso menestrello Sufjan Stevens. E ancora le prestigiose comparse all’interno del Lincoln Center’s American Songbook ad ampliare ulteriormente il suo raggio d’azione. "What Have You Done, My Brother?" È così uno straordinario album per una donna che comunica direttamente con la sua anima. Un disco pieno di speranza e gioia, sentimenti necessari ora come mai prima.

Cliff Driver è il direttore musicale del gruppo e guida la band con il suo inimitabile piano honky-tonk. Jimmy Hill, è un celebre organista R&B, con trascorsi addirittura nella band di Wilson Pickett. Poi i chitarristi di casa Tommy “TNT” Brenneck e Bosco Mann, entrambi dal collettivo Sharon Jones & the Dap-Kings. Brenneck - lo ricordiamo – è anche coinvolto in Budos Band e Menahan Street Band, oltre a dirigere il marchio discografico Dunham. La batteria di una altro veterano della scena jazz-blues locale come Brian Floody aggiunge ulteriore sprint al disco, come del resto la presenza di un’altra figura ritmica come Homer Steinweiss - anche lui dei Dap-Kings (ma con trascorsi importanti nella band di Amy Winehouse, Jay-Z, Nas, Mark Ronson). Infine le Gospel Queens: Bobbie Gant, Cynthia Langston, Edna Johnson, Sharon Jones, Judy Bennett, Jamie Kozyra e Tamika Jones, con i loro cori soulful a rendere ancor più frizzante l’atmosfera. In Italia abbiamo già potuto apprezzare il talento della Shelton nella colonna sonora del film "Diverso Da Chi?". Ora un album che recupera un personaggio cruciale della scena black East Coast pronta ad investirvi col tutto il suo carico di umanità.

Astrid Williamson


Quarto album in solo per una delle più eclettiche figure del pop inglese. Da Brighton Astrid Williamson è divenuta presto figura culto e di riferimento per tutto un sentire alternative. "Here Come the Vikings", che esce per One Little Indian ai primi di giugno, è forse la summa della sua arte, un disco ammiccante ma anche intimo, tra mille rivoli e scenari che sfiorano il più abrasivo rock, quanto il pop, la più tipica ballata ed il soul in chiave decisamente moderna. Nei rispettabilissimi Goya Dress si è costruita una credibilità, arrivando ad incidere anche un album – Rooms - sotto la guida attenta di John Cale. Le susseguenti fatiche in solo Boy For You, Astrid Williamson e Day of the Lone Wolf sono dei piccoli prodigi di musica pop a 360 gradi, merito anche del produttore Malcolm Burn, che tra gli altri ha lavorato con Iggy Pop, Bob Dylan, Emmylou Harris, Peter Gabriel e U2. "Here Come The Vikings" è in parte uno dei dischi più elettrici dell’affascinante Astrid, mostrando anche una versatilità ad oggi inedita, tanto che la nostra era stata in passato incanalata nel calderone del folk inglese. Oltre alla sua affezionata backing band Astrid può tenere da conto le partecipazioni di Nick Powell degli Oskar, della violoncellista dei Belle and Sebastian Sarah Willson e di un veterano sessionman come Guy Barker, che non a caso ha lavorato con star totali quali Frank Sinatra e Nile Rogers degli Chic. Molti cambi d’umore all’interno del disco, dal power pop di Shut Your Mouth (Until I Kiss You) alle raffinate valenze di Sing the Body Electric, che celebra addirittura il poeta Walt Whitman Poi una torch song che vanta già una sua classicità come Crashing Minis corredata da un’alchimia strutturale che potrebbe suscitare l’invidia dei primi Radiohead. Nel corso degli anni Astrid ha messo la sua voce al servizio di artisti diversi come Electronic, Arthur Baker, This Mortal Coil/Hope Blister e Stephan Eicher. Attraverso la sua personale etichetta Incarnation (con distribuzione One Little Indian) ha anche pubblicato il disco elettronico Air Conditioning degli Oskar. "Here Come the Vikings" è l’album definitivo per questa cantautrice e poli-strumentista che sembra anche mandare a memoria la lezione del migliore post-punk inglese, grazia ad uno stile chitarristico che sa spesso essere sprezzante. Giugno sarà il suo mese, il 2009 il suo anno.

24/04/09

Blank Dogs - Under And Under



Ci risiamo. New York è il luogo delle operazioni, ma non voltate immediatamente pagina, non vi troverete di fronte ad un nuovo stuolo di artistoidi capelloni che invadono sistematicamente le vie di Williamsburgh a Brooklyn. Un tempo era shitgaze, ma ad oggi – nell’era della comunicazione in rete alla velocità della luce – è divenuto qualcosa d’altro. Gothic rock in salsa garage sessanta? Synth pop oscuro e disturbato da umori industrial-noise? Fate voi, non è uno sticker che fermerà Blank Dogs, fantasmatica figura che oltre ad irradiare nuova linfa nel catalogo In The Red, provvede a spingere in nuove direzioni il più risaputo rock chitarristico.
Con questo oscuro monicker il nostro ha realizzato già un nutrito numero di 45 giri, 12" e cassette (che ormai è il formato più cool in circolazione, lo dice anche Thurston Moore…). Ha lo stesso vizio dei produttori dubstep Mr. Blank Dogs, nascosto spesso dietro ad un telo, nemmeno fosse lontanamente legato all’Islam. Una voce da cavernicolo ovviamene filtrata alla meglio, su un beat wave sconnesso, che sa tanto di Joy Division e Jesus & Mary Chain
Messi in cantiere – per ora – i formati carbonari, Blank Dogs punta su un progetto ambizioso: un doppio album con 20 pezzi (ce ne sono solo 15 su cd, quasi a dar ragione ai difensori dell’analogico a tutti i costi) Under and Under è un disco che morbosamente occhieggia al pop, ospitando altri personaggi in vista della scena di Brooklyn come Crystal Stilts e Vivian Girls.
E’ una delle cose più eccitanti della stagione, il miglior pop rumoroso da almeno 10 anni a questa parte, con una viziosa componente electro, ed una morbosa attitudine simil-dark. La fantasia del fai da te di nuovo al potere.

"For all the musicians crafting grimy, lo-fi electro-rock, the man behind Blank Dogs takes it to another level...." -The Wire

"The music of Blank Dogs is all mid-tempo drum beats, discarded Cure basslines, and vocals that sound as if they were sung through a tape recorder submerged at the bottom of a frozen pond." - Fader

23/04/09

Stebmo


Stebmo è l’acronimo di Steve Moore, un polistrumentista con base in quel di Seattle. La sua fortuna è stata quella di incrociare la strada con Dylan Carlson degli Earth, altra celebrità locale, che una volta dismessi i panni del tetro profeta drone-doom ed avviata la conversione ad un’inedita forma di country psichedelico, ha scelto proprio Steve come prezioso collaboratore da studio e live. Del resto il nostro oltre all’organo hammond porta con sé l’uso magistrale del trombone. Steve è richiestissimo in ogni dove. Olte che negli ultimi dischi degli Earth, potrete ascoltarlo al lavoro coi SunnO))), Laura Veirs, Mount Analog, Sufjan Stevens, Bill Frisell, Eyvind Kang, Karl Blau, Your Heart Breaks, Skerik e chissà quanti altri. Una discografia già di per sè invidiabile. In questo baillame di collaborazioni c’è anche spazio per un progetto a suo nome, Stebmo, che oltre ad essere un qualcosa di realmente affascinante è un’ idea che si fonda proprio sulle precedenti esperienze di Moore, che non ha fatto davvero fatica ad allestire una formazione pazzesca, chiamando proprio a sé musicisti di diversa estrazione. E l’album di conseguenza è un compendio di suoni ed esperienze, esprimendosi in una libertà di linguaggio che tocca sicuramente il jazz d’avanguardia, il rock più visionario e certa musica da camera. Il disco è prodotto da Tucker Martine, all’appello dei collaboratori rispondono Matt Chamberlain, Todd Sickafoose, Eyvind Kang (il violinista che ha spesso lavorato con John Zorn e Mike Patton), Doug Wieselman (personaggio di spicco della downtown jazz newyorkese e recentemente arrangiatore da studio per Antony & The Johnsons) , Eli Moore, Ashley Eriksson, Karl Blau e Johanna Kunin. Un debutto omonimo vibrante, baciato ancora una volta dall’intuito discografico di Geoff Barrow dei Portishead, boss della Invada.

Assembled Head In Sunburst Sound


Jam chitarristiche che ci ricordano i migliori momenti del southern rock, un organo sferzante che è la fotografia del suono hard più classico ma anche di certo duro garage psichedelico di tardi '60. Brani che scorrono seguendo un flusso lisergico, distesi su un tappeto percussivo mai ingombrante, proprio perché è la sei corde lo strumento principe degli Assembled Head In Sunburst Sound, che anche quando non ricorrono al plug in elettrico, sono sempre capaci di dipingere quella wilderness che è prodotto d’origine controllata americana. Arrivano da San Francisco e sono tra i più atipici dead head (dal nome dei fans dei Grateful di Garcia) in cui possiate imbattervi, proprio perché lasciano scorrere la loro musica in canali onirici, andando di volta in volta a rievocare il west coast sound degli anni d’oro, certo progressive-folk inglese e addirittura le più movimentate colonne sonore del nostrano Morricone. Non mancano peraltro momenti di pura inquietudine post punk, con chitarre fuzz a stimolare la visione di nuovi universi al fulmicotone. Un bellissimo terzo album insomma per i nostri, che si sono chiusi in studio con Tim Green, nuovo re mida del suono hard-psych, di recente al lavoro con anime gemelle quali Howlin’ Rain, Comets On Fire ed Earthless. Sconvolgimento celestiale o diabolico piacere, a voi l’ardua scelta, fatto sta che When Sweet Sleep Returned sarà uno dei più allucinogeni viaggi rock di questo 2009.

22/04/09

Nuovo singolo per Mayer Hawthorne

Nemmeno il tempo di celebrare il suo debutto per Stones Throw con il singolo ‘Just Ain’t Gonna Work Out’ che Mayer Hawthorne torna a deliziarci con il suo suadente timbro in ‘Maybe So, Maybe No’, nuovo dodici pollici destinato ad aumentare vertiginosamente le quotazioni sul mercato di questo autore bianco, completamente immerso nella cultura di un’etichetta simbolo come Motown. Cantante e musicista a tutto tondo originario del Michigan, con il suo esordio Mayer ha conquistato i favori di dj e produttori di calibro internazionale quali Q-Tip, Mark Ronson, Gilles Peterson e Benji B. ‘Maybe So, Maybe No’ è ancora una volta una magnetica jam soul-funk, quasi una hit sommersa della Detroit anni ’60, con un beat tanto minimale quanto ammiccante. Non da meno la b-side “I Wish It Would Rain” (anch’essa nella doppia versione vocale/strumentale), che ci consegnano una futura stella del revival soul, prossimo al suo esordio sulla lunga distanza.

The Crocodiles - Summer Of Hate


Crocodiles - Refuse Angels from christin turner on Vimeo.

La casa del blues è ora più ampia, dalle parti di Oxford, Mississippi, Fat Possum ha deciso di ampliare sensibilmente i propri orizzonti, tirando a sé formazioni che dell’elettricità hanno fatto un manifesto, pur venendo da un clima tipicamente indie. Dopo aver pubblicato per gli States il prossimo fenomeno ‘da copertina ’ Wavves, tocca ai Crocodiles creare un ponte tra i seguaci della musica del diavolo ed i più ‘arrendevoli’ sognatori dell’orizzonte rock indipendente. E di primo acchito i Crocodiles sembrano proprio un gruppo di estrazione inglese a volerla dir tutta.

Lo spam mediatico inizia ovviamente attraverso la rete, grazie al passaparola generato dagli amici californiani No Age che eleggono il brano “Neon Jesus” tra i loro favoriti in una speciale playlis redatta lo scorso anno. Dato che i due di Los Angeles dopo il contratto con Sub Pop sono divenute vere e proprie istituzioni, per via del cosiddetto buzz si scatena un turbinio di richieste per i Crocodiles, desiderati come attrazione dal vivo, pronti ad indossare le vesti di funamboli del nuovo pop rumoroso.

Perché in sostanza è proprio questa la musica che suonano Charles Rowell e Brandon Welchez, due giovanotti scapigliati che arrivano da San Diego, una città apparentemente sonnolenta, ma capace di scuotere le fondamenta dell’underground americano, grazie ad immortali formazioni hardcore/punk e a più generosi maestri del nuovo rock’n’roll a stelle e strisce (Rocket From The Crypt su tutti)
I Wanna Kill e Summer of Hate, parlano però un’altra lingua. Perché se in lontananza c’è l’eco del lo-fi e la lunga ombra dei Velvet Underground, i brani dei Crocodiles sembrano un tributo alla terra d’Albione, quella che si avviava con passo vacillante alla stagione dello shoegaze. Ed in particolare i due Crocodiles potrebbero essere etichettati come la versione d’oltreoceano dei fratelli Reid. Stereogum li ha già ‘bollati’ come un incrocio tra Velvet Underground e Jesus And Mary Chain. Nulla di più veritiero.
Appena un anno di gestazione, con la produzione di un 7 pollici autofinanziato, ed i Crocodiles arrivano alla corte di Fat Possum, con Summer Of Hate, disco che rompe appunto con gli orizzonti solari della California stile Baywatch, puntando direttamente ad un suono oscuro e denso di feedback. Ma anche intimamente pop.
Queste melodie vi frastorneranno e questo sarà il rumore più gentile che potrete ascoltare nel corso di tutta la stagione. Uomo avvisato…

20/04/09

Elettrofandango



Su MTV.it potete ascoltare in streaming esclusivo e per intero il nuovo disco degli Elettrofandango "In quanto già peccato" in uscita nei prossimi giorni.


"gli Elettrofandango sono dei Capossela o degli Avion Travel che si guardano allo specchio e si riconoscono nel ribrezzo del vecchio Steve Albini, perpetrando il gusto della randellata, del torbido, dell'insonorizzazione cupa e inquieta" BLOW UP (voto 7)

"una pura botta di adrenalina ubriaca, quella che ci piace tanto e che va indietro fino ai tempi di SST, Amphetamine Reptile e alla Alternative Tentacles, ma anche fino alla nevrosi antipode di Beast Of Burbon e Birthday Party. Gli Elettrofandango ne incarnano una perfetta versione italiana, venata di wave oscura e capaci di risultare de noantri - inteso nella più orgogliosa accezione del genere - senza perdere un briciolo di terreno" RUMORE (voto 7)

"Una miscela esplosiva ed elettrica, trascinante ed unica: "In quanto già peccato" è un viaggio attraverso prismi colorati che riflettono daltonici bagliori di luce fra monatti della peste, violini ubriachi e druidi alchimisti. Il grottesco si fonde col bianco e nero creando atmosfere da gangster, liriche esistenzial-macabre alla Capossela e ritmi fra swing primordiale e rock graffiante" ROCKERILLA (voto 7)

"In Quanto Già Peccato è uno dei dischi italiani più importanti dell’anno. Punto e basta." Rockshock

"Un album geniale, in cui musica, letteratura, cinema e sperimentazioni si sposano nell’assoluzione sonora, veicolata da folli turbe liriche e graffi strumentali da lode. Assolutamente da non perdere! " Indie-zone

"semplicemente spettacolari" Ondalternativa


17/04/09

Pink Mountaintops - Outside Love

Stephen McBean è il volto più noto dei Black Mountain, il gruppo canadese che con il suo hard-rock dai solenni toni spirituali e dall’attitudine spesso progressive ha realizzato uno dei più bei dischi dello scorso anno: In The Future.
McBean che del gruppo è anche il maggior songwriter - ricoprendo il doppio ruolo di chitarrista/cantante - ha anche un progetto parallelo che da anni insegue con magniloquenza la più fervida canzone d’autore, in un’ispirazione che tocca frequentemente i lidi del west coast style, pur riservando certe attenzioni per la più esotica new wave. Outside Love è il terzo album del nostro, ancora sotto l’egida Jagjaguwar e da buon veterano della scena di Vancouver/Victoria Stephen può chiamare a sé un invidiabile stuolo di collaboratori. Tra cui vale la pena di citare Sophie Trudeau (A Silver Mt. Zion, Godspeed You Black Emperor), Ted Bois (Destroyer), Jesse Sykes (apprezzata solista e già voce nella collaborazione tra Boris e Sunn O)))), Joh Stevenson (Jackie O Motherfucker) ed Ashley Webber (The Organ Bonnie Prince Billy). Registrato presso gli Elmwood Studios con l’ausilio del nuovo guru indie John Congleton (Modest Mouse, Mountain Goats, Explosions In The Sky) Outside Love è un disco che fonde brillantemente rock e soul, in un formato canzone che spesso può richiamare quello degli Spiritualized di Jason Pierce , senza in questo rinunciare ai sapori più conviviali di Everly Brothers e Crosby Stills Nash & Young. Ne viene fuori un altro entusiasmante capitolo nella sua già ricca discografia, un uomo che sa sempre come sorprenderci.

Non perdetelo nel prossimo tour italiano:

21-Maggio - INTERZONA, VERONA
22-Maggio - INIT CLUB, ROME
23-Maggio - HANA BI, RAVENNA

Scarica il singolo Vampire in MP3





SHRINEBUILDER


E' sulla rampa di lancio uno dei più monumentali progetti contemporanei in ambito di heavy music. Vi preghiamo di appuntarvi questo nome: Shrinebuilder. Un quartetto che oltre a solleticare le vostre conoscenze, farà tremare anche i luoghi comuni del rock più estremo. La squadra si compone di Scott Kelly (Neurosis), Dale Crover (Melvins), del padrino del doom Wino (St Vitus, Hidden Hand, The Obsessed) e Al Cisneros (OM, Sleep). I brani che andranno a comporre il loro album di debutto per Neurot, sono quasi completati. Il disco, in uscita nei prossimi mesi (al momento la data non confermata è Settembre), sarà un qualcosa di stupefacente, un'immersione nei lati più reconditi della personalità dei 4 musicisti. Un rumoroso viaggio astrale. Per ora riscaldatevi con quello che è un tentativo di tracklist.

Solar Benediction
The Architect
Blind For All To See
Science Of Anger
Pyramid Of The Moon

16/04/09

The Warlocks "The Mirror Explodes"


In qualità di suo avvocato le consiglio di prendere una... aggiungete voi il colore della pillola in questione, l’importante è che i risultati siano per l’appunto lisergici. Con quel film d’antologia che è "Paura e Delirio a Las Vegas" bene impresso nelle nostre coscienze ci caliamo nuovamente nel mondo ideale dei Warlocks, che amano scorazzare dalla loro California come reduci da qualche tempesta psichica. Lo specchio che esplode è un disco che mette ordine nella musica del combo di Los Angeles, una psichedelia quasi gentile, che non taglia completamente con il passato, pur introducendo momenti decisamente più meditabondi. Ma è una meditazione oppiacea, non abbiate dubbi… Sono otto i brani di "The Mirror Explode", pastiglie dal conturbante effetto, che parlano la lingua di un rock stonatissimo, solo apparentemente carezzevole. C’è il consueto grado di melanconia nella musica dei Warlocks, ma le chitarre fuzz che scalpitano in lontananza fanno sì che l’anima pop del gruppo sia spinta sempre più rovinosamente verso il baratro. Ne esce un disco dai colori porpora, moderna ricostruzione di uno scenario sixties/seventies, fotografia distesa di quei balordi dell’arte che un tempo rispondevano ai nomi di Velvet Underground o 13th Floor Elevators. Canzoni spiritate, mai eccessivamente lunghe, perse tra rimasugli di una summer of love ed il ritorno massiccio del rock duro in salsa stoner. Dallo shoegaze invulnerabile di The Midnight Sun alla ballata psichedelica Static Eyes all’uptempo sferzante di Standing Between The Lovers Of Hell. La voce di Bobby Hecksher un elemento ancora di spiccata personalità, contemplando momenti di tenue intimismo come malevolenti schiamazzi dal profondo. Disco molto più umorale e distante dall’incessante fuoco sonico del precedente "Heavy Deavy Skull Lover," una prova del nove per questi californiani doc che rappresentano il fiore all’occhiello del catalogo Tee Pee.

15/04/09

Nuovo video per i Thermals




il trio di Portland spara quello che probabilmente ha sempre avuto in canna. E cioè puro e semplice power pop, tanto elementare quanto eccitante, con i ragazzi che si divertono a unire i trattini tra Who, Knack, Ramones e Green Day per vedere cosa viene fuori – IL MUCCHIO

“Now We Can See” è infatti molto meno frenetico rispetto alla media del trio di Portland e decisamente orientato verso una rivalutazione di atmosfere anni ’90. Quelle chitarristiche e college di Weezer, Breeders e Green Day, più pop e meno gravate da pesantezze grunge, affrontate con la freschezza del punk: ascoltate potenziali singoli come “i called out your name” o “when i died” per credere - RUMORE

14/04/09

Tee Pee



La campagna primavera-estate di Tee Pee è destinata ad assorbire tutte le vostre energie. Oggi vi presentiamo un trittico niente male che va assaggiato in toto, al fine di non trascurare nessuna di queste conturbanti visite nella riserva del rock moderno, in attesa dell'importante uscita del nuovo dei Warlocks, prevista per metà maggio.

Chad Ross, Josh Bauman, Mike Maxymuik ed Andrew Moszynski sono i quattro cavalieri dell’apocalisse che costituiscono il nucleo dei Quest For Fire, arrivano da Toronto, Ontario, Canada. Chad ed Andrew erano tra i fondatori dei Deadly Snakes, che hanno lasciato un ottimo ricordo a tutti gli appassionati del più ruvido rock’n’roll con le loro pubblicazioni per In The Red. Con Quest For Fire la musica cambia, prendendo il largo verso un’isola di tuonante psichedelica. Hard e musica lisergica, un’orchestrazione tra le più riuscite degli ultimi tempi, tra i fumi della tradizione texana (13th Floor Elevators e fratelli minori) ed una Summertime Blues così come interpretata dai Blue Cheer. Debutto omonimo che sa già di classico.

Seconda tappa: Brooklyn, New York. Sotto il ponte d’oro del rock indipendente Americano, un gruppo che invece è radicalmente legato all’estetica roots, sia essa inglese che statunitense. Parti uguali di Rolling Stones, American Music Club, Bob Dylan e country ed un songwriting imbattibile. Un cambio radicale rispetto agli esordi più orientati verso la formula cantautorale. Con l’album "Are Men" The Weight si trasformano in una band a tutti gli effetti con l’idea di fare cose grandiose per il futuro.

Terzo appuntamento questa volta con dei veterani del più psicotico heavy rock, che altrimenti potremmo definire stoner, non fosse altro che il termine sia divenuto sin troppo estetizzante. Chris Koznik (basso/voce; anche gol gruppo Atlantic dei Godspeed), Bob Pantella (batteria, anche coi Monster Magnet) e Finn Ryan (chitarra/voce; anche con il gruppo Atlantic dei Core) tornano con i loro riffs aggressivi ed in piena atmosfera seventies, combinando anche delle spettacolari armonie vocali. Nel 2008 il trio di Jersey Shore registra le 11 tracce che vanno a comporre il loro quarto album da studio. Prodotto con l’ausilio di Eric Rachel il nuovo disco degli Atomic Bitchwax è un’ ulteriore rivelazione sul loro brillante stato di forma. Dal groove ossessivo di Revival alla velocità disumana della strumentale Super Computer, "TAB 4" lascerà nuovi e vecchi fans senza fiato. Per oltre dieci anni la formazione, partendo dai bassifondi del New Jersey, si è esibita in qualcosa come 1000 concerti, in oltre 20 paesi in giro per il mondo. E tra pochi giorni saranno in Italia:

16 Aprile: Milano - Magnolia
17 Aprile: Ciriè (TO) - Taurus
18 Aprile: Ravenna - Bronson

Nuovo video e tour italiano per i Black Dice



REPO E’ IL QUINTO ALBUM DEI BLACK DICE. IL LORO SECONDO PER PAW TRACKS. ANCORA UN PASTICCIO SONORO CHE SI ABBEVERA ALLA FONTE DEI RITMI URBANI. REGISTRATO PRESSO GLI STUDI RARE BOOK ROOM DI BROOKLYN, REPO È UNA GARA A RITMI VERTIGINOSI, CONSUMATA STRATEGICAMENTE FINO ALLO STRAPPO FINALE. DUB, HIP-HOP E BREAKCORE, UN TRITTICO ATTORNO AL QUALE PRENDONO FORMA LE COMPOSIZIONI DEI BLACK DICE. LORO STESSI SONO DIVENUTI – DOPO IL CAMBIO PROGRESSIVO DI PELLE – RIFERIMENTO PER NUOVE, INCOMBENTI, GENERAZIONI DI TERRORISTI SONICI. UN ALTRO DISCO INECCEPIBILE CON TUTTI I SUOI SPIGOLI ED I SUOI RITMI SGHEMBI, CHE ANCHE I CLUB PIÙ ALTERNATIVI POSSANO FINALMENTE OSPITARLI A BRACCIA APERTE?

Non perdete il loro imminente tour italiano:


28/04/2009 - Padova @ Unwound
29/04/2009 - Roma @ Init
30/04/2009 - Torino @ Spazio211

"INIZIAMO COL DIRE CHE REPO ASSOMIGLIA, SE PROPRIO DOBBIAMO INDIVIDUARE QUALCHE FORMULA UTILE A RESTITUIRNE I CARATTERI,
A UN DISCO DI BIZARRO ETNO-NOISE DI VOLTA IN VOLTA CAMUFFATO SOTTO LE MENTITE SPOGLIE DI UNA INVEROSIMILE TECHNO A VAPORE,
O PEGGIO ANCORA TRAVESTITO DA ACIDULO HIP-HOP SOLO VANEGGIAMENTI E CUT AND PASTE SCEMI" - BLOW UP

"PUR SEMPRE AFFASCINANTI, I BLACK DICE SISTEMANO L’INCOMPLETEZZA SISTEMATICA DEL PRECEDENTE LOAD BLOWN CON UNA VAGONATA DI PENSIERO LATERALE E FREE NEL SENSO DELLE RITMICHE MULTIVARIATE E POLIFONICHE;
UN’IDEA DI MUSICA SCOMPOSTA, FRATTURATA, CAOTICA EPPURE COESA." - RUMORE

"INANELLANDO IL BIZARRO AL FUTURIBILE, I RENALDO AND THE LOAF A MORODER, DAF AI BUTTHOLE SURFERS, I BLACK DICE HANNO INDIVIDUATO L’ORTICELLO IN CUI PIANTARE, ANNAFFIARE E POI RACCOGLIERE LE STRAVAGANZE STILISTICHE DI CUI DA SEMPRE CAPACI." - SENTIREASCOLTARE

Scarica il singolo Glazin in MP3

09/04/09

Comfusões – Made In Angola

Sempre fedele ad un’idea di musica globale, l'etichetta Out Here torna a proporci una compilation a tema, che se possibile vuole estendere i confini della world music, abbracciando quelle che sono le sonorità club ed elettroniche dei giorni nostri.. La pop music made in Angola degli anni sessanta e settanta viene idealmente trasferita in Brasile grazie al lavoro di produttori contemporanei, che oltre ad attivarsi per un’opera di restauro senza precedenti, aggiungono ritmo e sapori sudamericani in egual misura. Scopriamo in questo modo che aldilà del comune idioma – la lingua portoghese per l’appunto – Angola e Brasile possono anche condividere un’avventura musicale senza pari. Che è proprio quella messa in scena da Comfusões, una raccolta che in 12 brani riporta in auge una delle musiche africane più espressamente soulful. In assoluto una tradizione che aldilà dei coevi ritmi africani guardava al melanconico suono del fado portoghese, suggerendo anche paralleli con la musica di Capo Verde. Il patrocinatore del progetto è il brasiliano Mauricio Pacheco, attivo nella scena locale sin dal 1994, produttore di artisti notissimi in patria come Fernanda Abreu e Jussara Silveira, oltre che capobanda a della formazione capoeira-hip-hop Stereo Maracana.
Per realizzare il progetto Pacheco si rivolge alla fonte, andando a scavare negli archivi della RNA (la radio nazionale d’Angola), alla ricerca dei contributi degli artisti pop locali più in vista.
Con i master originali nelle proprie mani chiama a raccolta alcuni dei produttori più in vista a livello internazionale della scena carioca, c’è Mario Caldato Jr. (Beastie Boys, Jack Johnson, Beck), il figlio d’arte Moreno Veloso ed il suo compare Kassin, Dj Dolores, Berna Ceppas e numerosi altri. Un risultato davvero appetibile, sia per gli studiosi della musica etnica che per i consumatori delle più morbide sonorità elettroniche. Una commistione che avvicina clamorosamente due culture apparentemente distanti come quella africana e sudamericana.

08/04/09

Madlib in Italia!

Re::Life e 24Carat, in collaborazione con Goodfellas, presentano:
MADLIB + J.ROCC
Uno dei volti più noti del catalogo Stones Throw in due dj set esclusivi per l'Italia. Accompagnato - in apertura - dal funambolo dei giradischi J.Rocc

Giovedi 14/05/2009 - Roma - Circolo Degli Artisti
Venerdi 15/05/2009 - Milano - Spazio Maderna

Otis Jackson Jr., in arte Madlib, è senza alcun dubbio l’artista più autorevole e rappresentativo del suono black contemporaneo. Una definizione necessariamente sfuggevole, viste le molteplici e sorprendenti forme che la sua ispirazione musicale riesce ad incarnare. Produttore ipertrofico e multi-dimensionale, Madlib è cresciuto in una famiglia di melomani (suo zio è il noto jazzista John Faddis) appassionati di soul, jazz e funk. Durante l’adolescenza è però la grammatica hip hop a conquistare la sua applicazione maniacale: in breve trasforma lo studio di registrazione (ribattezzato Bomb Shelter) nel suo habitat naturale; attorno a quel suono asciutto, grezzo e analogico finisce per raccogliersi gran parte della scena underground californiana di fine anni ’90, e il suo nome diventa sinonimo di un rinascimento in grado di spingere avanti le inflessibili regole della old-school.
Due i tratti salienti del suo stile: la prospettiva temporale (la capacità di proiettare nel futuro le accecanti intuizioni dei pionieri neri) e l’approccio povero ai suoni (rifiuta di ‘quantizzare’ la musica su un pc, utilizzando solo macchine e campionatori di vecchia tecnologia). Uno sguardo allucinato e onnivoro che lo porta di volta in volta a rileggere (e piegare come un alchimista) le musiche di Bollywood, samba e batucada, Stevie Wonder, il jazz esoterico di fine ‘60, il roots&dub giamaicani, il catalogo Blue Note, il suono broken beat londinese. Nei panni di DJ ha già fatto impazzire mezzo mondo, ivi compreso il Wu-Tang Clan in occasione di un party privato per i Grammy Awards. Il suo ultimo disco (“Beat Kondukta Vol. 5-6”) prodotto proprio insieme a J.Rocc e come sempre edito dalla label cui è legato a filo doppio, la Stones Throw, è un meraviglioso omaggio al collega e amico J Dilla, un florilegio di citazioni soul e jazz assemblate dal tocco magico del Re Mida dei produttori contemporanei.

Assieme a lui, sul palco del Circolo, il DJ ufficiale della Stones Throw, l’unico e inimitabile J.Rocc. Già membro fondatore dei seminali Beat Junkies, vince assieme a quel collettivo ogni dj competition possibile tra il 1997 e il 1998, per poi decidere di ritirarsi dalle sfide e dedicarsi a tempo pieno alla musica. Vedere J.Rocc ‘suonare’ i dischi dal vivo è un’esperienza ai confini dell’indicibile: il suo incontestabile virtuosismo, infatti, non è mai sterile esibizione d’ego ma, piuttosto, perizia tecnica al servizio della musica. Con J.Rocc è sempre la musica infatti a sedere in prima fila: soul, hip hop, reggae, funky-carioca, soundtrack italiane, non fa differenza: tra le sue mani la selezione prende sempre forma e vita propria, ricca di citazioni ludiche e uno spiccato gusto per l’intrattenimento.


07/04/09

Willem Maker - New Moon hand

Un nuovo alfiere del roots rock si fa largo tra le maglie di Fat Possum (la casa che ha ospitato stelle di ieri e di oggi come Black Keys, Bob Log III, R.L. Burnside e Junior Kimbrough) E’ Willem Maker, che scende direttamente dalle colline dell’ Est Alabama, dopo circa 10 anni spesi da quasi eremita a perfezionare le sue canzoni. Nel 2007 esce allo scoperto con quello che è il suo debutto - Stars Fell On – che mette un punto alle rare esibizioni acustiche ed ai demo casalinghi. Un disco tra l’altro registrato e mixato integralmente nel suo studio personale: il Foxhole, prossimo alle montagne di Turkey Heaven.

Il disco, originariamente pubblicato da Makerworks Recordings, viene ristampato sul finire del 2008 dalla sottoetichetta di Fat Possum Big Legal Mess Records, anticipando proprio la nuova fatica a 33 giri. New Moon Hand ce lo riconsegna più forte che mai, sorretto anche dall’apporto di musicisti di Lambchop e Silver Jews. La formazione base che ha inciso il disco è invece completata da Cedric Burnside, Jim Dickinson ed Alvin Youngblood Hart, comprimari che con grande calore e maestria avvicinano questo disco ad un abbraccio spirituale.

La poetica di Maker è ovviamente rurale, sudista, fotografia di grandi spazi. Il suo stile suggerisce paragoni con giganti quali Charlie Patton e Neil Young, pur potendo toccare il presente e l’estetica di gruppi quali White Stripes o Black Keys.

E’ musica che vi stordirà per le sue dosi di pura e non sofisticata elettricità, una carezza ed un alito di polvere, sulle 12 battute classiche del delta blues. Willem Maker è un uomo che ci parla di redenzione, attraversando la musica moderna con lo spirito dei grandi saggi e viaggiatori.

06/04/09

The Long Blondes "Singles"




La strada verso il successo è lastricata da mille incidenti, episodi spesso non troppo confortevoli, che magari impreziosiscono le biografie di un gruppo, rendendole più grasse ed attinenti alla cronaca rosa/nera. Bene, sgombriamo il campo questa volta, perché almeno nel caso dei Long Blondes l’iter che porta al riconoscimento è suffragato da tanti piccoli logici passi. Che hanno la forma di un 45 giri, tanto per intenderci. E questa è una pratica immancabile per le band inglesi, se non c’è una BBC od una Peel session d’antan sono spesso i singoli a colmare quel vuoto pneumatico che separa due album da studio. Se i Long Blondes si sono affacciati alla ribalta del Top Of The Pops, ciò non vuol dire che le origini siano rinnegate: da buona working class band – arrivano da Sheffield, la stessa città natale di Cabaret Voltaire, Human League ed Heaven 17 – editano grazie alla Angular la perfetta raccolta di singoli, che fa eco alla coppia di album pubblicati per Rough Trade, Someone To Drive You Home del 2006 e Couple del 2008 (con la produzione del dj maestro Erol Alkan). Ci sono i primi quattro 45 giri pubblicasti dal quintetto, con le relative b-sides, per arrivare ad un totale di 12 brani, che avrebbero di gran lunga anticipato il mood degli album maggiori, affilando quella vena glamour-pop che sarebbe stato il loro marcato biglietto da visita. Sedotti dal power pop e dall’elettronica, affascinati profondamente dalle sfuggenti teorie del post-punk, i nostri mettono a punto un intelligente ibrido, sbarazzino al punto giusto, ritmato e melodioso. In brani come New Idols, Autonomy Boy, My Head Is Out Of Bounds e Big Infatuation tutta la loro frizzante vena, un’esplosione di vita senza pari. Per il vostro piacere.

03/04/09

THE STRANGE BOYS - ...And The Girls Club


Album di debutto per questo giovane quartetto di Austin, Texas. Strange Boys And Girls Club è un disco di garage rock fortemente intriso di rhythm & blues, sbandato e a bassa fedeltà.
Gli Strange Boys si sono fatti le ossa suonando dal vivo con Black Lips, Reigning Sound, No Age e Jay Reatard e il loro album viene pubblicato dal marchio più importante per questo tipo di suoni, In The Red Records.
La Loro musica si pone esattamente a mezza via tra la psichedelia dei 13th Floor Elevetors e la Wave dei Wire. Da seguire assolutamente!

(mp3): No Way for a Slave to Behave
(mp3): Heard You Wanna Beat Me Up

02/04/09

Chinese Man Records - The Groove Sessions Vol.1 & Vol.2


Dalla Francia, con grande prepotenza, irrompe sulla scena breakbeat internazionale la stella di Chinese Man Records, progetto a tutto tondo che prevede un’etichetta oltre che un omonimo gruppo. Con la pubblicazione nel 2005 del primo Ep The Pandi Groove Ep (simbolicamente limitato a 500 copie), si inaugura l’avventura di questa solida crew, culturalmente e tecnicamente vicina al mondo dell’hip-hop, ma capace di incorporare nel suo scheletro musicale elementi funk d’epoca, profondi bassi dub ed avventurose commistioni con musica tradizionale di origine orientale. Il 2006 rappresenta l’anno della svolta con l’Ep The Bunni Grooves, anch’esso in tiratura ultra-limitata. Ed immediatamente esaurito alla fonte. Il brano I’ve Got That Tune è scelto dalla Mercedes per pubblicizzare la sua classe A. Il film festival di Hong Kong svoltosi in Francia lo stesso anno si accoda al trend, utilizzando lo stesso brano nel trailer di introduzione della rassegna. 2007. Un terzo Ep - The Indi Groove - provvede ad accrescere l’attesa per la prima uscita ‘matura’ del gruppo, sempre più affascinato da una sorta di world-beat. E’ ormai paradossale parlare di hip-hop, date le molteplici influenze che si insinuano all’interno di questi solchi. A mettere un po’ d’ordine provvede la raccolta The Groove Sessions Vol.1, compendio digitale di quanto pubblicato in precedenza unicamente su disco. Le 10.000 copie vendute devono essere da monito per quello che verrà…Con il supporto incondizionato di emittenti storiche d’oltralpe come Radio Grenouille e Radio Nova il disco schizza ai vertici di ogni playlist, catturando anche l’attenzione di spiriti affini. I Troublemakers includeranno ad esempio un loro brano nella compila pubblicata da Wagram. Se nei dischi l’effetto sorpresa non è mai trascurato, dal vivo i Chinese Man finiscono con l’essere ancor più imprevedibili, presentandosi con ben due djs e quattro piatti. L’attitudine giramondo della crew non si limita alla sola ricerca sonora, i nostri si imbarcano ripetutamente on the road, toccando tutte le città che contano, da Parigi a San Francisco. Dividono il palco con Sharon Jones, Dj Vadim, Asian Dub Foundation, Bonobo e Dj Qbert. Il legame con San Francisco e la sua illuminata scena hip-hop si solidifica nel 2009, con una serie di date, la realizzazione di un album con i migliori MC locali e l’uscita di un documentario che raccoglie le migliori hip hop battles dell’universo Bay Area. L’estetica di Chinese Man si estende anche al mondo della video arte, tanto che Fred & Annabelle responsabili per alcuni dei loro sgargianti clip, verranno assunti da Bjork per la messa in opera del video di Innocence. Dopo un’altra manciata di Ep ad aprile arriva il secondo volume di Groove Session. Sly, High Ku Zè Mateo spiccano ancora tra gli interpreti di un suono black originalissimo, infarcito di blaxploitation e colonne sonore in stile Bollywood, rare grooves e musica etnica dell’altro mondo. Pronti a saltellare?

01/04/09

La "Spanish Guitar" di Peter Walker



Torna Peter Walker uno dei più enigmatici ed allo stesso tempo influenti chitarristi americani degli ultimi 40 anni. Originario di Boston ma ora stabilmente operativo a Woodstock, New York, Peter rimette ancora una volta in discussione la sua fama di musicista eclettico, sfornando un album per Birdman intitolato "Spanish Guitar" completamente improntato sulla chitarra flamenco. Nel 1966 Peter Walker dava alle stampe un disco chiamato "Rainy Day Raga" – per Vanguard - in cui prendeva i tipici raga indiani e li adattava alla cultura lisergica del tempo. Alunno di Ravi Shankar e Ali Akbar Khan (durante una residenza in San Francisco), Walker raggiunse una sorta di perfetto ibrido col suo debutto. Il disco è infatti considerato un classico nel suo campo di riferimento, citato da più parti come una pietra miliare nell’ambito del folk più psichedelico. Ben Chasny di Six Organs Of Admittance non ha usato mezze parole mettendo addirittura Peter Walker in cima alla sue preferenze, anche a discapito di altri illustri contemporanei John Fahey e Robbie Basho. Nonostante le amicizie con altri giganti dell’epoca quali Sandy Bull e Karen Dalton, Peter rimane però personaggio di culto, ritirandosi poco dopo dalle scene, un po’ come nella tradizione dei bluesman maledetti. Un lunghissimo periodo di meditazione che si chiude nel 2007 con l’uscita di "Echo Of My Soul" per l’etichetta newyorkese Tompkins Square. Seguito a ruota nel 2008 dal tributo "A Raga For Peter Walker" per etichetta Rosenthal, coi contributi di mostri sacri del presente quali Jack Rose, James Blackshaw, Steffen Basho-Junghans, Thurston Moore e Greg Davis. Questo disco sarà per il Flamenco quello che "Rainy Day Raga" è stato per i ragas; un suono ispirato che combina tutti gli studi esotici di Peter con la sua lente deformante occidentale, al fine di creare una summa originalissima, che di suo va a disegnare le coordinate di un nuovo genere. E’ un suono che non ascolterete altrove, trascendentale, una musica che sino ad ora è appartenuta ad un paradiso immaginario. Per una persona che tra i suoi idoli annovera i Kennedy, Ghandi, Martin Luther King, Joan Baez, The Greatful Dead e Dr Timothy Leary cos’altro chiedere?

Dent May - Nuovo video



Il simpatico Dent May ci regala un altro video tratto dal nuovo album "The Good Feeling Music Of..."